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Sunday, October 31, 2021

Vegan Day, cambio di scenario al supermercato, è boom di prodotti vegetariani e vegani - Lifestyle - Agenzia ANSA

Ragioni etiche e ambientaliste da molti anni ormai hanno determinato l'aumento di persone orientate verso regimi alimentari, vegetariani o vegani oppure, ed è la maggior parte, ad un regime flessibile in cui lo spazio per i prodotti di origine animale è molto ridotto rispetto a prima. Il World Vegan Day, che si celebra il giorno 1 di novembre e da' inizio al World Vegan Month, è l'occasione per parlarne. Un'ottica interessante per leggere il nuovo fenomeno è l'analisi dei volantini e dei cataloghi digitali dei supermercati: come tutti noi possiamo constatare osservando l'aumentato spazio dedicato al settore vegan, la ricerca di Tiendeo.it, che opera nei servizi drive-to-store per il settore retail ed esperti in cataloghi digitali, ha preso in esame i dati degli ultimi tre anni relativi alle ricerche di carne e di frutta e verdura, oltre a quelle specifiche di prodotti vegani. I risultati sono uno specchio della tendenza globale, che promuove un consumo responsabile di prodotti a base di carne, recuperando abitudini alimentari che includano alternative vegetariane e al tempo stesso nutritive. Secondo i dati della FAO, nella seconda metà del XX secolo, il consumo di carne si è moltiplicato per cinque a livello mondiale (1950: 45 milioni di t/anno, 2000: 233 milioni di t/anno) ora si assiste ad una inversione di tendenza perlomeno in Italia. 
Crescono le ricerche di frutta e verdura, diminuiscono quelle della carne
I consumatori ricercano in modo crescente frutta e verdura. Da un’analisi dei dati relativi agli ultimi tre anni infatti, si registra un aumento del 59% rispetto al 2019. Tendenza che già si delineava in modo chiaro nel 2020, con un aumento del 53% rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda invece la carne, nel 2020 si è registrata una diminuzione del -7% nelle ricerche dei consumatori, mentre nel 2021 il salto è stato decisamente importante, con un crollo del 38% rispetto ai dati del 2019.
Le offerte di prodotti vegetariani e vegani si moltiplicano per tre nell’ultimo anno
Sono in molti i consumatori che introducono alimenti vegetariani e vegani all’interno della propria alimentazione, e i retailer lo sanno. Non a caso nell’ultimo anno, a riprova di questa tendenza diffusa ormai in modo trasversale tra la popolazione italiana, sono i dati relativi alla presenza di offerte di prodotti vegetariani e vegani all’interno dei volantini dei retailer. L’analisi si basa sull’intervallo di dati da gennaio 2020 a settembre 2021, e il grafico mostra chiaramente il cambio di scenario a cui stiamo assistendo: mettendo a confronto ad esempio settembre 2020 e settembre 2021, la crescita di promo di prodotti vegetariani e vegani è del 182%.
A generare preoccupazioni è soprattutto l’impronta idrica della produzione di prodotti animali (ovvero il volume totale di acqua dolce impiegata per produrre un prodotto). Per prendere due estremi, l’impronta idrica della carne di manzo è di 15.400 litri per kg, mentre quella del pomodoro è di 200 litri per kg. Secondo l'UNESCO-IHE Institute for Water Education, per produrre un grammo di proteine da carne bovina occorre una quantità di acqua 6 volte superiore a quella necessaria per produrre un grammo di proteine da legumi. Ma non è tutto, perché vi sono ripercussioni anche sulla deforestazione, la degradazione del suolo e sulle di emissioni di CO2. Per avere un’idea dell’impatto delle nostre abitudini alimentari sulla produzione di gas serra, basta pensare che le principali 20 aziende zootecniche del mondo emettono in totale 932 milioni di tonnellate di CO2, ovvero più di quanto emesso da stati come Regno Unito, Germania o Francia (la Germania, il più inquinante, ne produce 902 (Meat Atlas 2021). 
Sono dati che fanno riflettere e che stanno portando a uno spostamento degli interessi dei consumatori, dettati da scelte responsabili in fatto di consumi e alimentazione.

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Revisione auto e moto 2021: aumento da martedì. Come ottenere il bonus veicoli sicuri - QUOTIDIANO NAZIONALE

MPS. In 6 domande le risposte ai perché della crisi. - Nicola Porro

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Ricevo spessissimo vostre mail con cui mi chiedete approfondimenti rispetto a temi già  trattati. Quella che mi manda Mario da Torre del Greco però può trasformarsi in un modo vero e nuovo d’interagire con voi. Domande e risposte. Oggi sei domande e sei risposte.

  1. Quali sono i numeri del Monte dei Paschi di Siena? Cosa rappresenta nel panorama del Mondo Bancario Italiano?

E’ quasi superfluo ricordare che MPS fondata nel 1472 sotto forma di Monte di Pietà, per correre in aiuto alle classi disagiate della popolazione della città di Siena, è la più antica banca in attività ed è ritenuta anche la più longeva al Mondo.

Tornando ai numeri della Banca va detto che sono talmente importanti che MPS è considerata una di quelle aziende “Troppo Grandi Per Fallire”. Vediamoli nel dettaglio

4,5 milioni di clienti,

21.000 dipendenti 

1500 filiali e 200 Uffici Specializzati

150 miliardi di euro di patrimonio totale

Sotto l’egida di MPS c’è anche Banca Widiba (Wise-Dialog-Bank)  che utilizza una rete di 600 consulenti finanziari in tutta Italia.

2. Senza entrare nel merito dei quanto accaduto, del perché delle difficoltà di MPS, quanti soldi sono stati versati per tenere in vita Monte dei Paschi di Siena?

 I primi guai, quelli veri, per MPS cominciano nel 2008. Ricordiamo che siamo nell’anno della grande crisi finanziaria. MPS ha bisogno di denaro, denaro che chiede agli italiani attraverso un aumento di capitale.

L’operazione funziona e la banca a casa una sovvenzione importante pari a 5 miliardi di euro.

Da quel momento la sequenza degli aiuti è la seguente:

2 Aumento di capitale del 2011: 2,152 miliardi di euro

3) Aumento di capitale del 2014: 5 miliardi di euro

Aumento di capitale del 2015: 2,993 miliardi di euro ( In questo caso i soldi vengono versati da tutte le altre banche attraverso il Fondo Interbancario).

Si arriva così al 2017 quando la Banca, ancora in forte difficoltà, torna sul mercato a chiedere ancora soldi agli italiani attraverso un altro aumento di capitale. Ma con l’Istituto così mal messo, il rischio vero era legato la richiesta non trova risposte dai risparmiatori.  Così, per evitare il fallimento, è costretto ad intervenire il Ministero dell’Economia. L’esborso per il salvataggio è di altri 8,327 miliardi di euro di cui 5,4 miliardi sottoscritti dallo Stato, la differenza invece, recuperata attraverso la liquidazione di obbligazioni subordinate, in parte ristorate.mDetto questo e considerati tutti i  pinti da Bi

Totale: 23,472 miliardi di euro

3. Quanto è costato alle famiglie italiane tenere in piedi il MONTE?

Bhe fare i conti non è difficile. 

Se togliamo i 3 miliardi versati dalle banche (quindi non direttamente da cittadini) nel 2015, resta un capitale versato nelle casse del Monte di 20,472 miliardi

Se dividiamo questa somma per 25 milioni e 700 mila che sono le famiglie secondo l’Istat presenti in Italia avremo che ogni famiglia ha sborsato quasi 800 euro per le ricapitalizzazioni del Monte. 

Questi aiuti di fatto (anche quelle delle altre banche) si sono in pratica volatilizzati. Il Mercato ha continuamente punito le azioni di MPS il cui valore complessivo di Borsa oggi è di poco oltre il Miliardo di euro.

Pensate che anche il MEF ha in pancia le azioni acquisite nel 2017 per 5,4 miliardi. Ebbene oggi quelle stesse azioni hanno perduto 4,57 miliardi del loro valore, in pratica al MEF è rimasto un valore di circa 800 milioni rispetto ai 5,4 miliardi versati.

4. E adesso ci sarebbe necessità di altri aiuti?

Sì. MPS è stata la peggior banca europea nel corso degli ultimi Stress Test fatti dall’ EBA (L’autorità Bancaria Europea). Pensate il suo indice di solidità è sceso in condizione di stress quasi a zero, allo 0,1% per la precisione (calcolate che una banca in salute dovrebbe andare dal 9% in su). Per cui proprio in concomitanza del momento in cui lo Stato Italiano, secondo gli accordi presi (previsto per fine anno) cedere la propria posizione su MPS ecco che arriva la necessità di un nuovo aumento di capitale, previsto intorno ai 3 miliardi circa.

Naturalmente anche questa operazione sarebbe rientrata nel pacchetto di trattative con Unicredit, trattative che per ora, salvo ritorni di fiamma, sembrerebbero essersi arenate, ancvhe se non definitivamente.

