Da chi è rimasto improvvisamente escluso dopo lo stop alla cessione del credito ai proprietari delle abitazioni unifamiliari, dai forfettari (che non hanno le detrazioni Irpef) a tutti gli incapienti (quelli cioè che hanno un’imposta netta pari a zero dopo le detrazioni oppure ce l’hanno ma non sufficiente a coprire l’intera rata del rimborso annuo del bonus). Sono circa 7 milioni gli italiani, secondo il calcolo fatto dal Sole 24 Ore, rimasti con il cerino in mano dopo gli effetti diretti o indiretti del decreto legge 11/2023, in vigore dal 17 febbraio che ha posto fine alla cessione del credito e allo sconto in fattura, mentre i crediti incagliati ammontano a circa 19 miliardi di euro, già maturati. Questi, se non pagati, metteranno a rischio 115 mila cantieri di ristrutturazione di case già avviati, oltre 32 mila imprese e 170 mila lavoratori, che raddoppiano se si considera l’indotto, arrivando, secondo l’Associazione nazionale costruttori edili, a toccare quota 340 mila. L’Ance all’audizione in commissione Finanza alla Camera, impegnata nell’esame del decreto legge «Misure urgenti in materia di cessione dei crediti», ha espresso «forte preoccupazione per la situazione esplosiva, venutasi a creare dopo l’approvazione del decreto legge sulla cessione dei crediti, perché non risolve in nessun modo il problema dei crediti incagliati legati ai bonus edilizi». Secondo le stime dell’Associazione, «l’effetto complessivo del decreto porterà il Paese in recessione, andando oltre l’annullamento della lieve crescita prevista nelle ultime stime del governo (+0,8%)».
Il collocamento, affidato a Exane Bnp Paribas, avviene ad un prezzo compreso tra 2,33 e 2,47 euro, con uno sconto del 10-15% sul prezzo di chiusura di oggi del titolo. La vendita dovrebbe fruttare fino a 240 milioni di euro circa. Axa è il secondo azionista della banca senese dopo il ministero del Tesoro, titolare del 64% del capitale
Il gruppo assicurativo francese Axa ha messo in vendita la quota dell’8% che possiede in banca Monte dei Paschi di Siena. Il collocamento, affidato a Exane Bnp Paribas, avviene ad un prezzo compreso tra 2,33 e 2,47 euro, con uno sconto del 10-15% sul prezzo di chiusura di oggi del titolo. La vendita dovrebbe fruttare fino a 240 milioni di euro circa. Axa è il secondo azionista della banca senese dopo il ministero del Tesoro, titolare del 64% del capitale. La vendita della quota “non impatta in alcun modo la partnership di Axa con la banca o l’impegno di Axa sul mercato italiano”, precisa la compagnia francese.
“Come partner di lunga data nella joint-venture” nella bancassicurazione “Axa ha sostenuto la banca partecipando ai suoi più recenti aumenti di capitale come investimento finanziario“. “In quanto Axa non intende cercare una rappresentanza nel cda della banca nella prossima assemblea degli azionisti, o influenzare la strategia di lungo termine della banca, Axa ritiene che sia tempo di vendere la sua partecipazione acquistata con l’aumento di capitale”. Al termine della vendita delle azioni Axa manterrà in Mps una partecipazione dello 0,0007% del capitale.
Tra il 2012 e il 2022 sono sparite, complessivamente, oltre 99mila attività di commercio al dettaglio e 16mila imprese di commercio ambulante mentre sono in crescita alberghi, bar e ristoranti (+10.275). Nello stesso periodo aumenta la presenza straniera nel commercio, sia come numero di imprese (+44mila), sia come occupati (+107mila) e si riducono le attività e gli occupati italiani (rispettivamente -138mila e -148mila). E' quanto emerge da uno studio di Confcommercio sulla demografia di impresa nelle città italiane dal 2012.
Cambia anche il tessuto commerciale all'interno dei centri storici "con sempre meno negozi di beni tradizionali" (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e "sempre più servizi e tecnologia" (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%), attività di alloggio (+43,3%) e ristorazione (+4%).
