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Monday, February 27, 2023

Superbonus, le vere conseguenze economiche: quanto peseranno i bonus casa su debito e Pil? - Corriere della Sera

Superbonus, le vere conseguenze economiche: quanto peseranno i bonus casa su debito e Pil?

Brillantemente, il senatore Mario Monti sul Corriere della Sera ha definito l’arcipelago dei bonus immobiliari una «patrimoniale alla rovescia»: un tributo a carico dello Stato tale da accrescere il valore dei beni di coloro che, in gran parte, ne posseggono di più. È senz’altro uno dei problemi del sistema dei crediti d’imposta utilizzabili per pagare fatture e cedibili a terzi in cambio di contante, in sostanza una moneta parallela all’euro e finanziata dal debito pubblico futuro. Come a volte succede in Italia dopo certe sbornie collettive, ora improvvisamente abbiamo aperto gli occhi. Iniziamo a capire che non poteva funzionare. Ma temo che il reale impatto sull’economia e sulla finanza pubblica italiane restino in gran parte da misurare e vedere. E potrebbe non essere un bello spettacolo, come cercherò di spiegare.

Il problema della copertura

In tempi non sospetti, nel 2021, avevo scritto varie volte su vari problemi legati ai bonus immobiliari. La copertura completa delle spese – qualunque esse fossero – stava generando un’irresponsabilità collettiva che ha fatto lievitare il costo di ogni singolo intervento fra due e nove volte i costi di prima o di quelli di altri Paesi europei. Tanto pagava lo Stato, quasi che lo Stato non fossimo tutti noi. La concentrazione delle autorizzazioni sugli edifici più costosi lasciava intuire chi fossero i principali beneficiari del debito che si stava creando: i più ricchi. E l’esplosione delle autorizzazioni soprattutto in Calabria (più 1.000 per cento rispetto al precedente «Ecobonus» al 60%), in Campania e in Sicilia (più 600 per cento) sollevava sospetti sulla natura di certe organizzazioni accomodatesi a questo banchetto.

Gli effetti sul deficit

Giancarlo Giorgetti, oggi ministro dell’Economia, manifestò la sua insofferenza per il sistema dei bonus-casa in un’intervista di più di un anno fa (clicca qui per leggerla). Se però il governo ha agito solo adesso a bloccare l’uso dei crediti d’imposta come fossero moneta con cui si può pagare e che si può trasferire ad altri, è perché adesso c’è una novità. Eurostat, l’agenzia statistica europea, ha messo l’Italia di fronte a una scelta: iscrivere i 120 miliardi di euro di crediti d’imposta già generati nei deficit di questo e dei prossimi quattro o cinque anni; oppure iscriverli a deficit negli anni scorsi durante in quali i crediti d’imposta furono generati (fra il 2020 e il 2022).
La sola cosa impossibile era continuare a far sparire quei costi dai saldi annuali della finanza pubblica.
Il governo ha dunque scelto: gli oneri vanno messi nei conti degli anni in cui i crediti d’imposta cedibili sono stati decisi, fra il 2020 e l’inizio del 2023. Si rivedranno dunque drasticamente al rialzo i disavanzi dal 2020 al 2023 e scopriremo degli anni con deficit vicini o sopra al 10% del prodotto interno lordo, livelli da tarda prima Repubblica.

Un costo astronomico

È una scelta logica, quella del governo, perché mette i costi là dove i bonus sono stati generati. Ma Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti l’hanno fatta anche per un’altra ragione: il costo dell’operazione-trasparenza è così astronomico che l’esecutivo sarebbe finito nella gabbia di una procedura per deficit eccessivo a Bruxelles per tutta la legislatura, se avesse scelto di spalmare l’impatto contabile dei bonus sugli anni a venire. Ho cercato si spiegare i dettagli in un articolo, per chi volesse approfondire questi aspetti.

Circa 35 miliardi di crediti nel limbo

Purtroppo però le conseguenze economiche del superbonus non finiscono qui, anzi non fanno che iniziare. E non solo per la massa di crediti d’imposta generati, riconosciuti o solo sperati, ma che oggi non sono più utilizzabili per pagare un’impresa edile, né più cedibili da un’impresa a una banca in cambio di contante. Questi sono i cosiddetti crediti «incagliati». L’Associazione nazionale dei costruttori (Ance) stima questa massa in 15 miliardi di euro, ma è probabile che altri venti miliardi circa di «incagli» siano oggi rimasti in mano ai proprietari di immobili: per un totale di circa 35 miliardi di crediti d’imposta oggi sospesi nel limbo.

Le banche non sanno più come usare i crediti

Come faccio a dirlo? Perché ho letto la relazione finale (di ottobre scorso) della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche della scorsa legislatura. La commissione aveva poteri di magistratura inquirente, dunque è riuscita a ottenere dalle banche italiane le informazioni necessarie a capire il fenomeno. Eccole. Primo punto: a ottobre scorso le banche si erano già impegnate ad assorbire crediti d’imposta da bonus immobiliari per 77 miliardi di euro. Secondo punto: le banche stimano che pagheranno nei prossimi cinque anni imposte dirette per poco più di 16 miliardi all’anno e per 81 miliardi in tutto. In sostanza, da mesi gli istituti italiani non sono più in grado di accettare crediti d’imposta immobiliari in cambio di contante, perché sanno che non hanno più modo di usarli per ridurre le loro tasse future.

