Nel 2022, anno in cui il Ftse Mib è sceso del 12%, le retribuzioni dei manager delle quaranta società quotate sull’indice di Piazza Affari sono aumentate del 14% battendo l’inflazione (+8,1%). E in vetta alla classifica dei più pagati c’è Carlos Tavares , numero uno di Stellantis, con 23,45 milioni (contro i 19,15 milioni nel 2021). A stilare la classifica è il quotidiano finanziario Milano Finanza che rileva anche come, al pari di quanto avviene negli Stati Uniti, si stia allargando la forbice rispetto agli stipendi dei dipendenti.
La graduatori
Al secondo posto, tra i più pagati, c’è Scott Wine, amministratore delegato di Cnh, con 11,43 milioni di dollari (da 8,71 milioni nel 2021). A seguire, il presidente di Stellantis, John Elkann, che raggiunge quota 11,25 milioni accorpando anche i compensi ricevuti da Exor. Nel settore banche e assicurazioni spiccano il presidente di Unipol, Carlo Cimbri con 6,08 milioni (6,41 milioni nel 2021), l’ad di Generali Philippe Donnet con 5,5 milioni (da 4,5 milioni dell’anno prima), Carlo Messina, ad e direttore generale di Intesa Sanpaolo con 4,55 milioni (4,19 milioni nel 2021) e il numero uno di Unicredit Andrea Orcel con 3,54 milioni (da 1,88 milioni nel 2021).
La decisione di Unicredit
Ma a fine marzo — si spiega — l’assemblea di Unicredit ha dato il via libera alla nuova politica di remunerazione che riguarda 935 top manager del gruppo. Il compenso di Andrea Orcel sarà così di 9,75 milioni tra fisso e variabile se supererà nel 2023 i target.
Dacia è una casa automobilistica romena che ha fatto notevoli progressi nella affidabilità dei suoi veicoli nel corso degli anni. Fondata nel 1966, è stata acquisita da Renault nel 1999, dando così il via alla commercializzazione di nuovi modelli attraverso la rete di distribuzione Renault, mantenendo però il proprio marchio. Ci interessa adesso approfondire
Motori, tecnologia, impiantistica auto Dacia: chi li produce
Affidabilità del marchio Dacia e non solo
Motori, tecnologia, impiantistica auto Dacia: chi li produce
Dacia ha avviato la produzione del suo modello Duster nel 2010 presso lo stabilimento di Pitesti, in Romania, con il marchio Dacia destinato ai mercati europei, in Turchia e in Maghreb. Lo stesso stabilimento produce anche il marchio Renault destinato al Medio Oriente, l'Egitto, l'area del Golfo (dal 2011) e altri Paesi africani.
Il marchio Dacia, che prende il nome dall'omonima provincia dell'Impero Romano, ha stretto un accordo di licenza con Renault, con tutti i veicoli prodotti con il marchio Dacia che presentano una motorizzazione derivante da Renault, unitamente alla tecnologia e all'impiantistica.
Ecco allora che tutte le vetture prodotte con il marchio Dacia hanno montato all’interno una motorizzazione derivante da Renault, con questi che si sono modificati in ogni ambito. Stessa cosa per la parte tecnologica e per l'impiantistica.
I motori presenti nella gamma Dacia sono tutti a tre cilindri: il primo da 65 CV è aspirato, mentre le altre due unità presenti sono turbo e offrono 90 e 100 CV. Il TCe 90 è abbinabile al cambio CVT, mentre l'ECO-G 100 è il motore riservato alla doppia alimentazione benzina-GPL. Il motore 1.5 dCi di Renault è utilizzato nella Dacia Duster diesel, erogando una potenza di 115 CV ed è disponibile sia a trazione anteriore sia a trazione integrale 4x4.
Dacia Duster è equipaggiata con il nuovo Tce 100 Eco-G, ovvero un motore a tre cilindri turbo da 1.0 litri con iniezione indiretta. Rispetto al precedente 1.6 aspirato, il nuovo powertrain offre una potenza massima di 100 CV, ma guadagna 14 Nm di coppia a circa 2.000 giri/min.
Affidabilità del marchio Dacia e non solo
Le vetture del marchio Dacia sono caratterizzate da un prezzo vantaggioso, derivante principalmente dal loro processo di produzione in Romania, dove il costo del lavoro è notevolmente inferiore rispetto ad altre parti del mondo. Inoltre, il brand sta vivendo una fase di crescita notevole, grazie anche all'accordo commerciale con Renault.
Per quanto riguarda l'affidabilità, Dacia dichiara una durata di circa 250.000 chilometri per il suo motore, tuttavia con un corretto utilizzo questo valore può raggiungere anche i 300.000 chilometri. Ogni veicolo Dacia è coperto da una garanzia di 3 anni o 100.000 km, a seconda di quale termine venga raggiunto per primo.
Il motore, un tre cilindri turbo, si distingue per un'ottima reattività già ai bassi regimi, grazie alla sovralimentazione che conferisce un'accelerazione interessante già a 2.000 giri. L'unica nota negativa riguarda il cambio, che avremmo preferito fosse dotato di sei rapporti, in quanto in autostrada manca la marcia di riposo. Questo tipo di powertrain permette solo la trazione anteriore.
Per quanto riguarda gli interni, non sono stati apportati cambiamenti rispetto alla versione precedente, ma gli spazi sono comunque ben gestiti, sebbene alcuni materiali risultino un po' economici. Il display al centro della plancia fornisce informazioni chiare e dettagliate. Le sedute sono confortevoli e recano il logo Duster sullo schienale. Il bagagliaio ha una capacità inferiore rispetto alle versioni diesel e solo benzina (oltre 600 litri), limitandosi a 330 litri.
Tra i Bonus edilizi meno conosciuti c’è il Bonus zanzariere. Quando spetta la detrazione fiscale e a quanto ammonta?
Col caldo ritornano anche le maledette zanzare, ma non tutti sanno che è possibile richiedere un incentivo statale per evitare le punture.
Gli interventi edilizi di Ecobonus danno, infatti, accesso, oltre al Bonus tende, anche al Bonus zanzariere.
In particolare, i proprietari degli immobili oggetto dei lavori possono ottenere la detrazione IRPEF al 50% per l’acquisto e il montaggio di zanzariere con schermatura solare.
Il sussidio, dunque, è pensato nell’ottica del miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici. Vediamo a chi spetta il Bonus zanzariere e quali sono i requisiti per richiederlo.
Bonus zanzariere: le condizioni di accesso
La richiesta del Bonus zanzariere può essere effettuata da chiunque vanti un diritto reale di godimento sull’immobile, sia per gli edifici privati sia per quelli commerciali (in questo caso, la detrazione spetta sull’IRES).
Per ottenere l’agevolazione, è fondamentale che i prodotti acquistati abbiano determinate caratteristiche. Nello specifico, devono:
riportare il marchio CE, che certifica che la zanzariera rispetta gli standard comunitari di salute e sicurezza;
possedere un valore GTOT inferiore a 0,35 certificato. Si tratta di un dato che specifica il tipo di prestazione della zanzariera, in combinazione con il vetro. In tal caso, quest’ultimo deve essere di tipo D a doppio vetro 4/16/4 con gas argon;
essere installati a protezione del vetro;
essere mobili;
trovarsi nella parte esterna della finestra, oppure essere integrati all’infisso.