5. Come vedi la querelle su filiali e dipendenti nella trattativa con Unicredit?

Sterile. Ci si sta confrontando su qualcosa che di fatto non ci sarà più (le filiali) che stanno letteralmente sparendo grazie o per colpa della digitalizzazione.

Vorrei far riflettere anche i banchieri e le istituzioni italiane sul fatto che oggi abbiamo anche uno scenario completamente nUovo da considerare.

Il caso BBVA (mentre qui si litiga su cose vecchie, arriva il nuovo, dall’estero).

6. Hai qualche dato in più sul perché delle scelte di Unicredit di rompere la trattativa:

Ci sarebbe tanto da dire, ma uno dei parametri nuovi che hanno fatto raffreddare gli interessi di Orcel è legato alle sofferenze ( crediti che rischiano di non rientrare).

Secondo il bilancio al 30 giugno sarebbero 4,2 miliardi, mentre sembra che ad Unicredit ne risultino ben 17,8 miliardi . Questa cifra, se l’indiscrezione che ho ricevuto fosse confermata, lascerebbere nell’immaginario dei presidenti odierni

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Khaby Lame in uno spot ufficiale con Mark Zuckerberg per il lancio di Meta - Hardware Upgrade

Di Meta, il nuovo nome della società una volta chiamata Facebook (il social continuerà a chiamarsi Facebook), si è fatto un gran parlare in questi giorni considerando anche quanto il suo ecosistema sia diffuso. Che sia una mossa per "pulirsi l'immagine" e guardare a un futuro diverso (positivo o meno, si vedrà) sicuramente l'impatto sarà grande. Per questo serviva un testimonial d'eccezione, che andasse oltre Mark Zuckerberg. Una persona come Khaby Lame.

Se il metaverso è stato lanciato con la frase "siamo all'inizio del prossimo capitolo di internet e del prossimo capitolo della nostra società" scegliere personaggi del Web già noti e con un volto non solo popolare ma anche simpatico e giocoso aiuta a togliersi l'aria da corporation cattiva dei fumetti (o almeno ci si prova).

Khaby Lame nello spot ufficiale per Meta di Zuckerberg

Nel breve filmato di circa 20" vediamo così apparire Khaby Lame a fianco proprio di Mark Zuckerberg. Ovviamente non potevano mancare i noti sketch comici del ragazzo italiano, unendo però l'elemento Meta nel mezzo. Non si tratta di un video realizzato come goliardia. Questo è un vero e proprio elemento pubblicitario considerando che si trova sulla pagina ufficiale della nuova società su Facebook.

khaby lame meta zuckerberg

E così si salta da un universo all'altro per mostrare le potenzialità della nuova realtà che punterà sull'interazione virtuale ancora più spinta. Non a caso la realtà virtuale/realtà aumentata vengono mostrate come modalità di interazione e immersive (legate a doppio filo ai visori Oculus).

E se inizialmente viene mostrato uno Zuckerberg serio intento a spiegare, verso metà filmato lo si vede sorridente e vestito da schermitore (passione che pratica anche con la figlia). Il video si conclude con il classico gesto che ha reso famoso Khaby Lame mostrando la "semplicità" del concetto di Meta e del metaverso. Basterà a convincere gli utenti che utilizzano i servizi della società? Del resto stiamo parlando di Facebook, WhatsApp, Instagram, Oculus che raccolgono un fetta importante della popolazione mondiale.

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Revisione auto, da martedì 2 novembre scatta il maxi-rincaro del 22%: ma per alcuni c'è il bonus - Il Messaggero - Motori

Da dopodomani scatta il rincaro delle revisioni delle auto. Dal 2 novembre, infatti, ci sarà un aumento dei costi di circa del 22%, ma qualcuno vedrà questa crescita dei prezzi mitigata dal cosiddetto «buono veicoli sicuri». A ricordarlo oggi è la Cgia di Mestre, con gli artigiani che spiegano la ratio dietro questi aumenti nel mantenere elevato il livello del servizio. Tuttavia molti automobilisti rischiano di essere colpiti dopo i già preoccupanti aumenti di benzina e diesel, che si sommano alla stangata in bolletta sull'energia elettrica e il gas a inizio ottobre.

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Maxi-rincaro delle revisioni auto, gli aumenti previsti

Da calendario doveva entrare in vigore il 1 novembre; ma essendo una giornata di festa, il rincaro scatterà dal giorno successivo, ovvero da martedì 2 novembre. Con l'emanazione del Decreto attuativo da parte del Ministro Infrastrutture e dei Trasporti diventa infatti operativo da martedì l'incremento della tariffa per le revisioni delle auto che salirà da 45 a 54,95 euro. Lo ricordano gli Artigiani di Mestre.

Se il controllo periodico viene effettuato in un centro revisioni privato, a questa cifra vanno aggiunte l'Iva (22%), la tariffa motorizzazione (10,20 euro) e le spese postali (1,78 euro), per un totale di 79,02 euro, che rappresenta il 18% in più rispetto ai 66,88 euro attuali. Roberto Bottan, Presidente della Cgia e anche del comparto auto degli artigiani mestrini afferma: «la tariffa era bloccata dal 2007, ma in questi ultimi anni gli investimenti da parte delle imprese imposti per legge dal Ministero dei Trasporti sono stati ingenti: sia insicurezza, in formazione e soprattutto in innovazione tecnologica, necessaria per eseguire le verifiche legate alle revisioni».


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«L'aumento di 9,95 euro - prosegue Bottan - risponde alla necessità di garantire da un lato la sostenibilità economica dei centri di controllo e dall'altro il mantenimento di uno standard qualitativo elevato del servizio revisioni, senza trascurare lo scopo principale che è rappresentato dalla sicurezza stradale e dalla tutela degli utenti».

La possibilità di mitigazione

Dalla Cgia ricordano che per mitigare, in parte l'aumento, la normativa prevede l'erogazione di un «buono veicoli sicuri», del valore di 9,95 euro. I destinatari saranno gli utenti che, tra il 2021 e il 2023 sottoporranno il proprio veicolo a revisione. Gli utenti interessati potranno presentare la richiesta del bonus di 9,95 euro a decorrere dalla data di entrata in esercizio della specifica piattaforma digitale, che sarà l'unico strumento attraverso cui richiedere il contributo, previa registrazione alla piattaforma stessa con Spid, carta d'identità elettronica o carta nazionale dei servizi.

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La piattaforma entrerà in funzione a decorrere dal 21 dicembre. La richiesta è infatti completamente a carico dell'intestatario del veicolo, che potrà effettuarla solo dopo aver eseguito la revisione. La legge ha previsto per questo bonus uno stanziamento di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021-2023. Il contributo sarà valido per un solo veicolo a motore e per una sola volta nel triennio. A livello nazionale potranno accedere circa 402 mila persone all'anno su 17 milioni (16 milioni nei centri privati e un milione nelle sedi della motorizzazione).

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G20: moda sostenibile, il principe Carlo lancia il certificato di tracciabilità - Lifestyle - Agenzia ANSA

Un certificato digitale che racconta la storia di ogni capo di abbigliamento, ne permette la tracciabilità, ma soprattutto risponde al "diritto delle persone di sapere se ciò che comprano è creato in modo sostenibile". Ne è convinto il principe Carlo che, a margine del G20, a villa Wolkonski - la residenza dell'ambasciatore britannico a Roma - ha lanciato un'iniziativa nell'ambito della 'Fashion Taskforce' voluta dallo stesso erede al trono britanicco per esplorare, studiare, proporre, un percorso più sostenibile per la moda, che è tra i settori industriali più inquinanti.
    L'evento si è tenuto nei giardini della villa che conta 11 ettari di verde, orto compreso, con i responsabili delle maggiori aziende coinvolte, per presentare il Digital ID, un vero e proprio passaporto digitale che accompagna ogni capo, portando con sè tutte le informazioni necessarie ad allungarne il ciclo vitale.
    "Le persone hanno il diritto di sapere se ciò che comprano è creato in modo sostenibile e abbiamo la responsabilità di dirglielo, perché crediamo veramente nei principi condivisi di trasparenza, responsabilità e applicazione", ha detto il principe Carlo parlando prima dell'evento, "La moda è uno dei settori più inquinanti del mondo, ma questo nuovo Digital ID mostra come il business sia impegnato in un cambiamento significativo e misurabile: fornire ai clienti le informazioni di cui hanno bisogno per fare scelte più pulite, sane e sostenibili. Dimostra che il business non si limita a parlare di questi problemi, ma che è passato all'azione". 
- Leggi anche Etichette trasparenti nella moda
   

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Paga l'assicurazione e crede di essere in regola: truffa scoperta dai Carabinieri - BolognaToday

Due persone denunciate per truffa ad Alto Reno Terme: hanno incassato 350 euro per l'assicurazione di un'auto che non esisteva. La scoperta è stata fatta dai Carabinieri. Si tratta di due 50enni (un uomo e una donna) originari di Napoli e la vittima del raggiro è invece un operaio di origini marocchine regolare in Italia e residente a Porretta Terme. 

