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Tuesday, October 24, 2023

Bce, BTP & spread: stop rialzi tassi? Ma con ‘baratto’ QT l’Italia di Meloni non brinderà - Finanzaonline

Molto probabilmente la Bce di Christine Lagarde lascerà i tassi dell’area euro invariati nella imminente riunione del Consiglio direttivo di dopodomani, giovedì 26 ottobre:

altrettanto molto probabilmente, l’annuncio di tassi fermi non sarà una bella notizia, nel lungo termine, per l’Italia, i suoi BTP, ergo il suo debito pubblico, dunque per il governo Meloni. E questo perchè l’Eurotower continuerà a tenere alta la guardia contro l’inflazione dell’Eurozona, ancora lontana da quel target del 2% che la banca centrale europea, così come la Fed di Jerome Powell, ha tutta l’intenzione di centrare.

Questo significa che, a fronte della decisione di lasciare i tassi fermi, la Bce potrebbe decidere di agire in un altro modo per continuare a frenare l’inflazione:

focalizzarsi sul PEPP, noto anche come QE pandemico, considerando l’eventualità di ritirare gradualmente gli acquisti dei titoli di stato dell’Eurozona (BTP in primis), che continua a portare avanti ancora con questo piano, lanciato in tempi di Covid.

QE: salva BTP della Bce mandato davvero in soffitta?

Il QE-Quantitative easing della Bce, non è ancora ufficialmente defunto. O meglio.

Il QE tradizionale, quello lanciato attraverso il piano PPA o Asset purchase programmes, è stato mandato in soffitta definitivamente, anche con la fine dei reinvestimenti dei titoli giunti in scadenza, nel luglio del 2023.

“Il Consiglio direttivo porrà fine ai reinvestimenti nell’ambito del PAA a partire da luglio 2023”, aveva infatti annunciato la Bce di Christine Lagarde nel giugno di questo anno.

Il PEPP, invece, (pandemic emergency purchase programme), noto anche come QE pandemico, è invece ancora vivo e vegeto e dovrebbe continuare a esserlo, in base a quanto ha annunciato la stessa Eurotower, almeno fino alla fine del 2024.

Ma più volte, e non solo nelle ultime settimane, fonti vicine alla Bce hanno indicato la possibile decisione di Lagarde & Co di porre fine a questo programma in via anticipata.

In realtà, ci sono state anche indiscrezioni sulla possibile scelta della Bce di continuare a mantenere attivo il PEPP, facendo leva soprattutto sulla natura flessibile del programma.

In tempi di escalation delle tensioni geopolitiche – accanto al dramma della guerra in Ucraina c‘è ora anche la guerra tra Hamas e Israele – qualcuno aveva infatti parlato della possibilità che Lagarde rimanesse sull’attenti, prima di staccare la spina al QE pandemico.

Ma la minaccia di una fine dei giochi è stata più volte sottolineata.

E quel che è certo è che il “The End” di questo QE avrebbe ripercussioni negative, soprattutto sull’Italia e, dunque, sui suoi BTP visto che sembra che Roma sia stata quella che più di tutti gli altri paesi dell’area euro abbia beneficiato del piano.

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Già alla fine di luglio di quest’anno, intervistato dal Financial Times, Paul Hollingsworth, capo economista di BNP Paribas, così scriveva:

“Sebbene non riteniamo che una decisione sia imminente, alcuni funzionari hawkish della Bce potrebbero essere disposti ad accettare un tasso terminale più basso, se al contempo il QT venisse accelerato”.

QT, vale la pena di ricordare, è l’acronimo di Quantitative Tightening, ovvero del processo di riduzione dell’immenso bilancio della Bce, che è stato ingolfato negli ultimi anni proprio a causa della misura diametralmente opposta al QT: il QE (Quantitative easing), quest’ultimo lanciato ai tempi in cui la Bce era capitanata dall’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, quando il problema vero per l’Eurozona era rappresentato non tanto dal rischio di una inflazione troppo alta, ma dalla minaccia della deflazione.

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Diversi erano stati gli economisti che, all’epoca in cui timoniere della Bce era ancora Mario Draghi avevano lanciato diversi allarmi sulle conseguenze che la fine del QE avrebbe avuto, tra l’altro. proprio sull’Italia, in particolare sui BTP.

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A distanza di almeno cinque anni di quella carrellata di alert e di allarmismi vari, nel bel mezzo di un contesto economico in cui la vera minaccia non si chiama più deflazione, ma inflazione, in realtà il QE, in Italia, non è affatto morto.

