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Saturday, December 9, 2023

Piergiovanni Alleva: “La settimana corta può battere la disoccupazione. Nel 1973 il sabato libero portò un mi… - La Repubblica

«Siamo tutti abituati a considerare la settimana lavorativa “standard” composta da 5 giorni, ma in realtà il riposo del sabato è stato introdotto nel 1973. La cosiddetta “settimana corta” compie giusto 50 anni ed è il momento per affrontare quella di 4 giorni, ma senza che diventi un fenomeno di élite. Perché può aiutare a sconfiggere la disoccupazione». Il giuslavorista Piergiovanni Alleva, già consigliere regionale eletto con la lista di sinistra “L’altra Emilia-Romagna”, aveva presentato già nel 2019 un progetto di legge regionale, poi sostenuto da tutta la maggioranza di viale Aldo Moro, per ridurre i giorni di lavoro da 5 a 4. Quello che oggi hanno deciso di fare aziende di primissimo piano come la Lamborghini.

Professor Alleva, perché lei mette in relazione la settimana lavorativa di 4 giorni con la lotta alla disoccupazione?

«Prima di tutto perché nel 1973, quando venne introdotta la settimana corta, ci fu un effetto occupazionale evidentissimo: 1 milione di posti di lavoro. Si è poi constatato che questo effetto si ottiene solo quando viene meno una intera giornata di lavoro, non quando si riduce l’orario delle singole giornate di lavoro. Ci sono quindi due fenomeni che si realizzano nello stesso tempo».

Quali?

«Cambia radicalmente la vita del lavoratore che ha a disposizione un giorno alla settimana in più, perché in quel giorno si possono seguire i figli, fare volontariato, oppure visitare mostre o andare al cinema. Ma soprattutto si crea uno spazio di tempo di lavoro che può essere riempito».

Si possono ipotizzare nuove assunzioni, per svolgere il lavoro in più che non viene fatto nei 4 giorni pattuiti?

«Esatto, togliere una giornata oggi significa il 20% in meno di tempo lavorativo, se questo fosse riempito da disoccupati, visto che la disoccupazione oggi è del 9%, è chiaro che si eliminerebbe del tutto. Poi è chiaro che ci sono molti altri motivi per cui c’è la disoccupazione, ma potenzialmente parliamo di un grande avanzamento collettivo».

Cosa manca oggi perché si compia questo avanzamento?

«Nella legge regionale dicevamo che la riduzione di orario dovesse andare di pari passo con dei contratti di espansione e pensavo che questo potesse essere il posto occupato dai percettori di reddito di cittadinanza. Con la somma del reddito, si sarebbe potuta finanziare la riduzione di orario. Ci sono aziende che hanno una produttività molto alta e se lo possono permettere, per gli altri serve una misura del genere».

Secondo lei l’iniziativa di alcune singole aziende non è sufficiente?

«Io sono lietissimo di questa riduzione di orario di aziende come Lamborghini o Luxottica, perché credo che sia un avanzamento civile. Ma è solo la metà dell’opera. L’altra metà è l’impatto occupazionale che ci dovrebbe essere. Perché se ne facciamo solo una rivendicazione dallo slogan: meno orario, stesso salario, questa finisce per essere solo una rivendicazione dell’aristocrazia operaia. Bisogna coniugare questa riduzione con la gestione dello spazio libero che rimane».

Non c’è un beneficio automatico da questo punto di vista?

«No, bisogna curare lo spazio occupazionale che si crea, coltivandolo con misure idonee. Può essere un impegno molto grosso per i sindacati, penso tuttora che serva anche una misura legislativa nazionale».

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