"La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confina con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti (un calo di quasi il 20%)", sottolinea Confcommercio nella sua analisi, concentrata su 120 città medio-grandi. "
Per evitare gli effetti più gravi" di questo fenomeno, per il "commercio di prossimità non c'è altra strada che puntare su efficienza e produttività anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell'offerta", sottolinea Confcommercio. "Rimane fondamentale l'omnicanalità, cioè l'utilizzo anche del canale online che ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, con le vendite passate da 16,6 miliardi nel 2015 a 48,1 miliardi nel 2022", aggiunge la confederazione. Elemento, questo, che ha contribuito "maggiormente alla desertificazione commerciale" ma che rimane comunque "un'opportunità" per il commercio "fisico" tradizionale, fa notare Confcommercio. Tutte le attività considerate oggi "ammontano a poco meno di 884mila unità" che è la somma di dettaglio in sede fissa, ambulanti e alberghi e pubblici esercizi più le altre attività di commercio al di fuori dai negozi, conclude l'associazione dei commercianti.
In tempi non sospetti, nel 2021, avevo scritto varie volte su vari problemi legati ai bonus immobiliari. La copertura completa delle spese – qualunque esse fossero – stava generando un’irresponsabilità collettiva che ha fatto lievitare il costo di ogni singolo intervento fra due e nove volte i costi di prima o di quelli di altri Paesi europei. Tanto pagava lo Stato, quasi che lo Stato non fossimo tutti noi. La concentrazione delle autorizzazioni sugli edifici più costosi lasciava intuire chi fossero i principali beneficiari del debito che si stava creando: i più ricchi. E l’esplosione delle autorizzazioni soprattutto in Calabria (più 1.000 per cento rispetto al precedente «Ecobonus» al 60%), in Campania e in Sicilia (più 600 per cento) sollevava sospetti sulla natura di certe organizzazioni accomodatesi a questo banchetto.
Gli effetti sul deficit
Giancarlo Giorgetti, oggi ministro dell’Economia, manifestò la sua insofferenza per il sistema dei bonus-casa in un’intervista di più di un anno fa (clicca qui per leggerla). Se però il governo ha agito solo adesso a bloccare l’uso dei crediti d’imposta come fossero moneta con cui si può pagare e che si può trasferire ad altri, è perché adesso c’è una novità. Eurostat, l’agenzia statistica europea, ha messo l’Italia di fronte a una scelta: iscrivere i 120 miliardi di euro di crediti d’imposta già generati nei deficit di questo e dei prossimi quattro o cinque anni; oppure iscriverli a deficit negli anni scorsi durante in quali i crediti d’imposta furono generati (fra il 2020 e il 2022).
La sola cosa impossibile era continuare a far sparire quei costi dai saldi annuali della finanza pubblica.
Il governo ha dunque scelto: gli oneri vanno messi nei conti degli anni in cui i crediti d’imposta cedibili sono stati decisi, fra il 2020 e l’inizio del 2023. Si rivedranno dunque drasticamente al rialzo i disavanzi dal 2020 al 2023 e scopriremo degli anni con deficit vicini o sopra al 10% del prodotto interno lordo, livelli da tarda prima Repubblica.
Un costo astronomico
È una scelta logica, quella del governo, perché mette i costi là dove i bonus sono stati generati. Ma Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti l’hanno fatta anche per un’altra ragione: il costo dell’operazione-trasparenza è così astronomico che l’esecutivo sarebbe finito nella gabbia di una procedura per deficit eccessivo a Bruxelles per tutta la legislatura, se avesse scelto di spalmare l’impatto contabile dei bonus sugli anni a venire. Ho cercato si spiegare i dettagli in un articolo, per chi volesse approfondire questi aspetti.
Circa 35 miliardi di crediti nel limbo
Purtroppo però le conseguenze economiche del superbonus non finiscono qui, anzi non fanno che iniziare. E non solo per la massa di crediti d’imposta generati, riconosciuti o solo sperati, ma che oggi non sono più utilizzabili per pagare un’impresa edile, né più cedibili da un’impresa a una banca in cambio di contante. Questi sono i cosiddetti crediti «incagliati». L’Associazione nazionale dei costruttori (Ance) stima questa massa in 15 miliardi di euro, ma è probabile che altri venti miliardi circa di «incagli» siano oggi rimasti in mano ai proprietari di immobili: per un totale di circa 35 miliardi di crediti d’imposta oggi sospesi nel limbo.