Quando l'uomo marocchino è stato fermato dai Carabinieri per un controllo su strada è risultato che il veicolo in realtà non era assicurato: l’automobilista però ha fornito tutti i documenti in regola e la copia del bonifico del saldo dell’assicurazione. E' così che sono partiti gli accertamenti fino alla scoperta della truffa e la denuncia della coppia. 
 

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Da domani scatta il rincaro per le revisioni di auto e moto, ma c’è un bonus - LinkOristano

Cagliari

Le informazioni utili

Fare la revisione della propria auto, moto o anche del proprio furgone costerà 10 euro in più. I rincari saranno effettivi a partire da domani, lunedì 1 novembre.

La revisione di una vettura presso i centri convenzionati costerà 79,02 euro contro gli attuali 66,88 euro.

Cambia anche l’importo in Motorizzazione: oggi la revisione costa 45 euro, da lunedì l’importo passerà a 54,95 euro.

Il Governo ha però previsto un bonus della durata triennale da 9,95 euro, che va a coprire l’aumento effettivo per le revisioni in Motorizzazione. Potrà essere richiesto una sola volta e per un solo veicolo.

Il bonus sarà assegnato secondo l’ordine temporale di ricezione delle richieste. Per ora sono stati stanziati appena 4 milioni di euro.

Il Governo ha previsto anche l’attivazione di una piattaforma online, non ancora utilizzabile. Per accedere sarà necessario autentificarsi con lo Spid, con la carta d’identità elettronica o con la carta nazionale dei servizi.

Sabato, 30 ottobre 2021

Se ritieni che questa notizia possa essere integrata con ulteriori informazioni o con foto e video inviaci un messaggio al numero Whatsapp 331 480 0392

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Imprese salvate dai lavoratori, dall’acciaio alla ceramica la soluzione delle crisi aziendali… - Il Fatto Quotidiano

Gianetti Ruote, storica fabbrica di ruote d’acciaio attiva in provincia di Monza e Brianza: 152 lavoratori licenziati con una mail. Timken, bresciana, settore automotive: a luglio comunica lo stop dell’attività. Gkn, multinazionale britannica: chiude lo stabilimento di Campi Bisenzio e annuncia che lascerà a casa tutti i 422 dipendenti (procedura poi revocata dal tribunale del Lavoro). Riello: addio all’Abruzzo per delocalizzare in Polonia. Sono solo alcuni dei casi recenti di “ristrutturazioni” sulla pelle dei lavoratori, spesso senza reale fondamento economico. Mentre il decreto anti delocalizzazioni annunciato in agosto resta ostaggio delle divisioni interne al governo, una potenziale soluzione forse può venire “dal basso”. Si chiama Workers Buyout (Wbo): i dipendenti di un’azienda in crisi rilevano un ramo fallito dell’attività in cui lavorano e ne diventano i gestori, dando origine a una cooperativa. Lo fanno investendo la Naspi, cioè l’indennità di disoccupazione: grazie alla legge Marcora del 1985 possono chiedere che venga erogata tutta in una volta invece che ogni mese per il periodo spettante a ciascun lavoratore in base all’anzianità.

Negli ultimi dieci anni Cooperazione Finanza Impresa, società partecipata da Mise, Invitalia e dai fondi mutualistici dell’universo cooperativo, ha finanziato 85 esperienze di questo genere, per un totale di 2.238 addetti. Solo 13 hanno chiuso, le altre resistono. E sono sopravvissute anche alla pandemia. Secondo il Forum Disuguaglianze Diversità, che riunisce otto organizzazioni di cittadinanza attiva, in molti casi potrebbero diventare la strada maestra per evitare di disperdere il patrimonio di un’azienda che intende chiudere e i posti di lavoro. Le ultime due leggi di Bilancio hanno dato una spinta in questa direzione perché stabiliscono la non imponibilità della Naspi e del Tfr chiesti dai lavoratori per rilevare un’azienda in crisi. E la prima manovra del governo Draghi riconosce alle cooperative di lavoratori, per massimo 24 mesi, l’esonero dal versamento del 100% dei contributi (con l’esclusione di quelli dovuti all’Inail) fino a 6.000 euro su base annua. Un’ulteriore manifestazione di fiducia nei confronti di queste imprese: “L’abbiamo voluto come parte integrante della riforma degli ammortizzatori sociali”, ha spiegato il ministro del Lavoro Andrea Orlando.

LE STORIE – Wbo Italcables Società Cooperativa esiste dall’aprile del 2015. Nasce quando gli attuali 51 soci – ed ex dipendenti di Italcables spa – decidono di rilevare lo stabilimento industriale in liquidazione a Caivano, specializzato nella produzione di cavi di acciaio per il cemento armato. L’idea parte dagli operai stessi quando nel 2013 si ferma la produzione e l’azienda rischia il fallimento. Creano la cooperativa e comprano l’azienda grazie alla Naspi: si salvano così. Poi c’è ScreenSud, a Napoli, composta da ex lavoratori della Lafer, un’azienda specializzata nella produzione di reti in acciaio. Nel 2012 è andata in liquidazione. Con il sostegno di Cooperazione Finanza Impresa, Coopfond e il FondoSviluppo – i fondi mutualistici di Legacoop e Confcooperative – rilevano la fabbrica fallita e creano una cooperativa costituita da dodici lavoratori. Nel 2015 acquistano i macchinari, si trasferiscono in un nuovo stabile e ripartono. Rimaflow invece prende origine da Maflow, storica fabbrica nel settore automotive di Trezzano Sul Naviglio nel Milanese che nel 2009 va in insolvenza e viene posta sotto commissariamento. Dopo un anno e mezzo passa a una proprietà polacca e 240 dipendenti rimangono in Cigs. Nel 2012 prende corpo fra gli operai l’idea di avviare una cooperativa e nel 2013 diventa ufficiale. Gli ex dipendenti si occupano di distribuzione e realizzazione di prodotti alimentari. In sede operano inoltre alcune di botteghe artigiane attive fra gli altri nel campo della falegnameria, carpenteria metallica, tappezzeria. Più recente il caso di Ceramiche Noi, società cooperativa nata dalle ceneri di Ceramisia con sede a Città di Castello, non lontano da Perugia. Dopo che i vertici decidono di delocalizzare la produzione in Armenia, il personale resta senza lavoro. Marco Brozzi, all’epoca direttore, sceglie la strada del Wbo dopo un confronto con Legacoop Umbria. Investono 180mila euro fra Tfr e Naspi e avviano una cooperativa. Nel 2020, a un anno dall’apertura, inaugurano il loro primo punto vendita. In due anni raddoppiano il numero dei lavoratori, passati da 11 a 22: è stato inoltre comunicato ai dipendenti il passaggio del contratto da tempo determinato a indeterminato.

IL PERCORSO – Ma a quali condizioni un’esperienza del genere ha chance di successo? “Non tutte le crisi aziendali si prestano alla trasformazione in Wbo. La dimensione ideale è quella delle piccole medie imprese con non più di 250 addetti e 50 milioni di euro di fatturato”, spiega Alessandro Viola, responsabile istruttoria e sviluppo di Cfi, Cooperazione Finanza Impresa, investitore istituzionale in capitale di rischio che dal 1986 sostiene le cooperative di lavoro e sociali. Oltre a finanziare i progetti, aiuta i lavoratori nella valutazione dei potenziali rischi e benefici. “Vanno considerati alcuni fattori. Prima di tutto, capire il perché del fallimento dell’impresa stessa”, prosegue Viola. “Se non ha retto per problemi legati alla gestione della proprietà o per fattori straordinari c’è una maggiore possibilità che il Wbo abbia successo. Se invece si registra una crisi di mercato o di prodotto significa che la partenza sarà in salita”. Fondamentali alcuni fattori: discontinuità con la precedente proprietà e management, almeno una leadership all’interno del gruppo, una forte motivazione dei lavoratori coinvolti. Una eventuale mancanza di competenze può essere colmata con personale esterno e percorsi formativi. C’è poi da verificare la ragionevolezza del piano industriale, attraverso il quale annullare o mitigare le cause responsabili della precedente crisi.

Il rischio di insuccesso ovviamente c’è, ma “in verità i casi sono pochi, considerando che il wbo è pur sempre una start up. Negli ultimi 10 anni solo 13 su 85. A volte è mancato il cambio di mentalità, da operai a imprenditori. È cruciale investire tempo nel percorso cooperativo e nella dimensione del gruppo che collabora e condivide”, prosegue Viola. Detto questo, i 72 wbo ancora operativi sviluppano un fatturato consolidato superiore a 300 milioni di euro, con un rilevante impatto occupazionale ed un significativo ritorno per lo Stato, sia economico, sia sociale”. E ora, in fase post pandemica? “Il numero di wbo realizzati nel primo semestre 2021 è in crescita rispetto al 2020, ce lo aspettavamo. Progetti che probabilmente beneficeranno del contesto di crescita macro economica ipotizzato nei prossimi anni”.