Questo, proprio grazie all’altro QE, quello pandemico, ovvero PEPP che, così come ha fatto notare Robin Brooks, capo economista @IIF, ovvero dell’Institute of International Finance ed ex capo strategist forex di Goldman Sachs, ha fatto sì che i reinvestimenti in BTP e altri titoli di stato italiani siano stati tali al punto che si potrebbe dire che, nel caso dei bond made in Italy, il bazooka monetario del Quantitative easing non si sarebbe neanche concluso.

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Proprio Brooks è tornato alla carica qualche giorno fa, auspicando la fine della flebo che in teoria la Bce di Lagarde avrebbe dovuto ritirare già da un po’ e che, invece, nel caso dell’Italia, ha continuato a suo avviso a tenere ancora a galla i BTP. Che, se avessero dovuto riflettere i fondamentali dell’economia italiana, e il suo debito pubblico monstre, probabilmente avrebbero presentato rendimenti più alti perfino rispetto a quel livello di alert del 5% che è stato superato nelle ultime sessioni.

Ma ora basta con questo QE pro-Italia. Lo ha scritto chiaramente l’ex Goldman Sachs Robin Brooks, ricordando che il principio fondante della Bce è “la separazione tra politica monetaria e politica fiscale”.

“E’ questo il motivo – ha ricordato l’economista – per cui il QE della Bce è stato inizialmente soggetto alla regola del capital key: ovvero, quello di non favorire un paese rispetto a un altro”.

A tale regola l’Eurotower ha però deciso di abdicare nel 202o quando, con l’avvento della pandemia Covid-19, ha lanciato una nuova versione del Quantitative easing: il QE pandemico, per l’appunto, o anche PEPP con cui, vale la pena ricordare, è stato dato il via libera anche agli acquisti dei titoli di stato emessi dalla Grecia.

Quel PEPP, ha ricordato Brooks, ha creato un bel po’ di confusione, visto che il risultato, oggi, è che “in alcuni paesi c’è il QE, in altri il QT. E questo deve finire”.

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Il dibattito in seno alla Bce di Christine Lagarde su dire stop o meno al reinvestimento dei titoli in scadenza acquistati nell’ambito del piano PEPP, prima della scadenza ufficiale fissata per ora alla fine del 2024, è piuttosto acceso.

Vero è che le colombe, contrarie alla fine anticipata del piano, non mancano:

a loro avviso, riporta un articolo del Financial Times , sarebbe il caso che la Bce disponesse di una flessibilità anche maggiore, per stabilire in che modo utilizzare i ricavi dei bond in scadenza, blindando così magari proprio i debiti di quei paesi i cui costi di finanziamento sono ben superiori rispetto ad altri.

Citato proprio il caso dell’Italia, in cui i costi di finanziamento del debito sono “già saliti oltre quelli della Germania, a causa dei timori sull’aumento del deficit fiscale”, alimentati dalla Nadef del governo Meloni.

Secondo Sven Jari Stehn, economista di Goldman Sachs, proprio la recente tensione che ha portato i tassi dei BTP a sfondare la soglia del 5% e  lo spread a superare quota 200 punti base per la prima volta in diversi mesi dovrebbe  convincere la Bce a “muoversi con cautela” riguardo alla fine del PEPP.

Sia i tassi dei BTP che lo spread BTP-Bund sono tornati sotto la lente degli investitori, in un momento che si conferma cruciale per l’Italia, sotto il radar dei mercati anche riguardo ad altri dossier, come la tassa sugli extraprofitti delle banche, l’opposizione del governo Meloni al Mes, la legge di bilancio per il 2024 ovvero la manovra e il Patto Stabilità e crescita , che fisserà tra l’altro, a proposito di BTP e spread, nuove soglie massime sui debiti pubblici e sui deficit che i paesi europei dovranno rispettare.

L’Italia di Meloni, e questa è un’ottima notizia, è riuscita a schivare la minaccia di un peggioramento del rating e/o dell’outlook da parte della prima agenzia di rating che ha annunciato il suo giudizio, ovvero S&P (Standard & Poor’s).

Ma non manca molto al verdetto più importante: quello della ‘sorella’ del rating Moody’s.