Le banche non sanno più come usare i crediti
Come faccio a dirlo? Perché ho letto la relazione finale (di ottobre scorso) della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche della scorsa legislatura. La commissione aveva poteri di magistratura inquirente, dunque è riuscita a ottenere dalle banche italiane le informazioni necessarie a capire il fenomeno. Eccole. Primo punto: a ottobre scorso le banche si erano già impegnate ad assorbire crediti d’imposta da bonus immobiliari per 77 miliardi di euro. Secondo punto: le banche stimano che pagheranno nei prossimi cinque anni imposte dirette per poco più di 16 miliardi all’anno e per 81 miliardi in tutto. In sostanza, da mesi gli istituti italiani non sono più in grado di accettare crediti d’imposta immobiliari in cambio di contante, perché sanno che non hanno più modo di usarli per ridurre le loro tasse future.
Venti miliardi di crediti in mano alle famiglie
Ma poiché i crediti d’imposta già riconosciuti valgono 120 miliardi (come spiega molto bene il collega Enrico Marro in questo articolo sul Corriere) e poiché le banche non intendono assorbirne per più di 80, ecco che restano 40 miliardi di bonus incagliati da qualche parte. Solo 15 sono in mano alle imprese edili. Ma una ventina di miliardi deve essere in mano alle famiglie, anche se si ipotizza che Poste italiane se abbia assorbito qualcosa.
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Riattivare la cedibilità è un problema
Ma tenetevi forte, perché c’è ancora di peggio fra le conseguenze di questa scelleratissima misura. Non è semplice infatti risolvere il problema semplicemente riattivando la cedibilità dei crediti o allargando il campo delle imposte da cui detrarli: costerebbe troppo allo Stato. Cerco di spiegare perché rievocando poche parole pronunciate il 6 giugno 2019 da Mario Draghi, quando era ancora presidente della Banca centrale europea. Gli fu chiesto cosa pensasse dei «mini-Bot» proposti allora dalla Lega, quale mezzo di pagamento alternativo all’euro da far circolare in Italia (ricordate?). Draghi disse: «I mini-Bot o sono valuta, e quindi sono illegali, o sono debito, quindi lo stock del debito sale. Non credo ci sia una terza possibilità».
I crediti incagliati aumentano il debito
Ora, i crediti d’imposta dei bonus-casa non hanno mai avuto la stessa finalità politica dei «mini-Bot». Non sono stati inventati per preparare l’uscita dell’Italia dall’euro. Ma dal punto di vista concettuale non sono diversi da quei «mini-Bot» che fecero infuriare Draghi: sono debito emesso dallo Stato (sotto forma di minori entrate future) utilizzabile come mezzo di pagamento, cioè come moneta parallela all’euro. Dunque quei bonus devono essere dichiarati illegali dalla Bce, oppure vanno ad aumentare lo stock del debito pubblico dell’Italia e non solo il deficit annuale degli scorsi esercizi di bilancio. Già, ma quando andranno a aumentare il debito? E soprattutto: abbiamo già stimato nel debito pubblico dei prossimi anni l’impatto di quella ventina di miliardi all’anno di tasse in meno che le banche, le imprese edili e le famiglie pagheranno, usando i crediti d’imposta? Quei numeri enormi sono già nel debito previsto e spiegato a Bruxelles o ai mercati finanziari?
Il debito pubblico faticherà a scendere
Difficile dirlo. Le previsioni di gettito nell’ultima «Nota di aggiornamento» del governo indicano un calo delle imposte dirette di una decina di miliardi su quest’anno rispetto al 2022, dunque qualcosa dell’effetto-bonus dev’essere stimato. Ma sul 2024 e il 2025 il gettito sale di 5,5 e poi di altri 11,5 miliardi all’anno. Com’è possibile? Eppure sappiamo che banche, imprese e famiglie pagheranno decine di miliardi in meno in tasse, appunto perché useranno quei crediti d’imposta da bonus. Insomma, qualcosa mi dice che non tutti i costi di quelle misure siano già stati stimati e resi visibili nei nostri conti pubblici futuri. Presto dunque potremmo accorgerci che forse il nostro enorme debito pubblico faticherà molto a scendere nei prossimi anni, malgrado le promesse ripetute e sempre disattese di riportarlo a livelli più accettabili. E l’anomalia italiana in Europa resterà.
