Simona Granati - Corbis via Getty Images
L’ha detto il ministro del Lavoro Andrea Orlando. Con un atto di trasparenza totale, gesto molto raro in una stagione in cui la pandemia può funzionare da capro espiatorio per tutto. Ha detto che c’è “una serie di resistenze” sulla riforma degli ammortizzatori sociali. E - ha aggiunto - queste resistenze “sono un dato con il quale fare i conti”. Ecco la questione che si apre è quale sarà il risultato di questi conti. Se cioè alla fine preverranno le resistenze, quelle dei fondi che hanno in mano la gestione di alcuni ammortizzatori, ma anche quelle delle imprese e dei sindacati. O se la spunterà quello a cui aspira la riforma e cioè una tutela per 3 milioni di lavoratori che nella stagione ordinaria - quella prima del Covid - non avevano alcuna protezione, cioè niente cassa integrazione o un altro ammortizzatore sociale. E che senza riforma saranno ancora esclusi. Non tra dieci anni, ma dall’autunno, quando lo stop al blocco dei licenziamenti li esporrà a una fragilità già sperimentata e non ancora risolta.
Ora non è la prima volta che un interesse oggettivamente prioritario - in questo caso l’estensione di un diritto e di una protezione a chi oggi non ce l’ha - soccombe agli interessi di parte. Dall’articolo 18 ai contratti, il dibattito (e le leggi) che riguardano il mondo del lavoro in Italia degli ultimi dieci anni è stato fagocitato da tira e molla, trattative al ribasso, arroccamenti e diktat. Il che, fino a un certo punto, può rientrare nella legittima dialettica democratica tra interessi e diritti differenti, quelli del datore di lavoro e quelli dei lavoratori solo per fare un esempio. Ma oggi la questione è molto diversa. Ed è il virus a dire che o la riforma degli ammortizzatori sociali si fa, e subito, oppure tre milioni di lavoratori si troveranno scoperti quando a fine ottobre potranno essere licenziati. Non parliamo dei lavoratori della grande industria (il blocco dei licenziamenti per loro potrà scattare dal primo luglio), ma del negoziante come dei camerieri di un ristorante con meno di cinque dipendenti. Sono 1,9 milioni di lavoratori, a cui vanno sommati i co.co.co. In tutto si arriva a 3 milioni.
Prima della pandemia, come si diceva, questi lavoratori non erano coperti dalla cassa integrazione o da un altro ammortizzatore sociale. Sono stati salvati dal governo Conte, e poi ancora da quello Draghi, con la cassa Covid, quella pagata dallo Stato e non dalle aziende. L’Inps nel 2019 ha autorizzato e pagato 259mila ore di cassa integrazione. Lo ore nel 2020, con l’aggiunta dei primi tre mesi del 2021, sono diventate 4,4 miliardi. Ma presto o tardi ci sarà un post Covid, l’ombrello del salvataggio pubblico dovrà chiudersi. Il vecchio Governo e quello attuale hanno messo in cantiere una riforma, un paracadute insomma. Ma per aprirsi questo paracadute deve avere il via libera di tutti. Il ministero del Lavoro e l’Inps guidato da Pasquale Tridico hanno preparato una bozza, ma ecco che sono spuntate le resistenze.
Lo schema prevede una semplificazione che tende appunto ad estendere la tutela degli ammortizzatori sociali. Da una parte la cassa integrazione ordinaria, una delle forme che esistono già oggi. Dall’altra un Fondo unico. Solo che un solo fondo significa accorpare i 20 fondi che oggi hanno in mano un pezzo degli ammortizzatori sociali. E questo significa che ognuno di questi fondi deve lasciare per strada un pezzo di sovranità, cioè rinunciare a quel potere di intermediazione che hanno oggi perché sono loro, nel rispettivo campo di competenza, a determinare chi deve ricevere l’ammortizzatore. E poi ci sono i sindacati, che fanno parte dei fondi. E le imprese, che pagano la cassa integrazione. Nelle riunioni che si stanno svolgendo anche in questi giorni è tutto un susseguirsi di resistenze. Quelle dei fondi, che si mettono di traverso al Fondo unico. Quelle delle imprese che temono di uscire danneggiate dalla revisione delle aliquote. Meglio - è il loro ragionamento - tenere aliquote diverse e quindi un regime con dislivelli evidenti tra le diverse forme di cassa integrazione che convogliare verso l’ammortizzatore unico. Tra l’altro l’aliquota media dell’ammortizzatore universale, quella che varrebbe per tutti, sarebbe un po’ più bassa della media attuale di tutte le aliquote. Questo implica che chi oggi ha un’aliquota bassa versi un po’ di più. In nome di un interesse comune, che è l’estensione della tutela della cassa integrazione a chi non ce l’ha. Ma a discapito di un interesse di parte, in questo caso di un versamento che diventerebbe più cospicuo quando si tratterà di pagare la stessa cassa integrazione. Eppure la pandemia doveva essere l’occasione per correggere le distorsioni strutturali. Doveva.
Universale sia la cassa integrazione, non il capriccio di sindacati e imprese - L'HuffPost
Read More
No comments:
Post a Comment