LE TRE LINEE D’INTERVENTO – Secondo Forum Disuguaglianze Diversità, il fenomeno dei Wbo è un’occasione di crescita senza pari per i lavoratori, perché “trasforma gli operai in imprenditori. Un carico di responsabilità in più, ma anche maggiori opportunità”. Ci sono però ancora alcuni ostacoli che frenano il meccanismo. Forum DD, in collaborazione con Cfi e Legacoop, sta lavorando per cercare di sciogliere i nodi dove possibile. Già nel 2019 aveva proposto di intervenire incentivando la formazione manageriale degli operai e agevolandoli da un punto di vista fiscale. “Siamo attivi su tre linee”, spiegano. “Prima di tutto, vogliamo siano attuate le norme a favore dei Wbo inserite nella Legge di Bilancio 2020 – 2021. È previsto infatti che Naspi e Tfr non siano più soggette all’Irpef“. La seconda area di intervento riguarda la messa a sistema delle politiche attive del lavoro: “E qui rientra il capitolo formazione dei dipendenti che si imbarcano nell’esperienza di Wbo, e si ritrovano a dover mettere in pratica da subito competenze manageriali e gestionali”. La terza, infine, è la comunicazione: “Il racconto di questo fenomeno, che costituisce una soluzione spesso poco conosciuta. È giusto che il pubblico e i soggetti implicati nel mondo del lavoro la conoscano”. In quest’ultimo senso qualcosa è già stato fatto: la Legge di Bilancio 2020 prevede che il Cfi partecipi ai tavoli di crisi: possono anticipare l’opzione Workers Buyout come potenziale metodo di intervento, informando gli operai stessi della presenza di questa opportunità. Anche questa possibilità era fra le proposte avanzate da Forum DD due anni fa.

I NUMERI – Legacoop ha tracciato la storia del fenomeno fin dall’inizio. Dall’entrata in vigore della Legge Marcora (27 febbraio 1985) sono state identificate 323 imprese recuperate dai lavoratori in forma cooperativa, coinvolgendo 10.408 dipendenti. Circa il 75% delle operazioni di recupero condotte a partire dal 2003 (anno di entrata in vigore della riforma della Legge Marcora, datata 2001) sono tuttora attive. Circa il 70% dei Wbo si sono originati tra le regioni del Centro e del Nord-Est del Paese, con una netta prevalenza delle regioni centrali (46%). Solamente l’11% complessivo è invece distribuito tra il Sud e le Isole. La grande maggioranza delle imprese recuperate, si legge nel report Legacoop, sono attive nell’industria manifatturiera (il 79,6%). Molto presenti anche i servizi, in particolare la logistica e i trasporti, oltre che quelli legati all’industria cinematografica, di informazione e comunicazione. Le operazioni di recupero delle imprese da parte dei lavoratori, ad oggi, contano su un capitale sociale di 63 milioni e un patrimonio netto di 113 milioni. Sviluppano nel complesso 490 milioni di euro generando un utile di 1,7 milioni di euro.

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Ita Airways, meno aerei ma più voli: così è decollata la nuova compagnia - Corriere della Sera

Ita Airways ha iniziato le sue operazioni utilizzando in media 37 aerei al giorno per le rotte nazionali ed euro-mediterranee (sui 42 finora presi da Alitalia), ma operando più voli della vecchia compagnia perché ha impiegato di più la flotta a disposizione. Qualche Airbus A319 ha effettuato anche otto decolli quotidiani, valore simile alle prestazioni delle low cost che secondo gli addetti ai lavori sono quelle che ottimizzano meglio i jet. È quanto emerge da un’analisi del Corriere della Sera sui collegamenti della nuova compagnia di bandiera nel periodo 18-27 ottobre sui dati delle piattaforme specializzate ed Eurocontrol.

Movimenti e passeggeri

Nel comunicato ufficiale di venerdì Ita Airways rivela che nelle prime due settimane (15-28 settembre) ha effettuato 2.764 voli con un tasso di riempimento del 57%. Studiando l’utilizzo degli Airbus A319 e A320 si ottiene una media ponderata di 161 sedili per velivolo e poco più di 197 voli al giorno: moltiplicandoli si arriva a quasi 32 mila posti messi in vendita. Considerando il fattore di carico del 57% questo porta a oltre 18.100 i passeggeri imbarcati quotidianamente, per un totale stimato nel periodo di riferimento di circa 254 mila viaggiatori. Da quanto apprende il Corriere all’inizio Ita Airways ha avuto meno aerei di quelli previsti per alcuni ritardi della manutenzione di Alitalia. Nelle prossime settimane è previsto un incremento di flotta e quindi dei collegamenti.

L’utilizzo medio

A livello operativo secondo i dati raccolti per il Corriere da Francesco Porta di «Malpensa Insiders» nei dieci giorni di analisi (18-27 ottobre) la nuova compagnia ha utilizzato fino a 18 Airbus A319 e 24 A320. La media giornaliera è di 37 jet. La flotta complessiva iniziale di Ita Airways è di 52 aerei: 45 per il corto e medio raggio (A319 e A320), 7 di lungo raggio (A330). Questi ultimi inizieranno ad essere impiegati con l’avvio delle rotte intercontinentali a partire dalla Roma-New York che decollerà il 4 novembre. Ogni giorno gli Airbus hanno effettuato in media poco più di 6 voli: si nota un maggior utilizzo degli A319 (6,5 voli) rispetto agli A320 (6 decolli). Sono tassi di utilizzo simili alle low cost Ryanair e Wizz Air, cosa che secondo gli esperti incide in modo positivo sui costi gestionali della compagnia.

I confronti

Per quanto riguarda i movimenti il picco massimo — nei dieci giorni considerati — è stato toccato il 27 ottobre con 219 voli (tra nazionali e internazionali). Prendendo quel giorno come riferimento, un mercoledì, si nota come rispetto al giorno equivalente del 2019 (quando non c’era il Covid e operava Alitalia) il calo dei movimenti è del 53,6% , in miglioramento del 15% rispetto alle attività della vecchia compagnia che il 13 ottobre, il penultimo giorno di servizio, segnava -78,15% rispetto al periodo equivalente del 2019. Nel 2022 la flotta di Ita Airways è previsto salga a 78 velivoli, per arrivare a 105 entro il 2025.

Il panorama in Europa

Da novembre in avanti i confronti con Alitalia, sia nel 2020 sia nel 2019 diventano più problematici. Questo perché l’anno passato era iniziata la seconda ondata della pandemica che ha portato il Paese a introdurre nuove restrizioni e le zone a colori. E nel 2019 ovviamente il Covid-19 non c’era. L’unico elemento che avrà senso calcolare sarà il tasso di recupero dei movimenti (e dei passeggeri) rispetto ai valori pre-coronavirus. Nell’ultima settimana in Europa secondo Eurocontrol solo Wizz Air (+7,7%) e Volotea (+1,1%, grazie alla continuità territoriale sarda) hanno aumentato le operazioni rispetto alla settimana equivalente del 2019. Tutti gli altri vettori registrano valori negativi, anche se sono tutti in recupero. Ora però è iniziata la stagione invernale (dal 31 ottobre 2021 al 26 marzo 2022) che nel trasporto aereo costituisce il periodo peggiore per i conti delle aziende perché scendono i passeggeri e quindi i ricavi. L’obiettivo per tutti nei prossimi cinque mesi sarà non perdere troppi soldi.

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Jean-Marc Chery: “La crisi dei chip durerà fino al 2023 impossibile aumentare la produzione” - La Stampa