Bonus zanzariere: a quanto ammonta il sussidio?
Il Bonus zanzariere non riguarda solo l’acquisto della merce, ma anche l’installazione, fino a una soglia massima di spesa di 60 mila euro.
La detrazione IRPEF o IRES al 50%, inoltre, va suddivisa, al momento della Dichiarazione dei Redditi, in 10 rate annue di uguale importo.
Per l’approvazione del beneficio fiscale, tutti gli acquisti devono essere effettuati mediante bonifico parlante, bonifico online postale oppure bancario. Al momento della compilazione, va specificata la legge relativa all’Ecobonus, le informazioni anagrafiche del beneficiario e del destinatario, la causale e il numero della fattura.
È, poi, obbligatorio inoltrare, entro 90 giorni dalla fine dei lavori, la comunicazione ENEA.
Ulteriori obblighi del contribuente
Per essere in regola, nell’eventualità di controlli da parte del Fisco, l’interessato deve conservare, per almeno 10 anni, la seguente certificazione:
fatture e ricevute;
copie dei bonifici effettuati;
certificati rilasciati dai fornitori o dai produttori della merce oggetto del Bonus;
documenti originali trasmessi all’ENEA;
schede tecniche rilasciate dai fornitori;
ricevuta della trasmissione dei documenti richiesti all’ENEA.
Ricordiamo, infine, che, come per tutti gli altri Bonus edilizi, anche in tal caso, non si può più richiedere lo sconto in fattura del 50%. Per i lavori effettuati dopo il 16 febbraio 2023, infatti, il Governo ha revocato tale facoltà, tranne nelle ipotesi del Bonus per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
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Chi ci guadagna e chi ci perde con quoziente familiare che prenderà il posto dell'Isee con riforma fisco? La nuova riforma del Fisco potrebbe prevedere l’introduzione del nuovo quoziente familiare per il calcolo delle tasse da pagare ma la possibilità di accesso ai bonus ma al momento non si sa ancora se affiancherà o sostituirà del tutto l’attuale Isee, indicatore della situazione economica equivalente che misura la ricchezza delle famiglie italiane e che oggi è fondamentale per usufruire di bonus, agevolazioni e altre misure di aiuto e di sostegno.
Quoziente familiare al posto dell’Isee come funziona
Chi ci guadagna e chi ci perde con quoziente familiare
Quoziente familiare al posto dell’Isee come funziona
Il quoziente familiare che si prepara a prendere il posto dell’Isee (anche se non si sa in che tempi considerando che per portare a compimento la riforma del Fisco il governo ha il tempo dei 5 anni della legislatura) rappresenta un sistema di calcolo delle tasse e della ricchezza familiare differente dall’Isee. Quest’ultimo si basa, infatti, su redditi, patrimoni, mobiliare e immobiliari, di ogni componente di un nucleo familiare, nonché sul numero dei componenti del nucleo familiare.
Il nuovo quoziente familiare non si basa sul reddito personale ma sul reddito familiare e divide il reddito complessivo della famiglia per il numero dei componenti del nucleo familiare, considerando nel calcolo complessivo coniugi, figli ed altri eventuali familiari conviventi e a carico.
Il quoziente familiare si calcola dividendo la somma dei redditi complessivi posseduti nell'anno precedente a quello del sostenimento della spesa:
da contribuente;
dal coniuge del contribuente;
dal soggetto legato da unione civile o convivente se presente nel nucleo familiare;
dai familiari diversi dal coniuge;
dal soggetto legato da unione civile o dal convivente, presenti nel suo nucleo familiare.
Con il quoziente familiare, le aliquote d’imposta dipendono dal reddito familiare, più che dal patrimonio che invece ha in importante peso nel calcolo Isee, diviso per il numero di componenti, corretti per una scala di equivalenza.
I coefficienti previsti per ogni membro del nucleo familiare sono:
1 per single e per le vedove/i con almeno un figlio a carico;
2 per coppia sposata o convivente;
0,5 per primo e secondo figlio;
1 per ogni figlio dopo il secondo;
0,5 per i genitori soli con almeno un figlio a carico;
4 in presenza di terzo figlio (e oltre) o di figli disabili a carico.
Chi ci guadagna e chi ci perde con quoziente familiare
Volendo capire chi ci guadagna e chi ci perde con il quoziente familiare al posto dell’Isee potremmo dire che ci guadagnano di più i nuclei familiari più numerosi rispetto a famiglie composte solo da una o due persone e peggio ancora se senza figli.
Con il quoziente familiare, infatti, più sono i componenti della famiglia più si riducono le tasse e viceversa. Inoltre, probabilmente, con il riordino di bonus e detrazioni, il quoziente familiare, oggi valido solo per superbonus 110%-90%, potrebbe allargarsi ad interessare altre detrazioni, per cui l'Isee resta per ora il riferimento ma anche il quoziente familiare potrebbe diventare importante.
Per agevolazioni e bonus disponibili, il meccanismo del quoziente familiare sarebbe più vantaggioso per le coppie con figli e le famiglie numerose ma bisognerà comunque definire degli accorgimenti nel calcolo per evitare che il quoziente familiare che potrebbe arrivare con la nuova riforma fiscale non favorisca soprattutto chi ha redditi alti, perché, per esempio, in una coppia in cui i redditi sono molto sbilanciati, chi guadagna molto potrebbe ritrovarsi a pagare meno tasse considerando il reddito familiare e non più quello personel per cui, invece, pagherebbe molte più tasse.
L’articolo 1, comma 772, L. 160/2019, ha confermato la deduzione dell’Imu ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni.
Si trattava, però, come disciplinato dal successivo comma 773, di un aumento progressivo della deducibilità dell’imposta, che ha anticipato la deduzione integrale dell’Imu a partire dal periodo di imposta 2022.
La deduzione riguarda l’Imu versata per gli immobili strumentali all’attività di impresa, arti e professione.
In particolare, si tratta di immobili strumentali pernatura, ossia non suscettibili di diversa utilizzazione (classificati nelle categorie catastali A/10, B, C, D e E) e di immobili strumentali per destinazione, ossia utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa, arti e professioni.
Sono, invece, esclusi dalla deduzione sia gli immobili utilizzati ad uso promiscuo, sia quelli “patrimonio” detenuti dalle imprese, tra i quali rientrano quelli di cui all’articolo 90 Tuir, ossia gli immobili abitativi non utilizzati per lo svolgimento dell’attività d’impresa, né costituenti beni merce.
Ai fini dell’indicazione all’interno del quadro RF del modello Redditi SC, le istruzioni ministeriali ripetono quanto previsto negli anni scorsi, ed in particolare richiedono di operare una doppia variazione:
in aumento, nel rigo RF16, per l’intero importo dell’Imu di competenza del 2022 ed imputata nel conto economico di tale anno;
in diminuzione, nel rigo RF55 (codice 38), dell’intera imposta di competenza del 2022 e pagata nello stesso anno.