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Così intanto François Rimeu, Senior Strategist, La Française AM, commenta quelle che saranno le mosse ormai imminenti della Bce di Christine Lagarde:

Come accennato durante la riunione di settembre, ci aspettiamo che il Consiglio Direttivo (CG) lasci invariati i tassi di interesse nella riunione di ottobre.

Per la precisione, è questo l’outlook di Rimeu, che riassume anche quanto accaduto in queste ultime sessioni:

  • La Banca Centrale Europea (BCE) manterrà i tassi di interesse chiave: 4,0% per il tasso di deposito e 4,5% per il tasso Refi.
  • L’inflazione sottostante (cioè al netto dell’energia e dei generi alimentari) è tendente al ribasso, ma rimane lontana dall’obiettivo del 2%.
  • L’ultimo rialzo dei rendimenti obbligazionari europei, legato principalmente all’impennata dei Treasury statunitensi da settembre, sta inasprendo le condizioni monetarie e dovrebbe indebolire la traiettoria di crescita dell’Eurozona.
  • Il CG manterrà l’approccio “meeting by meeting”, dato l’elevato livello di incertezza (dinamica della crescita salariale, pressione sui prezzi dell’energia dovuta in particolare all’impatto del conflitto in Medio Oriente sui prezzi del petrolio). Pertanto, la Presidente Lagarde probabilmente comunicherà che la Bce è pronta a rialzare nuovamente i tassi se necessario
  • Christine Lagarde ha ribadito che la Banca Centrale manterrà alti i tassi di interesse per tutto il tempo necessario, fino a quando i funzionari della Bce non saranno “sufficientemente fiduciosi” di raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2% entro l’orizzonte previsto (2025).
  • Per quanto riguarda il quantitative tightening, è probabile che le discussioni si intensifichino alla luce degli ultimi commenti provenienti dai falchi della Bce. Tuttavia, non ci aspettiamo ulteriori dettagli sul reinvestimento dei titoli nell’ambito del PEPP, soprattutto prima che la Bce abbia concluso la revisione del quadro operativo prevista entro la primavera del 2024.

In sintesi, Rimeu prevede che il prossimo annuncio della Bce si concentrerà sul messaggio ‘tassi di interesse più alti e più a lungo’ in vista dell’obiettivo di riportare l’inflazione al 2% entro la fine del 2025.

La Bce, secondo l’analista, dovrebbe tenere aperta la porta anche a ulteriori rialzi dei tassi in futuro, visti i rischi di un aumento dell’inflazione, che sono tutto fuorché rientrati.

In generale, non si stima un impatto significativo sui mercati finanziari da questa decisione.

Ma certo, aggiungiamo noi, se i falchi avessero la meglio riproponendo il ‘baratto’ tassi fermi in cambio di più QT (magari sotto forma di minori reinvestimenti effettuati con il piano PEPP) i BTP (e, di conseguenza, lo spread BTP-Bund) potrebbero rischiare di soffrire nuovi scossoni.

In generale, come indica l’articolo del Financial Times, con l’inflazione dell’area euro che continua a salire a un ritmo più che doppio rispetto al target del 2% e con il conflitto Israele-Hamas che sta facendo salire i prezzi energetici, la presidente della Bce Christine Lagarde dovrebbe chiarire che, probabilmente, i tassi rimarranno ai livelli attuali – o anche superiori – per un periodo di tempo”.

Va detto tuttavia che “la maggior parte degli investitori, guardando all’economia dell’Eurozona vicina alla stagnazione e alla traiettoria al ribasso dell’inflazione, ritiene che le probabilità di un ulteriore rialzo dei tassi siano comunque basse”.

“Lasceranno la porta aperta a ulteriori strette monetarie – ha commentato all’FT Konstantin Veit, gestore di portafoglio di Pimco – Ma l’asticella fissata affinché ciò avvenga è piuttosto alta”.

Attenti però, per l’appunto, alla minaccia ‘più QT’. Che spaventa soprattutto l’Italia, già da un po’, con il governo Meloni, ai ferri corti con la Bce di Christine Lagarde.

Le colombe continuano a indicare che, visto il deterioramento dei fondamentali economici dell’Eurozona, è improbabile che l’Eurotower apporti una modifica al piano PEPP.

Dall’altro lato c’è chi, come Robin Brooks, ricorda che, a dispetto di un’Italia che si lamenta spesso e volentieri di non essere sufficientemente blindata dall’Europa, i BTP continuano a beneficiare di un QE che, nel caso di molti altri paesi, ormai non esiste più da parecchio, soppiantato dal QT.

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