«La crisi dei semiconduttori si protrarrà fino al 2023. Aumentare la produzione ora non è possibile». È l’avvertimento all’industria che soffrela carenza di microchip che lancia Jean-Marc Chery, numero uno del maggior gruppo di elettronica, la STMicroelectronics con partecipazioni statali italiana e francese, che per il 2021 prevede ricavi netti intorno a 12,6 miliardi di dollari, in crescita del 23,3%. Le ripresa ha fatto esplodere la domanda di chip, +35% su scala globale nel 2021, rendendo difficile reggere il ritmo e mandando in difficoltà interi settori a corto di forniture. Quando finirà la crisi delle materie prime?
«La situazione è estremamente complessa. E credo si possa dire che anche nel 2022 la capacità produttiva non sarà all’altezza della domanda. Prendiamo il settore automotive. Anche al di là dell’elettrificazione, il segmento chiederà più elettronica. In più anche noi stiamo vedendo penuria dei materiali più vari. E poi c’è la questione logistica, che ha molti problemi». Quindi l’industria soffrirà almeno per un altro anno?
«La normalità non tornerà prima del 2023. La sfida è complicata. Bisognerà monitorare le dinamiche del mercato ogni mese. Alcuni clienti, per esempio, stanno già facendo ordini per il 2023. Ma è troppo presto per dire con precisione quando finirà». Attualmente ci sono strozzature nella vostra filiera?
«Non so se si può parlare di colli di bottiglia veri e propri. La nostra industria fino allo scoppio della pandemia era organizzata in maniera molto efficiente se consideriamo che sostiene costi altissimi per investimenti e ricerca e sviluppo, solo STM spende intorno al 15% dei ricavi, ma la maggior parte dei microchip arriva al cliente a meno di un dollaro. Il boom della domanda ha dimostrato che il modello dei produttori integrati come noi è più flessibile rispetto ad altri, tanto è vero che i nostri ricavi sono cresciuti del 23%. Siamo riusciti cioè a mettere in pista una capacità maggiore in tempi rapidi. Ecco, se vogliamo parlare di nodi, produrre microchip è un processo che richiede molta programmazione». Di che tempi parliamo?
«Quando il progetto di un microchip arriva in fabbrica la lavorazione richiede dai tre mesi per quelli più semplici ai cinque mesi e oltre per quelli più complessi. I substrati su cui costruiamo i chip, cioè sottilissime fette di silicio, sono sottoposti ad una media di 500 operazioni passando da una macchina all’altra. Alcuni di questi processi chimici e fisici richiedono anche 20 ore. Alla fine le “fette” partono per un secondo tipo di impianto tradizionalmente collocato in Paesi con un minore costo del lavoro, dove ogni chip viene inscatolato. Quando il chip è terminato e pronto a partire per raggiungere l’impianto del cliente ha dimensioni di pochissimi millimetri, quindi si può capire che dimensioni invisibili a occhio nudo o al microscopio hanno le lavorazioni precedenti». Quindi nel breve incrementare la produzione non è una soluzione percorribile?
«Gli impianti dell’industria dei semiconduttori lavorano sette giorni su sette, 24 ore al giorno, 360 giorni l’anno, per ammortizzare i costi di macchine da diversi milioni di euro. Quindi aumentare la capacità in fretta non è semplice. Nel medio, si possono acquistare nuove macchine se si possiede lo spazio attrezzato in cui inserirle. È quello che abbiamo fatto e faremo per far fronte al boom della domanda. Ma costruire da zero un ambiente per produrre microchip richiede anni». Le difficoltà nel rispondere alla domanda si ripercuoteranno sui consumi nel periodo dei regali di Natale? Sarà difficile trovare prodotti elettronici?
«L’industria dell’elettronica di consumo ha subito meno di altre le conseguenze dei lockdown degli ultimi due ultimi anni. Ha mantenuto una domanda molto sostenuta da parte di chi era costretto a rimanere in casa per vivere e lavorare. È possibile che il settore abbia dovuto fare delle scelte su quali prodotti lanciare prima. Oggi l’intera filiera di approvvigionamento è messa in discussione da problemi di logistica, di accesso ai materiali di base e di forniture di energia».

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Ma alla Rai quante volte vogliono incassare il canone? Stangata su smartphone e tablet, l'ira della Meloni - Il Tempo

Rai famelica. Perché stando alle parole dell’amministratore delegato Carlo Fuortes, viale Mazzini pretende di far pagare il canone persino con lo smartphone in mano. Per ora, si registra la reazione di Giorgia Meloni. Ma non si sa ancora se Fuortes abbia parlato con chi lo ha nominato, Mario Draghi, di un proposito che certo non farà la felicità degli italiani.

Meloni giudica “irricevibile” il tentativo di incassare il canone anche per un’altra via rispetto alla televisione. Perché di fatto – dice la presidente di Fdi – “sarebbe un aumento mascherato del canone Rai che andrebbe a pesare su ogni singolo italiano che possiede uno smartphone”. 

Infatti, il canone che paghiamo con la bolletta elettrica è dovuto una sola volta per nucleo famigliare e non per apparecchio posseduto. “Fdi – promette la Meloni - contrasterà questa proposta in tutte le sedi perché è inaccettabile, soprattutto in questo momento di crisi economica, mettere ancora le mani nelle tasche degli italiani”.

Oggettivamente, appare fuori luogo quanto pronunciato da Fuortes. Da una parte, perché ormai molti italiani si chiedono se valga davvero la pena continuare a pagare per un servizio radiotelevisivo pubblico che sempre più spesso fa discutere di sé in senso negativo.

E poi per un fattore economico. Quei soldi che vanno a finire alla Rai finiscono ad un’azienda i cui vertici sono nominati dal governo, nonostante quante volte la Corte costituzionale abbia stabilito la competenza parlamentare sul servizio pubblico radiotelevisivo. Ma si continua a fare il proprio comodo.

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Saturday, October 30, 2021

Canone Rai esteso a telefoni e tablet: cosa può cambiare - ilGiornale.it

Smartphone e tablet tornano nuovamente nel mirino della Rai. L'amministratore delegato Carlo Fuortes, dopo aver chiesto un rialzo della quota del canone che milioni di italiani pagano con la bolletta dell'energia elettrica, ha avanzato anche la richiesta di estendere il balzello della tassa tv anche a tutti quegli apparecchi capaci di ricevere il segnale.


La proposta sui telefonini

E così, per capire meglio qual è il nuovo obiettivo di Viale Mazzini, occorre leggere per bene le parole che lo stesso Fuortes ha consegnato alle pagine di Repubblica con una lunga intervista. Proprio sul tema canone ha risposto così: "Non si tratta di una tassa sul telefonino. Ho fatto un ragionamento semplice: in base a una legge del 1938, in Italia il canone è legato al possesso di un’apparecchiatura radiotelevisiva, mentre in tutti gli altri Paesi si paga in base alla possibilità di vedere le trasmissioni. E siccome oggi tutti i device possono accedere ai programmi Rai attraverso Raiplay, sarebbe bene che anche noi ci adeguassimo".


Le richieste di Fuortes

Fuortes è abbastanza determinato nel voler aumentare gli introiti di viale Mazzini. Infatti in sede di Commissione ha chiesto il riconoscimento integrale della quota canone destinata nelle casse del servizio pubblico, l'eliminazione della tassa sulla concessione del canone ordinario e un abbassamento del limite sugli spot pubblicitari per ogni fascia di programmazione. Fuortes ha infatti chiesto di portare l'affollamento di clip pubblicitarie all'8 per cento rispetto all'attuale 15 per cento.


Il primo "no"

La proposta di Fuortes sui dispotitivi altrenativi alla tv ha però trovato già la netta opposizione di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d'Italia non ha usato giri di parole: "Irricevibile la proposta dell'ad della tv di Stato nominato da Draghi, Carlo Fuortes, di far pagare anche i cittadini che utilizzano device diversi dalla tv per vedere la programmazione del servizio pubblico. Di fatto, sarebbe un aumento mascherato del canone Rai che andrebbe a pesare su ogni singolo italiano che possiede uno smartphone". E ancora: "Ricordiamo, infatti, che oggi il canone inserito nella bolletta elettrica -ricorda la leader di Fdi- è dovuto una sola volta per nucleo famigliare e non per apparecchio posseduto. Fdi contrasterà questa proposta in tutte le sedi perché è inaccettabile, soprattutto in questo momento di crisi economica, mettere ancora le mani nelle tasche degli italiani". Insomma la battaglia sul balzello tv continua.

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Mps e quell'avviso a Unicredit - ilGiornale.it

Era chiaro che il Tesoro italiano gliela avrebbe fatta pagare. Certo nei modi felpati e poco comprensibili con cui queste cose avvengono. Stiamo parlando del gran rifiuto da parte di Andrea Orcel, numero uno di Unicredit, alla fusione con il disastrato Monte dei Paschi di Siena. L'operazione i signori di Uncredit non la vogliono proprio fare e al Tesoro non la devono aver presa bene. Il loro ragionamento - o meglio quello dei consulenti di Bank of America, gli unici che hanno trattato con Orcel - è in estrema sintesi il seguente: il Monte genererà 600 milioni di profitti l'anno, come si può accettare che Unicredit la paghi solo il doppio degli utili attesi. La cosa è ovviamente più complessa, ma il succo è questo.

Due indizi finanziari, non fanno proprio una prova, certo, ma un segnale bello tondo è dunque arrivato. Il ministro Daniele Franco, la cui loquacità è inversamente proporzionale ai dossier che ha sul tavolo, un paio di giorni fa al termine del consiglio dei ministri ha così risposto ai giornalisti che gli chiedevano conto del matrimonio andato in fumo: «Una banca di dimensione media come Unicredit è probabilmente opportuno che si aggreghi ad altre istituzioni finanziarie, questo tendenzialmente».

Insomma chi vuole intendere capisca. La banca che oggi ha sede in piazza Gae Aulenti non può, secondo l'autorevole ministro, restare da sola. È di «medie dimensioni», nulla a che vedere con Intesa Sanpaolo, tanto per non fare nomi. Anche se non è dato capire bene come le dimensioni, in termini di maggiori sportelli, oggi possano essere un plus. Tanto che proprio Intesa, uno degli istituti finanziari più solidi e redditizi d'Europa, pare stia studiando, nel nuovo piano industriale, la costruzione di una nuova banca tutta on line e in parte autonoma da quella esistente. Si tratta di rumori del mercato, ma che danno il senso di come gli sportelli, oggi, valgano molto meno di un tempo, anzi siano un peso se non si dispone delle «fabbriche» (risparmio gestito e assicurazioni, per dirne due) che li alimentino.