Si supponga che una società di capitali abbia pagato, nel corso del periodo di imposta 2022, un importo totale di Imu, in sede di acconto e saldo, pari a 1.000 euro.
Tale importo riguarda un immobile strumentale per natura utilizzato per l’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio di cancelleria (categoria catastale C/1).
Come dettato dalle istruzioni, l’importo dovuto, in quanto risultante a conto economico, deve essere indicato all’interno del rigo RF16, tra le variazioni in aumento.
Il medesimo importo versato, poi, deve essere indicato anche tra le altre variazioni in diminuzione, all’interno del rigo RF55, con il codice 38.
Diversamente, laddove l’Imu di competenza del 2022 sia corrisposta tardivamente nel periodo d’imposta 2023, all’interno del modello Redditi SC 2023, relativo al periodo di imposta 2022, deve essere operata la sola variazione in aumento nel rigo RF16, per l’intero importo dell’imposta imputata nel conto economico, mentre nel modello Redditi 2024, relativo al periodo di imposta 2023, sarà operata la variazione in diminuzione nel rigo RF55 per il medesimo importo.
Il rischio Italia non spaventa gli investitori americani. Cassa Depositi e Prestiti debutta sul mercato dei capitali americano lanciando la sua prima emissione obbligazionaria denominata in dollari, ‘Yankee Bond', per un ammontare complessivo pari a 1 miliardo di dollari.
La platea di investitori
Il primo Yankee Bond emesso da Cdp, si legge in una nota diffusa da Via Goito, ha registrato una domanda pari a circa 3,8 miliardi, superiore di quasi quattro volte l'offerta con ordini provenienti da più di 120 investitori. Il collocamento del bond in valuta statunitense ha visto una rilevante partecipazione di investitori americani,per oltre il 45% su una complessiva partecipazione di investitori esteri pari al 76 per cento.
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Il rendimento offerto
L'emissione, riservata agli investitori istituzionali residenti sia negli Stati Uniti d'America cheal di fuori, ha una cedola annua lorda pari a 5,750% e una scadenza di 3 anni. Attraverso questa operazione, Cdp, spiega la nota, «prosegue la strategia di diversificazione delle proprie fonti di raccolta e rafforza la sua attività di sostegno alle esportazioni delle imprese italiane. Il bond inaugurale in dollari costituisce il primo ingresso sul mercato obbligazionario statunitense, in linea con la strategia di Cdp rivolta all'attrazione di capitali esteri e all'ampliamento della base di investitori».
Il rating e le banche coinvolte
Il rating dei titoli è atteso pari a BBB per S&P e BBB per Fitch. L'operazione ha coinvolto un sindacato di banche, nell'ambito del quale hanno agito, in qualità di joint bookrunners: Bnp Paribas, BofA Securities, Citi, Goldman Sachs International, HSBC, Imi – Intesa Sanpaolo, J.P. Morgan, Morgan Stanley e Société Générale. Citi e J.P. Morgan hanno agito anche in qualità di global coordinators dell'operazione.
Tira tutta un’altra aria in casa STMicroelectronics. La società che ha investito nei suoi stabilimenti di Agrate Brianza, ha chiuso il primo trimestre con utili e giro d'affari oltre le previsioni degli analisti e della società stessa. I ricavi netti messi «sono stati superiori alle attese nei settori Automotive e Industrial, in parte controbilanciati da ricavi minori nella Personal Electronics», ha detto l'amministratore delegato del gruppo dei semiconduttori, Jean-Marc Chery, sottolineando che «il margine lordo del primo trimestre, pari al 49,7%, è stato di 170 punti base superiore al punto intermedio della nostra forchetta di previsione delle attività, principalmente a causa del mix di prodotto in un contesto di prezzi che è rimasto favorevole».
Il gruppo dei semiconduttori ha riportato un utile netto di 1,044 miliardi di dollari, 1,10 dollari per azione, in rialzo del 39,8% rispetto ai 747 milioni, 0,79 dollari per azione, dello stesso periodo dell'anno precedente (-16,3% rispetto ai tre mesi precedenti). I ricavi sono cresciuti del 19,8% anno su anno (-4% su base trimestrale) a 4,247 miliardi di dollari, contro i 4,2 miliardi stimati dalla società come valore intermedio a fine quarto trimestre.
Gli analisti di Banca Akros attendevano profitti per 908 milioni di dollari, con ricavi per 4,17 miliardi, mentre quelli di Intermonte prevedevano profitti per 938 milioni e ricavi per 4,2 miliardi. Nel trimestre il margine lordo si è attestato al 49,7%, in aumento rispetto al 46,7% dello stesso periodo 2022 e al 47,5% nel quarto trimestre, contro previsioni del gruppo per un 48% e degli analisti per il 47,5-48%.
La società italo-francese si aspetta adesso un secondo trimestre 2023 con «ricavi netti di 4,28 miliardi di dollari come valore intermedio, corrispondenti a una crescita anno su anno dell'11,5% e a un incremento dello 0,8% rispetto al trimestre precedente», più o meno 350 punti base, ha detto l'amministratore delegato. Lo stesso Chery ha sottolineato che «il margine lordo è atteso intorno al 49%», più o meno 200 punti base, contro il 49,7% dei primi tre mesi dell'anno. Il numero uno del gruppo dei semiconduttori ha inoltre evidenziato che «guideremo ora la società in base a un piano di ricavi per il 2023 compreso tra 17 miliardi di dollari e 17,8 miliardi di dollari». Il gruppo ha quindi alzato la parte bassa della forchetta precedentemente stimata: a gennaio la previsione era stata per ricavi annuali compresi tra 16,8 e 17,8 miliardi.
Il mercato delle auto elettriche è nel pieno di un boom di vendite che avrà delle forti implicazioni sulla domanda di petrolio nei prossimi anni: è il messaggio lanciato nel Global Electric Vehicle Outlook 2023 redatto dall'Agenzia Internazionale dell'Energia (International Energy Agency, IEA) ente intergovernativo fondato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) nel 1974, poco dopo la crisi petrolifera. In particolare, secondo gli autori del rapporto, l'industria automobilistica globale "sta subendo un cambiamento epocale, con delle implicazioni per il settore energetico, poiché l'elettrificazione è destinata a evitare la necessità di 5 milioni di barili di petrolio al giorno entro il 2030", nonché l'immissione in atmosfera di circa 700 megatonnellate di CO2.
Crescita esplosiva. Stando al report, nel 2023 le vendite di veicoli a batteria hanno superato la soglia dei 10 milioni di unità in tutto il mondo; quest'anno, le Ev sono previste in ulteriore aumento del 35%, per toccare il nuovo record dei 14 milioni di unità. "Questa crescita esplosiva significa che la quota delle auto elettriche nel mercato globale è passata da circa il 4% del 2020 al 14% nel 2022 ed è destinata ad aumentare ulteriormente al 18% quest'anno", sottolinea l'agenzia. "Le tendenze a cui stiamo assistendo hanno implicazioni significative per la domanda globale di petrolio. Il motore a combustione interna non ha rivali da oltre un secolo, ma i veicoli elettrici stanno cambiando lo status quo". L'impatto sul mondo del greggio sarà però molto più ampio, visto che le previsioni dell'agenzia non riguardano mezzi di trasporto più grandi. "Le auto sono solo la prima ondata", spiega l'Iea seguiranno presto gli autobus e i camion elettrici".
