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Monday, March 29, 2021

Slitta offerta per Autostrade, si valuta il peso delle clausole legali - L'HuffPost

Fabio FrustaciANSA

Autostrade

Più tempo, ma non troppo. Tre giorni. Sono quelli che si prende la Cassa depositi e prestiti, insieme ai fondi Blackstone e Macquarie, per ragionare ancora sulla nuova offerta per Autostrade. I soldi resteranno gli stessi di quelli messi sul piatto il 23 febbraio e cioè 9,1 miliardi, ma bisogna decidere il destino di una parte di questi soldi. Sono 1,5 miliardi “virtuali”, legati alle garanzie sui rischi: se quest’ultimi si tramutano in fatti certificati dalle decisioni della magistratura allora quel miliardo e mezzo lo deve pagare Atlantia, la casa madre di Autostrade. Il ragionamento ancora aperto è questo: quelle clausole vanno alleggerite? E di quanto? Oppure è più opportuno lasciarle così come sono?

Gli interrogativi non sono di poco conto. Perché non impattano solamente sulla questione della tutela per chi compra Autostrade, ma anche sull’incasso di chi vende. Un conto è una garanzia di 1,5 miliardi, un conto sono 500 milioni. O una cifra intermedia. Più alto è l’importo, minore è l’incasso per i Benetton e per gli altri soci di Atlantia. Le valutazioni sono in corso da tempo e la nuova offerta era attesa sabato. È slittata a domenica e poi ancora a mercoledì. Tre giorni per chiudere il cerchio possono sembrare pochi, ma potrebbero anche risultare sufficienti. Perché in uno di questi tre giorni - lunedì - è in programma l’assemblea straordinaria di Atlantia. Su impulso dei Benetton e di altri soci, l’assise deve decidere se cestinare uno schema alternativo alla vendita a Cdp e ai fondi. Se a prevalere saranno i sì, che tra l’altro hanno ottime chance, Atlantia di fatto si vincolerà alla nuova offerta in arrivo. Ovviamente potrà sempre rifiutarla, ma i Benetton vogliono arrivare a un epilogo distensivo. Vogliono imporre la loro linea all’assemblea, emarginando il fronte dei soci che invece vuole tenere in vita lo schema alternativo e soprattutto chiede più soldi a Cdp e ai fondi. E in questo modo creare le condizioni per arrivare a vendere alla Cassa. Ma allo stesso tempo hanno già lanciato un messaggio, seppure non in maniera esplicita: aspettano un’offerta migliorativa rispetto a quella di febbraio o quantomeno non peggiorativa. 

Ecco perché la vicenda Autostrade è sì vicina a un punto di svolta, ma l’ultimo miglio è ancora caratterizzato da un certo grado di tatticismo tra le parti in causa. Non sono solo i Benetton a giocare la loro partita. C’è la Cassa, da sempre attenta a inquadrare il tutto nel perimetro dell’operazione industriale. Ci sono gli interessi di Blackstone e Macquarie, che non vogliono dissanguarsi. C’è il Governo, che ha validato il lavoro portato avanti in questi mesi dalla Cassa, e con cui ha condiviso la necessità di prendere qualche giorno in più per approfondire la questione delle clausole legali. Il fronte è compatto nel tenere l’offerta sull’asticella dei 9,1 miliardi, ma la questione delle garanzie sui rischi è cruciale e non può essere sottovalutata. Dietro questi rischi c’è il processo a Genova per il crollo del ponte Morandi e tutte le questioni controverse legate ai danni per inquinamento nella costruzione della Variante di Valico. Anche su quest’ultima il Governo e Cdp non vogliono lasciare nulla al caso e da qui a mercoledì anche il ministero dell’Ambiente farà i suoi accertamenti e le sue valutazioni.

Da queste considerazioni scaturirà l’assetto finale della nuova offerta. Dopo che i Benetton sono usciti allo scoperto, marcando una distanza rispetto ai soci di Atlantia che spingono per alzare la posta in gioco, è evidente che la bilancia della trattativa si è posizionata dalla parte di Cdp e dei fondi. L’esito dell’assemblea di lunedì costituirà un altro elemento decisivo per capire se la bilancia potrà essere portata sull’equilibrio con la nuova offerta. Se i Benetton e gli altri soci porteranno l’assemblea a mutilare lo schema alternativo della scissione, è evidente che le parti sarebbero ancora più vicine. Sicuramente questo esito cancellerebbe l’ultimo pezzo di diffidenza che è fisiologica quando due contraenti sono vicini a un’operazione di compravendita.

Ma allo stesso tempo tirare troppo la corda sul fronte dell’offerta potrebbe generare l’effetto opposto e cioè far saltare il banco o allungare i tempi. E questo, a più di due anni e mezzo dal crollo del ponte Morandi, non se lo può più permettere neppure il Governo. Perché se è vero che lo schema che passa per Cdp è stato deciso dal governo Conte, è pur vero che il nuovo esecutivo ha confermato lo schema. Facendo leva su condizioni più distensive rispetto a qualche mese fa. Ma prima della parola fine c’è un’assemblea. E una nuova offerta che deve arrivare sul tavolo di Atlantia. Intorno a quel tavolo siede anche chi vuole molti più soldi, almeno 10,5-11 miliardi. Anche quello è un passaggio che implica posizionamenti e tatticismi. Preludio a un’altra assemblea, quella che dovrà votare l’offerta. Per quella serviranno settimane, non giorni. Ma nei prossimi tre si capirà come si arriverà al giorno che potrebbe chiudere davvero i giochi.

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