Ma tant'è. E il fallimento della trattativa con il Monte, viene visto dal ministro come un rischio «dimensionale» per Unicredit.

Può darsi.

Nel frattempo nella piccola city milanese non è passata inosservata una piccola norma della Finanziaria approvata ieri dal governo. Si tratta di questione molto tecnica, ma molto importante per agevolare le fusioni bancarie e si chiama Dta. Cerchiamo di semplificare. Grazie a questa previsione fiscale se Unicredit avesse comprato il Monte (certo in una forma particolare, non il semplice ramo di azienda) si sarebbe potuta portare a patrimonio 2,2 miliardi di euro. Le perdite del Monte, grazie a questa norma, potevano diventare crediti fiscali immediatamente esigibili, e dunque mezzi propri per la banca. Un bel regalo, non c'è che dire. Fatto ad hoc per incentivare le fusioni.

Per ora questo favoloso pacchetto fiscale sono riusciti ad usarlo solo quei volponi del Crédit Agricole nell'acquisizione del Valtellinese. Ottima mossa per loro.

La norma sarebbe dovuta servire come cadeau fiscale per l'acquirente del Monte.

Dicevamo che Franco e Draghi hanno cambiato le carte in tavola. D'altronde era nelle cose. Infatti questo credito scadeva alla fine del 2021, e con la Finanziaria lo hanno sì rinnovato, ma con un tetto di 500 milioni: insomma quasi un quinto di quanto originariamente previsto.

Si potrebbe obiettare che la cosa non riguardi più Orcel, che non ha avuto intenzione di comprarsi il Monte neanche con il bonus fiscale. Sì certo.

Unendo però i pezzi del puzzle, ne esce un quadro un po' più complesso. Unicredit è di medie dimensioni e dunque per sopravvivere deve comprare qualcosa. Ma non pensi di papparsi a sconto le due stupende prede (la Bpm di Giuseppe Castagna e la Bper del duo Pietro Montani-Carlo Cimbri) che sono rimaste in circolazione e che, essendo dotate di un ottimo management e di buoni conti, fanno gola.

Insomma, la partita di Mps è tutta ancora da giocare e Orcel sta giocando contro il banco.

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Poste Italiane: arriva lo sconto del 20% per un importante servizio - ContoCorrenteOnline.it

Poste Italiane ha comunicato l’entrata in vigore di uno sconto molto importante. Ecco quale servizio riguarda e come si può utilizzare

Poste Italiane assunzioni
Foto © AdobeStock

Poste Italiane ha sempre in serbo numerose sorprese. Stavolta ha ideato una promozione che sicuramente alletterà molto clienti. Al contrario di quanto si possa pensare non riguarda operazioni di denaro o relativa a tasse imposte.

L’azienda ha deciso di promuovere un servizio che sta pian piano decollando. In pratica è previsto uno sconto del 20% per coloro che non hanno mai spedito un pacco con Poste Delivery Web. Ecco come funziona nello specifico.

Poste Italiane: come funziona lo sconto del 20% sulle spedizioni dei pacchi

In pratica si tratta di una funziona che consente di spedire pacchi rimanendo comodamente a casa propria. Si può usufruire di questa comodità sia dal sito web che dall’applicazione di Poste Italiane.

Consente di effettuare invii fino a trenta chili sia in Italia che all’estero. Il ritiro è gratuito e in alternativa si può spedire il proprio pacco anche negli uffici sparsi su tutto il territorio nazionale.

Sono necessari pochi click per concludere l’operazione. Il primo passo da fare è scegliere il tipo di spedizione e la località. In seguito è bene badare ai servizi accessori e verificare il prezzo totale che viene richiesto. 

Se non si ha nulla da obiettare a riguardo, si può procedere inserendo i dati del mittente e del destinatario. Naturalmente onde evitare errori si deve necessariamente controllare per bene ogni passaggio, prima di procedere.

Una volta dato l’invio si riceve una email riepilogativa dell’ordine e le istruzioni per la consegna. Si può scaricare la lettera di vettura o mostrare il codice 2D (valido per le spedizioni nazionali).

LEGGI ANCHE >>> Poste Italiane, recapitare i pacchi non è mai stato così veloce

La proposta di Poste Italiane (che in questo periodo deve fare i conti con una nuova truffa) è valida solo per coloro che non l’hanno mai utilizzato prima il servizio di Poste Delivery Web. Di seguito i prezzi delle spedizioni:

  • Da 0 a 1 kg 5,57 euro,
  • Da 1 a 3 kg 5,90 euro,
  • Da 3 a 5 kg 6,89 euro,
  • Da 5 a 10 kg 7,21 euro.

Per spedizioni al di sopra dei 10 kg e comprese entro i 15 kg l’esborso è di 8,20, tra i 15 kg e i 20 kg è di 8,52 euro e tra i 20 kg e i 30 kg si attesta sugli 8,85 euro. 

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Rc Auto, prezzi in calo: le regioni dove si risparmia di più - Money.it

L’assicurazione è un costo importante per una singola persona o per un nucleo familiare, specie se si parte da una classe molto alta. Pare che però, a detta di Segugio.it, sito che si occupa anche di trovare i migliori prezzi per le polizze auto, ci sono buone notizie. Anche sela situazione potrebbe cambiare nel 2022.

Il trend dei prezzi della RCA è in calo. Ad affermarlo è il barometro di Segugio: a settembre di quest’anno, il premio medio per una polizza assicurativa è stato di 345,30 euro, prezzo che vede una riduzione dell’1,9% rispetto ai 352 euro registrati durante il mese di agosto 2021.

Pare che si sia raggiunto un minimo storico in Italia sui prezzi delle RCA, basta confrontare i prezzi del 2021 con quelli del 2017: da circa 424 euro di settembre 2017 ai 345 euro di quest’anno; tutti i dati sono considerati in media.

La situazione nelle regioni italiane

Come già anticipato, la tariffa per le RCA è in netto calo se si considera la media tra le regioni italiane. In prima posizione c’è la Basilicata, dove la riduzione è stata di circa il 9%. A seguire Umbria Liguria e Molise, con una riduzione rispettivamente del 6,8%, 5,7% e 4,4%.

Nelle regioni come la Campania, il Veneto e il Piemonte la variazione è abbastanza piatta: tutte si aggirano tra lo 0,5 % e l’1,5 %.

Dall’altra parte della classifica, troviamo invece le regioni, che prese singolarmente, hanno visto il prezzo della RCA salire: per la Valle D’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia, la Puglia e la Sardegna i prezzi sono aumentati. Per la precisione, gli aumenti registrati sono stati rispettivamente del 9,4%, 1,7%, 1,5% e 0,3%.

Nel conteggio totale, comunque, il trend dei prezzi nella media è calato rispetto all’anno precedente.

Il confronto con l’anno scorso

Partendo dalla cima della classifica redatta da Segugio, possiamo trovare le cinque regioni italiane dove la variazione annuale è stata più marcata: Calabria (-22,7%), Liguria (-16,6%), Trentino-Alto Adige (-15,6%), Campania (-15,4%) e Piemonte (-14,7%).

Considerando queste prime, è interessante notare come il calo abbia interessato sia regioni dove l’RCA è molto onerosa, come la Campania, sia regioni dove l’RCA è più economica, tipo il Trentino-Alto Adige.

Le altre, ossia Puglia, Sicilia, Umbria, Emilia Romagna, Abruzzo, Veneto, Lombardia, Toscana, Molise e Lazio, si trovano a metà classifica, con un trend in decrescita che è circa del 10 %.

Dall’altra parte abbiamo le regioni in cui la diminuzione del prezzo rispetto all’anno scorso è stata più bassa: Valle d’Aosta (-2,6%), Marche (-6%), Sardegna (-10,6%), Friuli-Venezia Giulia (-10,7%) e Basilicata (-11,4%).

Come si può risparmiare?

Oltre a fare attenzione a non provocare incidenti ed ereditare la classe dei propri genitori ci sono alcune pratiche che è utile seguire per poter risparmiare sulla RCA.

La comparazione sui siti Internet è il metodo ideale per risparmiare sul premio e negli ultimi anni ha contribuito fortemente alla riduzione del costo delle polizze assicurative.

Gli automobilisti possono quindi richiedere un preventivo per la propria polizza direttamente online, utilizzando i servizi di confronto dell’assicurazione auto messi a disposizione da operatori del settore come Segugio.

Inoltre, sempre su Segugio.it, è possibile trovare i prezzi più convenienti per mutui, offerte luce e gas e/o prestiti. Gli strumenti informatici come il barometro di Segugio è fondamentale per avere un’idea generale su come il mercato delle RCA cambia: oltre a capire, però, è possibile anche risparmiare. Basta andare sul sito oppure chiamare al numero verde: 800 999 555.