Dominio cinese. Il report conferma poi che "la stragrande maggioranza delle vendite di auto elettriche sono fino a oggi concentrate principalmente in tre mercati: Cina, Europa e Stati Uniti". Il Paese del Dragone, però, svetta con una quota del 60% nel 2022 e "più della metà di tutte le elettriche in circolazione in tutto il mondo". In sostanza, Pechino ha già superato i suoi target per il 2025. Rimangono indietro l'Europa e gli Stati Uniti, nonostante un aumento, rispettivamente, del 15% e del 55% e una penetrazione al 18% e all'8%. Tuttavia, secondo l'agenzia i "programmi politici ambiziosi, come il Fit for 55 dell'Unione europea e l'Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, dovrebbero aumentare ulteriormente la quota di mercato in questo decennio e oltre". Lo dimostrano già i dati del primo trimestre con oltre 2,3 milioni di unità commercializzate e una crescita del 25%. A tal proposito, gli esperti ritengono che entro il 2030 la quota media delle elettriche sulle vendite totali in Cina, Ue e Stati Uniti saliràa circa il 60%, determinando "effetti positivi" anche su batterie e catene di approvvigionamento. Secondo il rapporto, i progetti per la produzione di accumulatori finora annunciati "sarebbero più che sufficienti per soddisfare la domanda di veicoli elettrici fino al 2030" in uno scenario di emissioni nette zero per il 2050. Anche in questo caso, però, a dominare è la Cina e, infatti, l'agenzia stima che l'anno scorso Pechino abbia conquistato una quota dell'export di auto a batteria di oltre il 35% (era il 25% nel 2021) in tutto il mondo. Inoltre, solo sul mercato europeo il made in China è salito in un anno dall'11% al 16% . Il quadro non cambia neanche nelle proizioni al 2030: la Cina manterrà la sua leadership con il 40% delle vendite totali, mentre l'Europa arriverà al 25% e gli Stati Uniti al 20%.
Segnali incoraggianti. Dunque, la filiera delle Bev è concentrata in pochi grandi mercati, ma da altre regioni arrivano segnali "promettenti": le vendite sono più che triplicate in India e Indonesia, arrivando all'1,5% del totale, e più che raddoppiate in Thailandia, dove sono salite al 3%. "È probabile che una combinazione di politiche efficaci e investimenti del settore privato aumenti queste quote in futuro. In India, il programma di incentivi del governo da 3,2 miliardi di dollari, che ha attratto investimenti per un valore di 8,3 miliardi, dovrebbe aumentare sostanzialmente la produzione di batterie e il lancio di veicoli elettrici nei prossimi anni", sottolinea l'agenzia, facendo presente come nelle economie emergenti e in via di sviluppo, l'area più dinamica della mobilità elettrica sia rappresentata dai veicoli a due o tre ruote.
500 modelli in commercio. Il report fornisce anche ulteriori evidenze di particolare importanza per comprendere l'andamento del mercato delle BEV. Per esempio, l'anno scorso, la spesa globale ha superato i 425 miliardi di dollari, il 50% in più sul 2021, e di questa cifra solo il 10% è attribuibile alla "mano pubblica", mentre il restante 90% è direttamente legato alle scelte dei consumatori. Consumatori che potranno beneficiare di un mercato "sempre più competitivo" e di "modelli più convenienti" grazie all'ingresso di nuovi costruttori, principalmente cinesi. Già oggi è "crescente" il numero delle alternative a disposizione dei potenziali clienti: nel 2022, a livello globale si contavano 500 modelli a batteria, più del doppio rispetto al 2018. Tuttavia, l'agenzia sottolinea la necessità per le Case di rendere i prezzi più "accessibili e competitivi per agevolare l'adozione di massa delle elettriche", sopratutto al di fuori della Cina. "Il livello attuale di elettriche disponibili è ancora significativamente inferiore al numero di opzioni a combustione interna sul mercato, anche se il numero di endotermiche disponibili è in costante diminuzione dal suo picco a metà degli anni 2010", sottolinea l'Aie. Da notare, infine, il costante dominio di Suv o comunque veicoli di grandi dimensioni: questi ultimi rappresentano il 60% dell'offerta in Europa e Cina e una quota "ancor più grande" in Usa.
Hyundai Kona 2023 è un piccolo crossover caratterizzato da una forte personalità, soprattutto dopo l'aggiornamento. Il design è caratterizzato dalla presenza di luci su più livelli inserite in ampi fascioni di plastica scura, forme muscolose e una tinta bicolore della carrozzeria.
L'eccessiva enfasi sul design ha comportato alcune rinunce in termini di praticità, in quanto fari e fanali sono posti in basso e agli angoli della vettura, rendendoli più esposti ai piccoli urti di parcheggio. Scopriamola da vicino:
Hyundai Kona 2023, la prova su strada
Punti di forza e di debolezza di Hyundai Kona 2023
Hyundai Kona 2023, la prova su strada
Nonostante le dimensioni contenute, l'interno di Hyundai Kona è spazioso e offre un buon livello di comfort anche per i passeggeri posteriori. La qualità dei materiali è discreta, con molte plastiche rigide nella plancia e nei pannelli delle porte, ma le lavorazioni dei vari elementi, la posizione di guida e la disposizione dei comandi sono buone. Il bagagliaio, di capacità sufficiente, presenta una soglia non troppo alta per una crossover.
La gamma di motori della nuova Kona 2023 è molto ampia, con versioni a benzina, diesel, ibride e completamente elettriche. Ed è disponibile una versione da 280 CV, la 2.0 N Performance, che garantisce elevate prestazioni sportive, ma al prezzo di un comfort inferiore rispetto alle altre versioni. Comunque, tutte le versioni presentano un valido comportamento su strada. La trazione può essere anteriore o integrale, in base alle differenti esigenze.
Se la percorrenza annua è limitata, Hyundai Kona 1.0 T-GDi a benzina con sistema mild hybrid è una scelta idonea grazie ai vantaggi sui consumi in ambito urbano. In alternativa, la 1.6 full hybrid è una valida opzione. Per quanto riguarda le opzioni di allestimento, la versione di base XTech offre molte funzionalità di sicurezza, tra cui il sistema di frenata automatica che opera anche in presenza di ciclisti e pedoni, oltre al mantenimento della corsia centrale.
La versione più sofisticata XLine presenta fari full led e cruscotto digitale, mentre la versione sportiva N Line si distingue per i dettagli sportivi, tra cui i cerchi in lega da 18 pollici e il design frontale completamente rielaborato.
Punti di forza e di debolezza di Hyundai Kona 2023
L'abitacolo della Hyundai Kona 2023 presenta un notevole spazio interno rispetto alle dimensioni esterne del veicolo. L'auto si presenta agilmente maneggevole sulla strada e si caratterizza per una stabilità di guida notevole. Il sistema di sterzo risulta ben calibrato e l'impianto frenante è potente ed efficiente. Da sottolineare la presenza di una vasta gamma di sistemi di assistenza alla guida elettronici di serie anche sulla versione di base del veicolo. Il prezzo di partenza è di circa 28.000 euro.