Venti miliardi di crediti in mano alle famiglie

Ma poiché i crediti d’imposta già riconosciuti valgono 120 miliardi (come spiega molto bene il collega Enrico Marro in questo articolo sul Corriere) e poiché le banche non intendono assorbirne per più di 80, ecco che restano 40 miliardi di bonus incagliati da qualche parte. Solo 15 sono in mano alle imprese edili. Ma una ventina di miliardi deve essere in mano alle famiglie, anche se si ipotizza che Poste italiane se abbia assorbito qualcosa.

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Riattivare la cedibilità è un problema

Ma tenetevi forte, perché c’è ancora di peggio fra le conseguenze di questa scelleratissima misura. Non è semplice infatti risolvere il problema semplicemente riattivando la cedibilità dei crediti o allargando il campo delle imposte da cui detrarli: costerebbe troppo allo Stato. Cerco di spiegare perché rievocando poche parole pronunciate il 6 giugno 2019 da Mario Draghi, quando era ancora presidente della Banca centrale europea. Gli fu chiesto cosa pensasse dei «mini-Bot» proposti allora dalla Lega, quale mezzo di pagamento alternativo all’euro da far circolare in Italia (ricordate?). Draghi disse: «I mini-Bot o sono valuta, e quindi sono illegali, o sono debito, quindi lo stock del debito sale. Non credo ci sia una terza possibilità».

I crediti incagliati aumentano il debito

Ora, i crediti d’imposta dei bonus-casa non hanno mai avuto la stessa finalità politica dei «mini-Bot». Non sono stati inventati per preparare l’uscita dell’Italia dall’euro. Ma dal punto di vista concettuale non sono diversi da quei «mini-Bot» che fecero infuriare Draghi: sono debito emesso dallo Stato (sotto forma di minori entrate future) utilizzabile come mezzo di pagamento, cioè come moneta parallela all’euro. Dunque quei bonus devono essere dichiarati illegali dalla Bce, oppure vanno ad aumentare lo stock del debito pubblico dell’Italia e non solo il deficit annuale degli scorsi esercizi di bilancio. Già, ma quando andranno a aumentare il debito? E soprattutto: abbiamo già stimato nel debito pubblico dei prossimi anni l’impatto di quella ventina di miliardi all’anno di tasse in meno che le banche, le imprese edili e le famiglie pagheranno, usando i crediti d’imposta? Quei numeri enormi sono già nel debito previsto e spiegato a Bruxelles o ai mercati finanziari?

Il debito pubblico faticherà a scendere

Difficile dirlo. Le previsioni di gettito nell’ultima «Nota di aggiornamento» del governo indicano un calo delle imposte dirette di una decina di miliardi su quest’anno rispetto al 2022, dunque qualcosa dell’effetto-bonus dev’essere stimato. Ma sul 2024 e il 2025 il gettito sale di 5,5 e poi di altri 11,5 miliardi all’anno. Com’è possibile? Eppure sappiamo che banche, imprese e famiglie pagheranno decine di miliardi in meno in tasse, appunto perché useranno quei crediti d’imposta da bonus. Insomma, qualcosa mi dice che non tutti i costi di quelle misure siano già stati stimati e resi visibili nei nostri conti pubblici futuri. Presto dunque potremmo accorgerci che forse il nostro enorme debito pubblico faticherà molto a scendere nei prossimi anni, malgrado le promesse ripetute e sempre disattese di riportarlo a livelli più accettabili. E l’anomalia italiana in Europa resterà.

Le conseguenze per il Pil

Purtroppo però c’è un ulteriore tema da osservare con cura: le conseguenze immediate per il prodotto interno lordo (Pil) dell’aver interrotto la fornitura di questa costosissima droga all’economia. Come la paglia ravviva il fuoco, così i bonus-casa hanno senz’altro dato una spinta alla crescita negli anni scorsi. Nel 2021 il fatturato del settore costruzioni è cresciuto di 14 miliardi rispetto all’anno prima, secondo l’Istat, fino a valere circa il 5% del Pil; anche il fatturato dei servizi professionali (inclusi geometri e architetti) è cresciuto di 10 miliardi. Se immaginiamo che lo stop al modello-superbonus riduca questi settori anche solo del 10% rispetto al 2022, ce ne sarebbe abbastanza perché la crescita italiana nel 2023 restasse inchiodata a zero. Non di più. La mia non è una previsione, ma questo è un rischio innegabile: uno di più da mettere in conto al più incredibile errore collettivo di politica economica degli ultimi decenni.

Questo articolo è stato pubblicato sulla newsletter del Corriere della Sera «Whatever it takes», clicca qui per iscriverti.

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