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Legge di bilancio, spunta il tetto ai benefici fiscali per le aggregazioni bancarie - Il Fatto Quotidiano

Tra le misure contenute nella legge di bilancio 2022, licenziata giovedì dal Consiglio dei ministri, c’è anche un provvedimento che ieri ha affossato diversi titoli bancari in Borsa. Banco Bpm ha chiuso a meno 7,3%, Bper a meno 6,4% mentre Mps e Unicredit sono riusciti a contenere la flessione entro l’1%. In sostanza il governo ha annunciato che i bonus fiscali previsti in caso di aggregazioni tra banche (le cosiddette Dta, imposte differite attive) saranno prorogati fino al prossimo 30 giugno. Ma, mentre prima il loro ammontare era stabilito al 2% degli degli asset delle banche protagoniste della fusione, ora viene introdotto un plafond di 500 milioni di euro. Questo sarà insomma il tetto massimo del beneficio in termini di crediti di imposte, anche se il valore del 2% degli asset dovesse superare questa soglia.

Gli scenari per un potenziale risiko bancario, che piace sempre molto agli investitori, si fanno quindi meno invitanti e questo spiega i bruschi arretramenti registrati venerdì sui mercati. Banco Bpm e Bper (insieme a Popolare Sondrio) sono da tempo visti come possibili protagonisti di un futuro matrimonio. Di Banco Bpm si parla anche in relazione ad una possibile unione con Unicredit. Con le nuove regole i benefici fiscali si ridimensionerebbero di circa 2 miliardi di euro.

A differenza di Banco Bpm e Bper, ieri Mps ha retto il colpo calando in borsa di circa l’1%. Eppure la nuova regola “toglie” alla banca senese benefici fiscali a favore di un potenziale acquirente per circa 1,5 miliardi. Ma la banca è comunque in mano al Tesoro che, in una forma o nell’altra, dovrà consegnare a chi accetterà di rilevarla una dote miliardaria. Con un minor esborso dal lato dei benefici fiscali il Mef potrebbe invece rafforzare il premio in termini di dimensioni dell’aumento di capitale, ossia iniezione di denaro fresco nella banca che Unicredit aveva preteso essere di almeno 6 miliardi di euro.

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L'85% dei comuni sotto i mille abitanti è senza sportelli bancari - La Stampa

ROMA. Tra il 2010 e il 2020 le grandi banche hanno chiuso in Italia circa 10 mila filiali (-30%), la pandemia ha accelerato il fenomeno e, se va bene, in tanti paesi resta oggi solo un bancomat (Atm). Negli ultimi cinque anni infatti 500 comuni hanno perso una presenza bancaria. Col risultato che a dicembre 2020 l'85% del paesi con meno di 1.000

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Bonus vacanze, come fare per utilizzare quelli già emessi. I consumatori: “La misura non ha avuto… - Il Fatto Quotidiano

Ultimi mesi per dar fondo al bonus vacanze. A fine anno scadrà infatti l’agevolazione introdotta dal decreto rilancio per i nuclei familiari e ai single con Isee fino a 40mila euro che hanno fatto domanda del bonus entro il 31 dicembre 2020. Finora sono stati generati oltre 1,8 milioni di bonus per un controvalore di oltre 829 milioni, meno di un terzo dei 2,6 miliardi stanziati dal governo Conte. Inoltre solo 1,17 milioni del totale tagliandi emessi sono stati poi realmente utilizzati. Mancano all’appello oltre 630mila bonus che potranno essere utilizzati al massimo entro dicembre.

Come fare ad utilizzarli? Il bonus, fino a 500 euro con un figlio a carico (per scendere a 300 euro per le coppie e a 150 per i single) riservato a nuclei con un Isee al di sotto dei 40mila euro, può essere impiegato direttamente in una struttura ricettiva italiana. Esibendo il codice univoco o Qr code ottenuto con l’app Io si riceve subito uno sconto pari all’80% dell’importo del bonus e si può poi portare in detrazione il restante 20 per cento. Per gli operatori del turismo è prevista poi la possibilità di cedere il bonus a banche e fornitori oppure utilizzare la somma come credito d’imposta. In alternativa, il beneficiario si può anche usare il voucher nelle agenzie di viaggio o presso un tour operator per il pagamento di un soggiorno in albergo, campeggio, villaggio o bed & breakfast. Ma non è possibile avvantaggiarsi dello sconto direttamente attraverso piattaforme online di prenotazione. Bisogna infatti verificare con la struttura, prima del pagamento, l’adesione all’iniziativa. Anche di qui non poche critiche da parte dei consumatori.

Per Luigi Gabriele, presidente dell’associazione Consumerismo no profit, il bonus vacanze “non è stata un’iniziativa di successo. Se lo fosse stata i numeri sarebbero stati ben altri. I buoni e i soldi stanziati sarebbero finiti immediatamente”. Il motivo? “La procedura non è stata chiara. Sin dall’inizio sia i beneficiari che le strutture ricettive hanno fatto fatica a capire come utilizzare i voucher. In più non è stato possibile usare i bonus per acquisti online e solo in seconda battuta sono stati tirati dentro i tour operator”. Per giunta quando finalmente il procedimento è diventato chiaro, non è stato più possibile emettere altri buoni. Così ora si possono solo utilizzare solo quelli già in circolazione.

“In realtà questo meccanismo non ha funzionato perché, in sostanza, il governo ha chiesto ad un settore in difficoltà di finanziare la misura – precisa Ivana Jelinic, presidente della Fiavet, l’associazione che rappresenta le imprese di viaggio e turismo – Come se non bastasse, siamo stati inondati di mail di albergatori che hanno denunciato non solo la scarsa disponibilità delle banche a scontare il bonus, ma anche una difficoltà oggettiva ad ottenere finanziamenti”. Per Jelinic meglio sarebbe stato mettere sul piatto direttamente un aiuto diretto al settore che avrebbe poi potuto trasformarsi in una riduzione delle tariffe. Per la numero uno della Fiavet la prova che l’iniziativa non ha funzionato è del resto nei numeri. “Siamo un Paese di piccole imprese, anche nel turismo che vale il 13% del prodotto interno lordo – conclude – se non vogliamo giocare solo a favore delle grandi aziende, allora è necessario immaginare misure più adeguate alle caratteristiche del nostro tessuto produttivo. Del resto, così com’è, il bonus non ha senso. Per una settimana in un villaggio fra luglio e agosto una famiglia di tre persone spende più di duemila euro. I 500 euro del bonus sono certamente un aiuto, ma non incidono sulle decisione di andare o meno in vacanza”. Del resto se è stato utilizzato solo un terzo del plafond stanziato dallo Stato un motivo ci sarà pur stato.

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L’inflazione si “gusta” già dal primo mattino, il costo della colazione sale ai massimi da… - Il Fatto Quotidiano

Risvegli amari. L’inflazione si “gusta” già dalla colazione, il cui costo è salito sui massimi da 10 anni. Questo è quanto risulta dall’apposito “breakfast index” elaborato dal quotidiano britannico Financial Times in base alle quotazioni sui mercati di caffé, latte, zucchero, grano, succo di arancia. L’indice è salito del 63% rispetto al 2019 dopo che le industrie alimentari hanno iniziato a ritoccare i prezzi per far fronte ai problemi di approvvigionamento e quindi ai rincari delle materie base. Va detto che il quadriennio 2016-2019 era stato caratterizzato da prezzi insolitamente bassi grazie a un periodo di raccolti particolarmente generosi. Come in molti altri settori la ripresa della domanda post-pandemia è stata però più veloce del previsto, spiazzando i fornitoti e creando pressioni sulla catena di approvvigionamento. Inoltre i costi dei trasporti sono saliti a causa dei rincari dei carburanti. L’aumento della domanda di biocarburanti, che si verifica ogni volta che il costo dei combustibili fossili sale, contribuisce a spingere salire i prezzi degli oli vegetali, come l’olio di colza, di soia e di palma.

Come se non bastasse i meteorologi si attendo eventi atmosferici estremi in Asia per il secondo anno consecutivo oltre ad altri periodi di siccità e gelate. Il costo dei fertilizzanti, che sono realizzati con gas naturale, è infine salito dopo che molti produttori hanno fermato i loro impianti a causa dell’aumento dei prezzi del gas. Nell’ultimo anno i prezzi del grano sul mercato è così salito del 20%, quelli dell’avena sono raddoppiati. Il costo dello zucchero è salito del 26% da inizio anno mentre il caffè del 56%. Quello che preoccupa gli analisti è la lentezza con cui l’offerta si sta adeguando alla forte domanda, dinamica che lascia suppore che i prezzi non siano destinati a scendere a breve.