La tecnologia di cruise control adattativo, presente nella Hyundai Kona 2023, è disponibile solo per le varianti con cambio automatico o elettriche. L'abitacolo, nonostante offra spazio sufficiente, presenta alcune plastiche rigide e di bassa qualità, ma ben costruite. È importante notare che i fari e i fanali, posizionati agli angoli dei paraurti, sono particolarmente vulnerabili a urti lievi.
In corso l’offerta pubblica di scambio obbligatoria con corrispettivo alternativo in denaro promossa da Dufry su Autogrill. L’operazione terminerà il 15 maggio 2023.
In corso l’offerta pubblica di acquisto volontaria totalitaria promossa da HWG su Sababa Security. L’operazione terminerà il 5 maggio 2023.
Aumenti di capitale
In corso l’aumento di capitale di ESI. L'operazione terminerà il 4 maggio 2023, mentre i diritti relativi all'aumento di capitale saranno quotati fino al 27 aprile.
COLLOCAMENTI TITOLI DI STATO
ITALIA
Emissione di BOT con scadenza il 29 settembre 2023 (semestrali, vita residua 5 mesi). Ammontare offerto: 3,5 miliardi di euro.
Emissione di BOT con scadenza il 12 febbraio 2024 (annuali, vita residua 9 mesi). Ammontare offerto: 2,5 miliardi di euro.
GERMANIA
Emissione di titoli di stato con scadenza maggio 2038 (quindicennale). Ammontare massimo: 1,5 miliardi di euro.
TRIMESTRALI
EUROPA
Dassault Systemes (Francia, 1° trimestre 2023)
Orange (Francia, 1° trimestre 2023)
STATI UNITI
Boeing (1° trimestre 2023 – Comunicato prima dell’apertura di Wall Street)
eBay (1° trimestre 2023 – Comunicato dopo la chiusura di Wall Street)
META Platforms (1° trimestre 2023 – Comunicato dopo la chiusura di Wall Street)
MACROECONOMIA
GERMANIA
Indice di fiducia dei consumatori a maggio 2023 (ore 08.00). Consensus: -30,0.
FRANCIA
Indice di fiducia dei consumatori ad aprile 2023 (ore 08.45). Consensus: 82,0.
STATI UNITI
Ordinativi di beni durevoli a marzo 2023 (ore 14.30). Consensus: +0,5% m/m.
Ordinativi di beni durevoli (escluso il settore difesa e aerei) a marzo 2023 (ore 14.30). Consensus: n.d.
Bilancia commerciale a marzo 2023 (ore 14.30). Consensus: -89 miliardi di dollari.
Rivoluzione in casa Pernigotti: il Gianduiotto cambia aspetto. Il cioccolatino piemontese dimentica l'incarto metallizzato dorato per adottarne uno nuovo color rame. Ad annunciare il cambio di passo l'azienda di Novi Ligure in occasione di Ism, la maggiore fiera mondiale sul settore dei dolciumi e degli snack: "Con queste novità parte il piano di rilancio di Pernigotti, che prevede un’importante attività per il riposizionamento in Italia di questa marca storica, ma anche un forte impegno per conquistare i mercati internazionali, che sono molto interessati alla nostra produzione", ha spiegato Luigi Leonetti, direttore Commerciale di Pernigotti e Walcor, aziende dolciarie controllate dal gruppo JP Morgan.
E ancora: "Nell’ambito di questo piano di rilancio, abbiamo ritenuto che fosse giunto il momento di rinnovare anche il look e la ricetta di un prodotto così iconico come il Gianduiotto, restando però assolutamente fedeli alla tradizione ultrasecolare di questo cioccolatino famoso in tutto il mondo".
Non a caso, l'azienda ha condotto una ricerca per testare la notorietà del brand. Risultato? Questa rimane molto alta tra i consumatori italiani. "I primi prodotti Pernigotti con il nuovo marchio e anche nuove confezioni arriveranno nei punti vendita in tutta Italia nel prossimo mese di ottobre", è stata la previsione di Leonetti che ha annunciato: "Partiremo dai gianduiotti e dalle praline, che saranno seguiti dai torroni e dai nocciolati in vista del Natale. Per questi prodotti, renderemo le ricette ancora più esclusive, seppur restando nel solco della tradizione".
Se siete investitori amanti dei dividendi, in Italia dovete segnarvi due date: il 24 aprile e il 22 maggio. Il secondo, in particolare, è il giorno in cui gran parte delle società di Piazza Affari, quotate sul FTSE Mib, stacca la cedola, tra cui Eni (quarta tranche), FinecoBank, Generali, Intesa Sanpaolo e Leonardo. Ma anche il 24 aprile è da tenere d’occhio, perché ci sono nomi importanti come Banca Mediolanum, Banco BPM, Unicredit, Stellantis e Ferrari.
E’ possibile che non siate azionisti di queste e delle altre aziende italiane che staccheranno il dividendo quest’anno; tuttavia potreste avere in portafoglio degli ETF (Exchange traded fund) o dei fondi azionari income con alcune di esse.
Gli ETF high dividend con più titoli italiani
Tra gli ETF azionari Europa focalizzati sui titoli ad alto dividendo, Deka EURO iSTOXX® ex Fin Dividend+ (ISIN DE000ETFL482) è quello con la più alta esposizione all’Italia (9,1% netto al 19 aprile). Il fondo, che replica un paniere di azioni high dividend, escludendo il settore finanziario, ha nelle prime venti posizioni di portafoglio Stellantis (STLAM), Enel (ENEL), Eni (ENI) e Snam (SRG). Nonostante il peso di Piazza Affari, questo ETF non è quotato sul listino ETFPlus.
Lo è, invece, l’ETF Franklin European Dividend (ISIN IE00BF2B0L69) che ha il 7,8% del patrimonio in società italiane con una cedola generosa (dati al 19 aprile). Tra queste figurano Assicurazioni Generali (G), Snam e Azimut holding (AZM). Il fondo traccia la performance di una strategia di Franklin Templeton esposta alle aziende con alti e stabili dividendi in 15 mercati sviluppati europei.
E’ quotato in Borsa italiana anche l’ETF WisdomTree Europe Equity Income (ISIN IE00BQZJBX31), che replica un indice proprietario di società europee ponderate in base ai dividendi pagati annualmente. Tra i nomi italiani nelle prime posizioni troviamo Stellantis ed Eni (dati al 19 aprile).
Gli ETF ad alto dividendo con meno titoli italiani
In base ai dati di portafoglio disponibili, non ci sono titoli italiani ad alto dividendo nel BNP Paribas Easy ESG Equity Dividend Europe ETF (ISIN LU1615090864), che tiene conto dei criteri ambientali, sociali e di governance nella costruzione del portafoglio. Inoltre, è minima l’esposizione a Piazza Affari (0,10% al 18 aprile) dell’ETF iShares MSCI Europe Quality Dividend ESG (ISIN IE00BYYHSM20), anch’esso basato sui fattori di sostenibilità, oltre che su società con cedole generose.
