Lo stretto di Bab el-Mandeb è la porta che da sud conduce al Canale di Suez e al Mar Mediterraneo. Si trova all'imbocco del Mar Rosso e per importanza è il terzo "chokepoint" globale, una strozzatura diventata l'unico punto di transito per le navi provenienti da tutto il mondo. La guerra tra Israele e Hamas è arrivata sin qui, proprio dove passa il 12 per cento del commercio globale e il 16 per cento dei beni importati in Italia. Gli attacchi degli Houthi provenienti dallo Yemen e sostenuti dall'Iran hanno preso di mira le navi "legate a Israele" che superano lo stretto, stravolgendo uno degli snodi fondamentali del commercio mondiale e causando la reazione militare di Stati Uniti e Regno Unito.
Se le navi vogliono arrivare nel Mediterraneo evitando Suez non hanno scelta: devono circumnavigare l'Africa dal Capo di Buona Speranza, con tempi che vanno dai 10 ai 15 giorni di navigazione in più e costi maggiori, come mostrano i dati e le testimonianze raccolte da Today.it nel settore delle spedizioni via mare. L'effetto sui principali porti italiani si vede già, le conseguenze peggiori sui prezzi sono all'orizzonte e potrebbero riportare Italia ed Europa indietro nel tempo, alle incertezze economiche causate dall'invasione russa dell'Ucraina e a una nuova inflazione.
Gli Houthi mandano in crisi il Mar Rosso: è già peggio del Covid
L'impatto negativo della crisi nel Mar Rosso sul commercio globale ha già superato quello della pandemia. Ha fatto di peggio solo la "Ever Given", la gigantesca nave mercantile che ha bloccato il Canale di Suez per sei giorni nel marzo 2021. A parte questa eccezione, "la crisi del Mar Rosso è il singolo evento più grande, addirittura più grande dell'impatto iniziale della pandemia", sostiene Alan Murphy, amministratore delegato di Sea-Intelligence, una delle principali società di consulenza nel settore della logistica marittima.
Secondo i dati aggiornati della piattaforma Portwatch del Fondo monetario internazionale elaborati da Today.it, il traffico navale nel Canale di Suez a gennaio 2024 è diminuito di oltre il 37 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e del 52 per cento nello Stretto di Bab el-Mandeb. Al contrario, la rotta alternativa intorno al Capo di Buona Speranza che circumnaviga l'Africa è cresciuta del 70 per cento. Il crollo del traffico delle navi mercantili nel Mar Rosso, a favore della rotta alternativa, è evidente nel grafico sotto.
Un esempio: il 21 gennaio 2024 sono passate 46 navi dal Canale di Suez. Nello stesso giorno del 2023 erano 73. Stati Uniti e Regno Unito, con il sostegno di Australia, Bahrein, Canada, Paesi Bassi e Nuova Zelanda, hanno messo a segno diversi attacchi militari contro gli Houthi, in Yemen. Ma le navi commerciali continuano a essere prese di mira dai ribelli. Anche l'Italia sarà presente nel Mar Rosso con una missione navale europea. Secondo gli ultimi dati rilevati dalla multinazionale della logistica Kuehne + Nagel, 215 navi tuttora in viaggio con 2,7 milioni di container sono già state costrette a cambiare rotta.
I timori del settore marittimo, Maersk: "Costi aumentati del 50 per cento"
Maersk è un'azienda danese tra le più importanti al mondo. Contattata da Today.it, la società ha risposto che i costi delle spedizioni, per la rotta alternativa a Suez intorno all'Africa, sono aumentati del 50 per cento a causa di un viaggio lungo oltre 6 mila chilometri in più, equivalenti a 3280 miglia nautiche (nella mappa qui sotto).
Nel suo ultimo aggiornamento, Maersk definisce la situazione nel Mar Rosso "estremamente instabile e tutte le informazioni disponibili confermano che il rischio per la sicurezza rimane a un livello significativo". Le preoccupazioni nel settore abbondano: secondo un sondaggio condotto da Freightos, piattaforma digitale di prenotazione merci nelle spedizioni internazionali, la maggior parte degli importatori per le piccole e medie imprese è preoccupata per l'impatto della crisi sulle rotte commerciali e dei conseguenti aumenti di costo.
Assarmatori e Federagenti: "Temiamo durata della crisi e Capodanno cinese"
In Italia il settore è cauto sulle previsioni e guarda alle prossime settimane, soprattutto alle conseguenze del Capodanno cinese. Come ogni anno (lo si vede dai pallini rossi nel grafico qui sotto), i festeggiamenti in Cina diminuiranno il numero di container disponibili in circolazione proprio mentre la domanda aumenta, visto che i container restano impegnati più a lungo per le nuove rotte. Così, i costi delle spedizioni possono solo aumentare.