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​Banche: Banco e Bper crollano in Borsa con tetto a Dta - Rai News

Effetto Manovra

Corre solo Carige per cui 500 milioni bastano

La rimodulazione degli incentivi fiscali alle fusioni bancarie, con l'introduzione di un tetto di 500 milioni alla trasformazione delle Dta in crediti fiscali, provoca un terremoto in Borsa. Crollano Banco Bpm (-6,2%) e Bper (-6%), che vedono sfumare gli incentivi, mentre corre Carige (+4,1%), sulla cui dimensione sono stati di fatto ritarati dopo la fallita cessione di Mps a Unicredit. "Il gioco dell'M&A è finito", scrivono gli analisti di Mediobanca che sono corsi a tagliare il giudizio su Bper e Banco. sottolineando come "l'incentivo delle Dta è sostanzialmente invariato per Carige e ridimensionato per tutti gli altri".

Mediobanca, che cita le ultime bozze della manovra, evidenzia la comparsa di "un inatteso tetto" all'incentivo rappresentato dal più basso tra 500 milioni di euro e il valore del 2% degli asset della banca più piccola coinvolta nella fusione, di fatto introducendo un 'cap' di mezzo miliardo alla trasformazione delle Dta in crediti fiscali.

"Dopo l'interruzione delle trattative tra Unicredit e il Ministero dell'Economia su una potenziale transazione per Mps vediamo l'estensione della Dta al giugno 2022 a rischio",scrivono gli analisti di Piazzetta Cuccia, che evidenziano "un cambio di corso" nella politica del governo "che di fatto mantiene il supporto sostanzialmente invariato per Carige e lo limita seriamente per tutti gli altri attori".

Il taglio alle Dta "riducono ulteriormente le probabilità di un coinvolgimento di Unicredit", che già "sta ripiegando su una strategia stand-alone", "in qualsiasi M&A nel breve termine". I cambiamenti sono giudicati "non favorevoli" a Banco Bpm, che "potrebbe perdere il suo appeal speculativo come potenziale target di un take over di Unicredit", e per Bper. L'istituto modenese vede "dimezzato" da 1 miliardo a 500 milioni l'incentivo a una fusione con il Banco Bpm, le cui chance erano già in calo negli ultimi mesi, mentre restano "invariate" le possibilità di una fusione con la Popolare di Sondrio, in cui le Dta non avrebbero comunque avuto un peso.

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Riforma degli ammortizzatori, le novità in manovra: assegno più alto per chi ha stipendi fino a 2 - Il Fatto Quotidiano

Anche lavoratori a domicilio, apprendisti e micro imprese con meno di cinque dipendenti avranno accesso agli ammortizzatori sociali. E una parte dei cassintegrati – quelli che avevano stipendi fino a 2.100 euro circa – si vedrà aumentare l’assegno. Con la legge di Bilancio prende il via la riforma degli strumenti di sostegno al reddito scritta dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, che giovedì sera dopo il consiglio dei ministri ha confermato l'”ambizione universalistica” del progetto e rivendicato di aver ottenuto una dote di 3 miliardi (4,6 di saldo netto). Ma il costo complessivo è più alto. E le associazioni che rappresentano le società del terziario e dei servizi – da Confcommercio a Confesercenti, Federdistribuzione e Alleanza cooperative – sono già sul piede di guerra perché fin dal prossimo gennaio dovranno pagare contributi aggiuntivi. Rivendicano la necessità di “un periodo transitorio congruo per l’entrata a regime dei nuovi strumenti, accompagnato da idonee misure di riduzione strutturale del costo del lavoro”, e hanno chiesto al governo un incontro “urgentissimo” per discuterne.

La riforma parte dalla considerazione che la pandemia ha messo a nudo una serie di difetti strutturali dell’attuale sistema di politiche passive riformato con il Jobs Act. A partire dall’eccessiva frammentazione e del gran numero di lavoratori scoperti, per i quali è stato necessario inventare in fretta e furia la Cig con causale Covid. Di qui la decisione di modificare il sistema per offrire tutele anche ai non garantiti. Dopo i primi annunci arrivati nelle ore successive alla nascita del governo Draghi, le ambizioni si sono scontrate con la resistenza di sindacati e associazioni degli industriali e il problema dei costi. I tecnici avevano stimato in 8 miliardi le coperture necessarie per estendere la protezione del Fondo di integrazione salariale eliminando la cig in deroga, concedere la cig straordinaria per “transizione occupazionale” anche alle aziende con meno di 15 dipendenti, rendere più morbido il decalage della Naspi, ampliare il contratto di espansione e tutelare anche gli autonomi mettendo a regime l’indennità Iscro. Di risorse, anche incamerando i risparmi ottenuti con l’abolizione del cashback, ne sono state trovate meno della metà. E non tutto l’impianto ha retto. Nella bozza, per esempio, non c’è alcun accenno alle partite Iva se non per includerle tra i beneficiari delle misure di assistenza per il reinserimento al lavoro previste dal programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori.

Cig per le microimprese e aumento delle aliquote – Le 13 settimane di integrazione salariale per chi ha meno di cinque dipendenti (per le imprese più grandi sono 26 nel biennio mobile) nelle bozze ci sono, ma l’intento di far gestire tutto il sistema all’Inps eliminando i Fondi di solidarietà bilaterali costituiti da sindacati e associazioni datoriali è sfumato. Risultato: anche le microimprese dovranno aderire al fondo di settore. Solo in sua assenza al Fondo di integrazione salariale Fis istituito presso l’istituto di previdenza centrale. Quanto ai costi, se in agosto si ipotizzava che nella prima fase le quote di finanziamento sarebbero state interamente pagate dallo Stato, il punto di caduta è che otterranno solo uno sconto per il 2022. L’aliquota, fissata allo 0,5% per i piccolissimi e allo 0,8% per chi ha oltre 5 dipendenti, sarà infatti ridotta solo l’anno prossimo di 0,35 punti (a 0,15) per i primi, di 0,25 per le aziende con più di 5 e fino a 15 dipendenti, di 0,11 punti oltre i 15 e di 0,56 per imprese commerciali e del turismo oltre i 50 dipendenti. Spese aggiuntive che le imprese, a partire dai commercianti, non vogliono accollarsi. Confermato, poi, che chi utilizza la prestazione deve versare un contributo addizionale del 4% calcolato sulle retribuzioni perse dai lavoratori coinvolti.

Cassa straordinaria per tutti i settori già oltre i 15 dipendenti – Le imprese oltre 15 dipendenti, le compagnie aeree e i partiti, oltre all’aumento dell’aliquota – oggi allo 0,45% fino a 50 lavoratori e 0,65% oltre – continueranno a pagare lo 0,90% della retribuzione imponibile (di cui un terzo a carico dei lavoratori) per finanziare la cig straordinaria. Che potrà essere chiesta dalle aziende con più di 15 dipendenti di tutti i settori produttivi, mentre oggi quelle del commercio possono accedere solo se ne hanno oltre 50. Alle attuali causali per la cigs, cioè riorganizzazione aziendale, crisi e contratto di solidarietà, si aggiunge quella della gestione di “processi di transizione” che andranno individuati e regolati con decreto del ministro del Lavoro, sentito quello dell’Economia. E anche le medie aziende con almeno 50 addetti avranno accesso al contratto di espansione, introdotto nel 2019 dal decreto Crescita per le aziende con più di 1000 dipendenti ed esteso lo scorso anno a quelle con oltre 250 dipendenti: lo strumento prevede la concessione di cassa integrazione straordinaria e agevolazioni per l’esodo anticipato dei dipendenti più vicini alla pensione, a fronte di un piano di assunzioni di giovani anch’esse agevolate: un modo per favorire la staffetta generazionale.

Cassa integrazione più “pesante” per chi guadagna meno di 2.100 euro – Cosa cambia, invece, per i percettori di cassa integrazione e trattamento di disoccupazione (Naspi)? Sul primo fronte la manovra elimina il primo “tetto” previsto da uno dei decreti attuativi del Jobs Act e rivalutato annualmente dall’Inps, che riduce l’assegno a cifre ben più basse rispetto all’80% della retribuzione garantito sulla carta. Oggi il limite è a 998 euro lordi per chi ha retribuzioni mensili pari o inferiori a 2.159,48 euro. Dal 2022 resterà in vigore solo il secondo massimale, quello di 1.199 euro lordi. Nulla cambia invece per le retribuzioni sotto i 1.200 euro lordi, visto che in quel caso l’80% era comunque al di sotto del primo tetto, e per quelle superiori a 2.159 euro per le quali il limite rimane fissato 1.439,66 euro.

Il taglio della Naspi rinviato al sesto mese di percezione – Per quanto riguarda la Naspi, il decalage del 3% non inizierà più dopo quattro mesi ma dopo sei, che salgono a otto per percettori oltre i 55 anni di età. E per poterla chiedere non servirà più aver totalizzato almeno trenta giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi prima della cessazione del rapporto di lavoro, Infine le modifiche alla Dis Coll, la prestazione che spetta ai collaboratori coordinati e continuativi che restano senza lavoro: la durata dell’assegno si allunga da un massimo di sei mesi a dodici. Viene comunque versata per un numero di mesi pari ai mesi di contribuzione accreditati nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno precedente alla perdita del posto.

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