Sarebbe comunque una conclusione affrettata quella di considerare le aziende italiane high dividend poco ESG, dal momento che la valutazione di questo aspetto varia molto da un’agenzia di rating a un’altra. Per altro, se guardiamo ai titoli che troviamo in altri ETF income, vediamo che l’ESG risk rating assessment di Morningstar è prevalentemente tra i tre e quattro globi, quindi medio o medio-alto.
I vantaggi delle strategie azionarie income
Al di là delle cedole generose di alcune società italiane, le strategie a reddito specializzate sull’Europa hanno avuto rendimenti positivi dall’inizio dell’anno, dopo un 2022 in cui mediamente avevano perso oltre l’8%. Anche se da gennaio sono rimaste leggermente indietro rispetto ad altre categorie azionarie con focus sul Vecchio continente, gli investitori non possono ignorare i vantaggi dei titoli high dividend.
“I dividendi hanno storicamente rappresentato un potente motore per i rendimenti totali, soprattutto quando il reddito è stato reinvestito nel tempo”, dice Yoichiro Kai, gestore della strategia Global Equity Dividend di T. Rowe Price. “Dal 1970, i dividendi composti hanno rappresentato oltre il 70% dei rendimenti azionari globali. Se si considerano gli ultimi 20 anni, hanno costituito una parte importante dei rendimenti totali nei principali mercati sviluppati ed emergenti. In Europa, hanno contribuito a oltre il 46% dei rendimenti totali dal 1999”.
Per Vincent Mortier, Group chief investment officer di Amundi, le azioni che distribuiscono dividendi sono da preferire in un contesto di elevata inflazione, perché “vanno ad accrescere i guadagni degli investitori”.
Ha una posizione analoga Saira Malik, responsabile investimenti di Nuveen, che vede ancora venti contrari sui mercati azionari globali e quindi predilige “un atteggiamento complessivamente difensivo e gli investimenti con un solido free cash flow, un potere di determinazione dei prezzi tale da contribuire a compensare l'inflazione e quelli con la capacità di far crescere i dividendi”.
Kai invita a prestare attenzione alla sostenibilità dei dividendi e ai fondamentali aziendali. “Alcune società che pagano dividendi elevati possono semplicemente avere limitate opportunità di crescita e pochi utilizzi per la liquidità disponibile. Altrettanto discutibili sono le società ad alta intensità di capitale che, per invogliare gli investitori, fanno pagamenti troppo elevati”, dice. Il rischio è che non siano in grado di mantenere cedole generose nel tempo o di avere una crescita degli utili che permetta un apprezzamento delle azioni.
Il portfolio manager di T. Rowe Price sottolinea l’importanza di valutare le prospettive di un’azienda. Cedole basse ma in crescita oggi, potrebbero indicare un percorso di espansione degli utili, con flussi di cassa che iniziano a superare le esigenze di spesa in conto capitale. “Riteniamo che vi siano maggiori possibilità di ottenere rendimenti totali corretti per il rischio costanti nel lungo periodo investendo in società che pagano dividendi duraturi e in crescita”, conclude Kai.
Cosa gli investitori devono aspettarsi in Europa sul fronte dei dividendi?
Secondo l’Allianz Global Investors Dividend Study 2023, pubblicato a gennaio, i dividendi potrebbero salire di oltre l’1% rispetto al 2022 a un massimo storico di 387 miliardi di euro per le aziende europee (il paniere di riferimento è l’indice Msci Europe).
Nel 2022, secondo lo studio, diversi Paesi europei hanno registrato un incremento del dividend yield. In Italia e Spagna, si è passati da poco meno del 3% al 5% e al 4% rispettivamente; in Germania e Francia il rialzo è stato da circa il 2,25% al 3,5% e al 3% rispettivamente. Nel Regno Unito è, invece, rimasto stabile appena sotto il 4%. In tutti casi, il dividend yield si è mantenuto nettamente superiore ai rendimenti nominali delle obbligazioni governative a 10 anni.
Per Hans-Jörg Naumer, Head of Capital Market Analysise autore dello studio di Allianz Global, “in molti casi i dividendi favoriscono la stabilità dei portafogli azionari, in particolare in anni come il 2022, caratterizzati da un andamento negativo delle quotazioni. In tali anni le distribuzioni di dividendi possono compensare almeno in parte (ma a volte anche in toto) le perdite sul fronte dei prezzi. Inoltre, in base ai nostri calcoli, la volatilità media delle azioni delle società che pagano dividendi risulta nettamente e sistematicamente inferiore a quella delle aziende che non effettuano distribuzioni. Per il mercato azionario europeo nel complesso parliamo di una differenza di più di 10 punti percentuali”.
Il passaggio di mano non ha convinto i clienti del Credit Suisse che restano poco fiduciosi sul futuro della banca e continuano a scappare. I correntisti dell’istituto di credito svizzero, salvato in marzo da Ubs che sta completandone l’acquisizione per risolvere la potenziale crisi di liquidità, stanno continuando a togliere i loro soldi dai depositi. Lo dice la stessa Credit Suisse, che in una nota diffusa il 24 aprile a corredo dei risultati finanziari rivela due notizie: a) nel primo trimestre di quest’anno il gruppo elvetico ha registrato «significativi deflussi netti di asset», cioè una fuga di depositi pari a 61,2 miliardi di franchisvizzeri (68 miliardi di dollari al cambio di 0,8920 franchi per un dollaro e circa 62 miliardi di euro al cambio del 24 aprile), il 5% degli asset in gestione a fine 2022; b) la fuga di denaro dai depositi «ha rallentato ma non si è ancora invertita».
L’altalena dei deflussi
Nel comunicato si legge che i deflussi «sono stati più acuti nei giorni immediatamente precedenti e seguenti l’annuncio della fusione» con l’Ubs guidata dal ceo Sergio Ermotti. Poi «si sono stabilizzati a livelli molto più bassi ma non hanno ancora invertito la tendenza del 24 aprile».
L’utile con Ubs
I risultati finanziari di Credit Suiss nel primo trimestre, grazie al passaggio a Ubs, sono positivi: l’utile è balzato a 12,4 miliardi di franchi, contro una perdita di 1,39 miliardi nello stesso periodo del 2022, in seguito alla svalutazione di 15 miliardi di franchi dei titoli subordinati At1, deciso per favorire la transazione con Ubs, spinta dal governo elvetico. I deflussi di capitali avevano raggiunto i 123,2 miliardi di franchi nel 2022, di cui 110,5 miliardi nel solo quarto trimestre. Alla fine dello scorso anno, il patrimonio gestito dall’istituto di credito era di circa 1.290 miliardi di franchi, quello di Ubs ammontava invece a 3.960 miliardi, nota l’Adnkronos.
