Oggi
nel mondo si producono 73,9 milioni di tonnellate di idrogeno per un valore di mercato di 150 miliardi di dollari.
Il 96% arriva da combustibili fossili, si chiama idrogeno «grigio» e per farlo si utilizza come materia principalmente il metano, ma anche il petrolio e il carbone.
Un processo che libera 9 kg di CO2 ogni kg prodotto ed è quindi incompatibile con gli obiettivi di emissioni zero.
L’industria petrolifera spinge per l’idrogeno «blu»: il processo è lo stesso di quello grigio, ma la CO2 prodotta verrebbe catturata e stoccata nei giacimenti esausti di petrolio e gas. Su questa tecnologia sono stati investiti nel mondo molti soldi, con risultati deludenti: vari progetti sono stati chiusi. C’è l’esperimento della Norvegia, che utilizza un giacimento esausto di gas per stoccare CO2. Si trova nel mezzo del mare del Nord, lontanissimo dalla terraferma (
guarda qui). Ed è quello che vorrebbe fare l’Eni nel suo giacimento di metano esausto di fronte a Ravenna (
guarda qui). Ma utilizzare combustibile fossile per trasformarlo in idrogeno, e sotterrare la CO2 prodotta, richiede una enorme quantità di energia. Il vantaggio per l’industria però è un altro.
Per spremere dai giacimenti fino all’ultima goccia di petrolio, oggi si iniettano liquidi e vari gas (per aumentare la pressione);
domani si potrebbe spingere dentro solo la CO2 prodotta facendo idrogeno. Problema: l’anidride carbonica una volta sotterrata diventa liquida, e poiché parliamo di volumi potenzialmente enormi, secondo il Cnr occorre valutare attentamente il rischio sismico, che in Italia è quello che è.
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Idrogeno verde contro CO2: nel Recovery Plan 3,19 miliardi. Opportunità o grande ubriacatura? | Milena... - Corriere della Sera
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