"Navighiamo a vista e un'emergenza con le caratteristiche di quella in atto rende impossibile qualsiasi previsione, anche sul breve termine - dice a Today.it Stefano Messina, presidente di Assarmatori -. Allo stato attuale l'impatto economico dovuto all'escalation della tensione nel Mar Rosso e nello Stretto di Hormuz ha prodotto per il sistema-Italia effetti contenuti: i prezzi del petrolio e del gas sono stabili e la stessa considerazione vale per le materie prime e per i noli, sia quelli relativi ai carichi secchi sia per i trasporti di carichi liquidi. Si segnalano incrementi delle rate di nolo per il trasporto containerizzato, in particolare per l'import dall'Estremo Oriente. Se questa crisi dovesse protrarsi, allora i problemi potrebbero essere decisamente più rilevanti".
Il presidente di Federagenti, Alessandro Santi, ha definito la situazione "ancora troppo incerta e fluida per formulare previsioni o definire analisi sull'andamento dei prezzi finali della merce. Di certo cominciano a muoversi pericolosamente indicatori relativi al rincaro delle materie prime e dei prodotti energetici. I prodotti al consumo e quelli riservati alla grande distribuzione potrebbero subire un effetto domino, a causa dell'imminente Capodanno cinese che blocca per settimane l'attività in Cina. E per l'allungamento delle rotte e il costante riassestamento dei tempi di spedizione e consegna potranno subire impatti crescenti, sia in termini di indisponibilità di talune categorie di merce, sia in termini di aumento dei prezzi".
I porti italiani soffrono: spedire da Shanghai a Genova costa 4 volte di più
L'impatto della crisi nel Mar Rosso è già evidente nei porti italiani. Secondo i dati della piattaforma Portwatch elaborati da Today.it, nei primi sei porti nazionali (Venezia, Trieste, Genova, Gioia Tauro, Augusta e Livorno) rispetto al mese di novembre il traffico è diminuito, con punte di oltre il 20 per cento. Come si vede dal grafico sotto, il picco è stato toccato a fine dicembre, con circa il 21 per cento di navi in meno rispetto al mese precedente.
A gennaio 2024 c'è stata una graduale ripresa, ma il numero di navi è ancora dell'11 per cento inferiore. Perché ci sono meno navi nei porti italiani? Perché quelle che dovevano arrivare tramite il Canale di Suez sono in ritardo, a causa del giro più lungo intorno all'Africa. E il tempo in più che le navi passano in mare comporta nuovi e maggiori costi per le spedizioni.
Gli ultimi dati forniti dalla società di analisi Drewry dicono che per trasportare un container tipo da Shanghai a Genova, il costo è aumentato di oltre quattro volte, da 1.400 a 6.365 dollari. Quella ligure è diventata la rotta europea più costosa: di conseguenza, i porti europei del Nord potrebbero diventare più attrattivi di quelli italiani, timore già espresso da diversi esponenti del settore.
I prezzi salgono, di nuovo: 95 milioni di euro al giorno di danni
Secondo stime di Bankitalia, il trasporto navale attraverso il Mar Rosso riguarda più le importazioni italiane, circa il 16 per cento del totale, che le esportazioni. Su questa rotta transita una larga parte degli acquisti dalla Cina e altre merci arrivano dalle economie dell'Asia orientale o dai paesi del Golfo Persico esportatori di gas e petrolio.
Tra i settori più interessati c'è la moda: un terzo delle importazioni italiane della filiera arriva dal Mar Rosso, ma le quantità sono elevate anche per i prodotti metalmeccanici, che costituiscono quasi il 30 per cento dei volumi delle importazioni italiane. Alcune regioni sono più esposte di altre: per Confartigianato, il valore più alto di prodotti trasportati attraverso il Mar Rosso è quello della Lombardia, pari a 12,9 miliardi di euro, seguita da Emilia-Romagna con 9,4 miliardi, Veneto con 5,7 miliardi, Toscana con 4,7 miliardi, Piemonte con 4,2 miliardi e Friuli-Venezia Giulia con 2 miliardi.
Il danno c'è già: secondo i calcoli di Confartigianato, negli ultimi 3 mesi l'Italia ha perso 3,3 miliardi di euro per mancate o ritardate esportazioni e 5,5 miliardi per il mancato approvvigionamento di prodotti manifatturieri. Una perdita totale di quasi 9 miliardi: fanno oltre 95 milioni di euro ogni giorno.
Ora c'è il timore che tutto ricada sui consumatori. Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, ha calcolato che uno shock simile potrebbe far crescere i prezzi in Italia e in Europa dell'1,8 per cento. Tutto dipenderà dalla durata della crisi e dall'eventuale reazione della Bce: un grosso, nuovo, elemento di incertezza per il 2024.
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