La nuova poltrona per il controllo dei rischi
È stato anche annunciato che Christan Blum, il chief risk officer di Ubs, continuerà a ricoprire il ruolo «per il prossimo futuro, benché avesse annunciato in novembre che avrebbe lasciato, e rimarrà membro della direzione generale. Secondo osservatori, questo ritarderebbe il passaggio di consegne, inizialmente previsto per il primo maggio, a Damian Vogel, che sta assumendo il nuovo ruolo di responsabile dell’integrazione fra i due istituti di credito. «L’impegno attivo di questi due esperti del rischio garantirà che saremo ben preparati e adeguatamente posizionati in quest’area, cosa fondamentale per il nostro successo futuro», ha detto Ermotti, in chiave di rassicurazione dei mercati. In Borsa il titolo Credit Suisse saliva alle ore 10 dell’1,52% (-1,91% dal 18 aprile) e Ubs dell’1,30%, riducendo al -3,34% la perdita degli ultimi cinque giorni.
La nuova Land Rover Defender 2023 è un modello destinato ad ampliare la gamma del noto marchio, attualmente offerto nelle versioni 90 e 110. Defender 80, che potrebbe essere il nome scelto per la versione più accessibile al mercato europeo, è al centro delle più recenti indiscrezioni. Nonostante le somiglianze stilistiche con il modello più grande, la nuova versione avrà dimensioni notevolmente più contenute: la lunghezza stimata dovrebbe essere inferiore ai 4,7 metri, mentre larghezza ed altezza dovrebbero attestarsi al di sotto dei 2 metri.
Una sorpresa riguarda la piattaforma su cui sarà costruito il nuovo modello. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratterà di una versione accorciata della piattaforma utilizzata per la Defender, ma piuttosto della piattaforma dell'Harrier, un suv prodotto da Tata, gruppo indiano che controlla Jaguar-Land Rover, dal 2018. Entriamo nei dettagli:
Così sarà la nuova Land Rover Defender 2023
Land Rover Defender 2023: opinioni, prezzi e uscita
Così sarà la nuova Land Rover Defender 2023
Land Rover Defender 80 sarebbe la versione compatta del famoso fuoristrada di Land Rover, progettata specificamente per il mercato europeo. Con dimensioni ridotte rispetto alla sorella maggiore, la lunghezza non supererà i 4,7 metri e larghezza e altezza saranno inferiori ai 2 metri.
Sul fronte motorizzazione, la Defender 80 utilizzerà propulsori ibridi a basso consumo del gruppo JLR. Tra le opzioni ci saranno il motore a benzina mild hybrid da 1.5 litri e tre cilindri con una potenza di 160 CV e i motori diesel da 2.0 litri con potenze di 163 o 204 CV, entrambi ibridi leggeri.
È da mettere in conto anche l’introduzione di una versione plug-in che combina un motore elettrico con il motore a benzina da 1.5 litri per una potenza superiore ai 300 CV. Le versioni base avranno probabilmente trazione anteriore mentre quelle di fascia alta avranno trazione integrale. La Defender 80 mira a competere con Jeep Wrangler e Ford Bronco Sport ma anche, come vedremo, a conquistare quote di mercato ai modelli tedeschi come BMW X1, Audi Q3 e Mercedes-Benz GLA.
Land Rover Defender 2023: opinioni, prezzi e uscita
Il debutto della Land Rover Defender 80 è previsto entro la fine del 2023, ma potrebbe subire ritardi a causa della crisi dei chip e delle forniture che ha colpito il gruppo Jaguar Land Rover nel biennio 2020-2022.
Il prezzo dovrebbe essere compreso tra i 30-40.000 euro, con le varianti più accessoriate che potrebbero raggiungere i 60-70.000 euro. La versione base avrà trazione anteriore, ma saranno disponibili anche allestimenti 4x4 e optional specifici per il fuoristrada. Dopotutto, si tratta sempre di una vera Land Rover.
Tra i competitor della Land Rover Defender c'è la Ford Bronco Sport, un modello che, pur avendo dimensioni ridotte, richiama nel design e nelle caratteristiche la sua sorella maggiore. La Defender 80 dovrà anche competere con i modelli tedeschi come BMW X1, Audi Q3 e Mercedes-Benz GLA, che tuttavia hanno una vocazione meno fuoristradistica.
Dichiarazione dei redditi al via. Il modello 730 precompilato sarà disponibile sul sito dell'Agenzia delle Entrate a partire dal pomeriggio di martedì 2 maggio, mentre da giovedì 11 sarà possibile accettare, modificare e inviare il 730 e il modello Redditi. Le dichiarazioni quest'anno saranno ancora più semplici da utilizzare, grazie anche alla possibilità di delegare una persona di fiducia sia online che in videocall.
Le regole di questa nuova stagione delle dichiarazioni sono definite state definite in due provvedimenti firmati dal Direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini.
La valutazione del patrimonio ereditario è indispensabile per i chiamati all’eredità, che devono avere le condizioni per scegliere in maniere consapevole se accettare o meno. Il criterio più importante è senza dubbio il valore, su cui incidono crediti e debiti del defunto. Rintracciare tutti i beni intestati al defunto, i suoi crediti e debiti può però essere insufficiente per ottenere una visione adeguata, perché non tutto rientra nell’eredità. Ci sono, infatti, alcuni beni che la legge considera non trasmissibili nel patrimonio ereditario, di solito perché strettamente collegati alla personalità del defunto.
Quali beni rientrano nell’eredità, l’elenco
Il patrimonio ereditario comprende tutti i beni in possesso del defunto che sono suscettibili di una valutazione economica. Si hanno quindi:
Beni immobili, come case e terreni;
beni mobili, come conti correnti e altri rapporti finanziari del defunto;
azioni e obbligazioni;
partecipazioni a quote societarie;
titoli al portatore di cui il defunto era titolare;
oggetti preziosi (ad esempio quadri e gioielli);
mobilia e arredamento;
veicoli, per i quali è necessaria però una particolare procedura.
L’eredità comprende poi anche i crediti del defunto, quindi:
I rimborsi dovuti dall’Agenzia delle entrate;
gli affitti percepiti dal defunto in qualità di locatore;
stipendi maturati e non ancora pagati;
straordinari non pagati;
bonus non pagati;
gratifiche professionali non ancora pagate;
quote di tredicesima e quattordicesima maturate durante l’anno del decesso fino alla morte del lavoratore;
rendite.
I beni che non rientrano nell’eredità
Distinguere in modo esaustivo i beni che fanno parte dell’eredità non è molto semplice e comunque poco utile, in quanto il patrimonio ereditario non è formato da alcuni elementi specifici, bensì comprende tutto il patrimonio del defunto con alcune eccezioni. È dunque preferibile conoscere di quali eccezioni si tratta e quindi sapere quali beni non rientrano nella successione ereditaria, perché si tratta di elementi fissati in modo preciso dalla legge. Si può quindi affermare che tutto ciò che non è espressamente escluso dal patrimonio ereditario vi rientra.
Sono esclusi dall’eredità:
I crediti percepiti dal defunto in maniera strettamente personale, come assegni di mantenimento o alimentari;
le pensioni di invalidità.
