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Monday, January 3, 2022

Turchia, l'inflazione vola al 36%. Ankara impone alle aziende di convertire in lire un quarto dei ricavi realizzati all'estero - Il Fatto Quotidiano

La lira turca apre il nuovo anno come aveva finito il vecchio: in calo e con una crisi valutaria che rischia di avvitarsi e precipitare velocemente. Oggi è stato diffuso il dato sull’inflazione di dicembre, salita al 36% (dal 20% del mese precedente) toccando il livello più alto degli ultimi 19 anni. Un incremento sensibilmente superiore alle attese. Nel corso del 2021 la lira ha perso il 44% nei confronti del dollaro. Questa situazione che rende estremamente oneroso il debito emesso in valuta estera dalle aziende turche e genera un effetto di “importazione di inflazione”. Tutti i prodotti che provengono dall’estero costano infatti di più, riducendo il potere d’acquisto di chi ha redditi in valuta nazionale.

Tre settimane fa il presidente Recep Tayyip Erdogan delle misure di emergenza per cercare di tutelare i risparmi dei cittadini turchi. In sostanza lo Stato si fa carico di rimborsare l’eventuale differenza tra la perdita di valore della lira e i tassi di interesse pagati sui conti in banca. Una misura che ha però l’effetto di gravare sui conti dei pubblici del paese che, almeno per ora, non mostrano particolari criticità. L’annuncio ha avuto l’effetto di invertire temporaneamente la discesa della lira, una risalita è stata favorita anche da un massiccio intervento della banca centrale turca che ha venduto dollari e comprato lire.

La scorsa settimana il governo turco ha però invitato i cittadini a depositare l’oro in loro possesso nelle banche nazionali e a mantenere i depositi solo in valuta nazionale. Disposizione che ha provocato un nuovo tonfo della valuta. Oggi Ankara ha invece annunciato che chiederà alle aziende esportatrici di convertire in lire un quarto dei ricavi realizzati all’estero (e dunque in valuta straniera). La conversione sarà gestita dalla banca centrale che in questo modo accresce le sue disponibilità di monete pregiate come dollaro o euro.

Tutte queste misure vengono messe in campo per l’impossibilità di alzare i tassi di interesse, ossia la mossa che tutte le banche centrali utilizzano come primo rimedio contro la svalutazione della moneta e l’inflazione. Il presidente Erdogan è fortemente contrario a questo provvedimento che ha l’effetto collaterale di rallentare la crescita economica. La banca centrale ha quindi fatto l’opposto: ridotto dal 19% al 14% il costo del denaro nel giro di 4 mesi. Per chi ha depositi significa un rendimento negativo del 22% (la differenza tra l’aumento dei prezzi e i soldi che riceve come interessi)

La banca centrale turca è influenzata dal governo e gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un andirivieni di governatori. Quelli sgraditi ad Erdogan sono stati velocemente rimpiazzati. Nel 2023 si terranno le elezioni che il presidente punta a vincere. Per la prima volta però i sondaggi danno le forze di opposizione davanti al partito di governo.

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