Un anno fa, di questi tempi, nel mondo finanziario italiano teneva banco il lancio dell’offerta pubblica di scambio (Ops), poi diventata anche di acquisto (Opas), di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca. A distanza di un anno, il bilancio del 2020 del gruppo guidato da Carlo Messina consente di mettere qualche punto fermo sui numeri dell’operazione che ha consentito alla banca di Bergamo, benché decisamente restia, di entrare nel gruppo Intesa.
Per prima cosa, si può ragionare sull’avviamento negativo, o negative goodwill, da 2,5 miliardi che viene fuori rapportando in sintesi estrema il patrimonio consolidato di Ubi Banca, ossia 9,88 miliardi, ai costi dell’acquisizione, pari a 4,1 miliardi, e a tutta una serie di voci strettamente connesse all’operazione e di segno prevalentemente negativo per Intesa. Tra queste, l’impatto di crediti deteriorati per 1,68 miliardi ma anche la minusvalenza, e quindi in sostanza la perdita, pari a 1,46 miliardi al lordo dell’effetto fiscale e a 1 miliardo al netto dello stesso, registrata dal gruppo di Ca’ de Sass sulla cessione a Bper degli ex sportelli di Ubi Banca.

Da ricordare a riguardo che Intesa, per andare incontro alle richieste dell’Antitrust, ha dovuto cedere 620 filiali e unità operative al gruppo modenese, 587 delle quali di proprietà ex Ubi. Ebbene, la minusvalenza ai fini del calcolo dell’avviamento negativo è soltanto quella relativa agli sportelli che facevano capo alla banca bergamasca, pagati da Bper 620,5 milioni (a cui vanno aggiunti 23,5 milioni per un totale di 644 per arrivare al prezzo complessivo pagato dal gruppo modenese tenendo conto anche delle filiali Intesa).
In realtà, per soddisfare le richieste dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato (Agcm), Intesa lo scorso gennaio ha anche dovuto sacrificare sull’altare della fusione altri 26 sportelli, che passeranno entro giugno alla Banca Popolare della Puglia e della Basilicata.

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Tornando ai 2,5 miliardi di avviamento negativo relativo all’operazione Ubi, che scaturiscono dal valore delle attività acquisite rispetto ai costi collegati all’aggregazione, il numero, come da definizione finanziaria di negative goodwill, tende anche a segnalare che il corrispettivo pagato da Intesa in ultima istanza è stato inferiore rispetto ai valori contabili dei beni trasferiti.
Tuttavia, come si sottolinea nel bilancio del gruppo guidato da Messina, l’avviamento negativo non descrive appieno tutti gli effetti dell’acquisizione di Ubi. Manca ancora tutta una serie di voci connesse alla fusione e da tenere in considerazione, tra cui la minusvalenza di 85 milioni registrata sulla cessione degli sportelli non Ubi ma Intesa a Bper, i 287 milioni al netto dell’effetto fiscale per svalutazione di crediti Ubi, e soprattutto gli 1,38 miliardi di oneri di integrazione complessivi (al netto delle tasse) che contengono gli effetti dell’accordo con le organizzazioni sindacali sulle uscite volontarie del personale, oltre che le spese in tecnologia e consulenze.
Si arriva così a 684 milioni, quel che viene definito “l’effetto contabile positivo rilevato nel conto economico 2020 in conseguenza dell’operazione di acquisizione”. È questa la cifra che, secondo i calcoli di Intesa, descrive il guadagno finale ottenuto comprando la concorrente Ubi.