Esiste, poi, una serie ben più ampia di crediti che non entra nel patrimonio ereditario ma che comunque deve essere liquidata. In altre parole, alcuni diritti di credito riferiti ai rapporti del defunto prescindono completamente dall’eredità e possono essere riscossi dai beneficiari anche qualora rinuncianti, e in ogni caso in maniera del tutto indipendente dalla quota ereditaria. Si tratta di:
Per questo genere di crediti la legge attribuisce meccanismi specifici per individuare i beneficiari che sono del tutto indipendenti rispetto al patrimonio ereditario. I beneficiari molto spesso coincidono con gli eredi perché si fa riferimento ai familiari più stretti, ma non si tratta in alcun modo di un nesso causale.
Per quanto riguarda le polizze vita o previdenziali e i fondi pensione, poi, l’estraneità all’eredità deriva dalla possibilità di indicare beneficiari diversi dagli eredi; seppur, in questo caso, il lascito non possa comunque violare le quote di legittima.
Quali debiti rientrano nell’eredità e quali no
Così come accade per i beni, anche fra i debiti vi sono alcune eccezioni che vengono escluse dal patrimonio ereditario. In particolare, non ricadono sugli eredi:
Mantenimento dovuto dal defunto verso l’ex coniuge o i figli;
debiti correlati a sanzioni amministrative, penali o multe stradali;
sanzioni fiscali (il debito passa agli eredi, ma le sanzioni aggiuntive per il mancato pagamento no);
i debiti derivanti da obbligazioni naturali (come scommesse di gioco).
Il Superbonus è un’occasione ghiotta o una trappola? Vediamo di capire veramente se dopo le ultime modifiche conviene.
I bonus edilizi sono stati rimaneggiati troppe volte negli ultimi mesi. Il Governo Draghi aveva sostenuto che i bonus casa erano troppo costosi per lo Stato e che erano emerse troppe truffe. Il Governo Meloni è andato nella stessa direzione e sono nati interventi legislativi che hanno reso questi bonus sempre più difficoltosi da ottenere. Alcuni esperti del settore sostengono che questi bonus ormai siano un vero e proprio caos e quindi non sorprende che le famiglie si chiedano se al giorno d’oggi convenga fare i lavori sfruttando il Superbonus.
Il Superbonus 110% sta sparendo e viene sostituito da una misura analoga che però consente una detrazione del 90 per cento. Quello che rende più sconveniente il nuovo bonus è il fatto che vengono meno cessione del credito e sconto in fattura. Se la famiglia oggi vuole sfruttare il Superbonus deve sapere prima che la detrazione sarà solo al 90% e che potrà goderne soltanto come sconto fiscale.
Troppe cose cono cambiate ma per alcuni è ancora conveniente
Vediamo allora se utilizzare questo bonus conviene o no. La situazione più conveniente è quella di chi abbia già richiesto il Superbonus e abbia presentato la Cilas entro il 16 febbraio. In questo caso si potrà beneficiare dello sconto in fattura. Per le case popolari, le ONLUS, le cooperative e per gli immobili che si trovano in zone colpite da sisma o inondazioni, lo sconto in fattura per il superbonus è stato addirittura confermato fino al 2025.
Anche chi ha iniziato i lavori durante il 2022 e non ha ancora sfruttato la cessione del credito si trova in una condizione non troppo lontana quella del vecchio e più conveniente Superbonus. La scadenza utile per l’invio della comunicazione all’Agenzia delle Entrate non è più al 31 marzo ma è stata prorogata al 30 novembre. Ma iniziare i lavori con il superbonus adesso conviene oppure no?
Avrà un valore sempre più basso e conviene di più a chi ha redditi più elevati
Attualmente imbarcarsi in questa impresa può convenire soltanto per cercare di proteggersi dalla stangata relativa alla Direttiva Case Green. Oggi il superbonus è meno conveniente ma se i lavori non si finiranno entro il 2023 si potrà rientrare in quello dell’anno prossimo che sarà ulteriormente abbassato al 70%.
Visti i rischi connessi con la richiesta del superbonus, oggi questa misura sembra appannaggio delle famiglie che abbiano i redditi più alti perché l’unica via a disposizione è quella dello sconto fiscale. Le altre famiglie rischierebbero di non ricevere l’aiuto sperato. In linea di principio secondo gli esperti bisogna riflettere bene prima di chiedere il superbonus ma il fatto è che con i lavori imposti dalla Direttiva Case Green rischiare oggi può consentire di avere un risparmio rispetto ad un maggior costo obbligatorio domani.
Nel mondo religioso, oltre a Papa Bergoglio hanno perso la spunta blu anche il patriarca di Mosca Kirill e il leader supremo iraniano Khamenei. Ha mantenuto il segno distintivo il Dalai Lama.
L'appello della Santa Sede
"In attesa di conoscere le nuove policy della piattaforma, la Santa Sede confida che esse comprendano la certificazione dell'autenticità degli account", ha commentato il Vaticano. "Allo stato attuale gli account @Pontifex certificati con le vecchie regole hanno più di 53 milioni di follower".
"Fuori" Trump e Beyoncé
Anche l'ex presidente Donald Trump, riammesso sul social dell'uccellino proprio da Elon Musk, non ha più un account verificato, e hanno perso la spunta anche altri personaggi di primo piano come Beyoncé, Bill Gates e Kim Kardashian. Ha ancora la spunta blu, invece, la figlia di Donald Trump, Ivanka.
Da Biden alla Harris: tutto il governo americano rimane senza spunta
Oltre al Papa è scomparsa la spunta blu dal profilo del presidente Joe Biden, della first lady Jill, anche della vicepresidente Kamala Harris. Le etichette sono state rimosse anche dai media e dai giornalisti affiliati alla Russia e alla Cina, incluso l'account ufficiale del presidente della Russia, che è rimasto inutilizzato dall'invasione dell'Ucraina, lo scorso anno. Sono state rimosse anche le etichette controverse aggiunte agli account dei media statunitensi che ricevono piccoli contributi dallo Stato e che erano state etichettate come "affiliate".
Chi conserva la spunta blu?
Tuttavia Musk ha fatto sapere che al momento conserverà la spunta blu sui profili di alcuni personaggi famosi. Tra questi figurano la stella del basket LeBron James, che ha confermato di non aver pagato nulla, e lo scrittore Stephen King. Quest'ultim, oltre a non aver versato nessuna somma, ha affermato di non aver neanche fornito il suo numero di cellulare, come invece richiesto da Twitter nel testo informativo delle spunte. Musk in persona ha poi annunciato che la spunta blu è stata mantenuta anche per William Shatner, il celebre attore di Star Trek.
La spunta a pagamento
Dalla sua creazione nel 2009, la spunta blu è diventata un elemento distintivo che ha aiutato la piattaforma a diventare un forum affidabile per i giornalisti e gli attivisti. Ma il nuovo proprietario del social media ha spiegato che il nuovo metodo con la spunta blu a pagamento aiuterà a smascherare i profili falsi. "Si possono facilmente creare 10.000 o 100.000 account Twitter falsi utilizzando un solo computer da casa e l'intelligenza artificiale - ha spiegato - Questo è il motivo per cui bisogna stringere le maglie della certificazione e fare in modo che per ottenere la spunta blu servano un numero telefonico verificato e una carta di credito. La mia previsione è che qualsiasi cosiddetto social network che non lo faccia fallirà".