Le conseguenze per il Pil
Purtroppo però c’è un ulteriore tema da osservare con cura: le conseguenze immediate per il prodotto interno lordo (Pil) dell’aver interrotto la fornitura di questa costosissima droga all’economia. Come la paglia ravviva il fuoco, così i bonus-casa hanno senz’altro dato una spinta alla crescita negli anni scorsi. Nel 2021 il fatturato del settore costruzioni è cresciuto di 14 miliardi rispetto all’anno prima, secondo l’Istat, fino a valere circa il 5% del Pil; anche il fatturato dei servizi professionali (inclusi geometri e architetti) è cresciuto di 10 miliardi. Se immaginiamo che lo stop al modello-superbonus riduca questi settori anche solo del 10% rispetto al 2022, ce ne sarebbe abbastanza perché la crescita italiana nel 2023 restasse inchiodata a zero. Non di più. La mia non è una previsione, ma questo è un rischio innegabile: uno di più da mettere in conto al più incredibile errore collettivo di politica economica degli ultimi decenni.
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Dopo aver reso noto l'utile di 16,8 miliardi di euro del 2022, Stellantis ha presentato i salari dei dirigenti dell'azienda. 31,1 milioni di euro è la cifra andata all'intero CdA con il CEO Carlos Tavares che è stato quello che ha ricevuto di più con 23,4 milioni di euro. Subito dopo di lui John Elkann, mentre Andrea Agnelli tra gli alti dirigenti è molto più distaccato.
Gli stipendi di Elkann e Agnelli
La cifra ricevuta da Elkann nel 2022 si aggira intorno i 5,8 milioni di euro, in calo rispetto ai 7,8 dell'anno precedente. Se il presidente di Stellantis ed Exor è tra i più ricompensati, Andrea Agnelli ha ricevuto "solo" 223mila euro. L'ex presidente della Juventus ora si è anche dimesso dal CdA di Stellantis ed Exor in seguito al processo sul caso plusvalenze che ha coinvolto il club bianconero.
Stellantis, società che fa riferimento ad Exor, la holding della quale è a capo John Elkann, ha reso noti gli stipendi relativi al 2022: a guadagnare di più è stato l'ad della società, Carlos Tavers, che, lo scorso anno, si è portato a casa 23,4 milioni di euro. Segue, appunto, John Elkann, che ha incassato 5,8 milioni di euro, mentre Andrea Agnelli, ex presidente della Juventus, ha portato a casa "solo" 223 mila euro complessivi. Agnelli ha poi dato le dimissioni dal CdA di Stellantis per le note vicende extra calcio riguardanti il club bianconero.
Se c'è un segmento di mercato su cui Dacia sta riuscendo a fare la voce grossa è quello dei suv. Merito del Duster che ha avuto il potere di democratizzare questa tipologia di auto ovvero renderla accessibile a tutti e allo stesso tempo anche desiderabile per via del prezzo contenuto e della qualità apprezzabile. C'è quindi molta curiosità intorno alle prossime mosse del marchio di origine rumena:
Dacia Bigster
Dacia Fastback
Dacia Bigster
Dacia sta pianificando l'introduzione di un nuovo suv di segmento C denominato Bigster, che permetterà al produttore di ampliare la sua gamma e di affermarsi in un segmento di mercato. Con una lunghezza di 4,60 metri, 12 centimetri in più rispetto ad una Renault Kadjar e 25 centimetri in più rispetto a un Duster, permetterà a Dacia di competere nel segmento dei compatti.
Questa volta l'attenzione è anche al comfort degli occupanti, grazie alla presenza di sette posti e all'utilizzo di tecnologie di ibridazione. La concept car Dacia Bigster, presentata durante la strategia di elettrificazione del gruppo Renault è stata l'anteprima del modello di produzione previsto per il 2024 che includerà alcuni elementi del design distintivo della concept.
La struttura robusta del suv, caratterizzata da parafanghi larghi e un cofano scolpito, è pensata per mostrare un aspetto massiccio e imponente. La griglia del radiatore ospiterà il nuovo logo del marchio, a simboleggiare l'evoluzione del brand.
Al momento non sono state fornite informazioni ufficiali sui dettagli tecnici del veicolo, ma non è da escludere che il suv possa essere equipaggiato con un motore 1.2 TCe abbinato a un sistema di ibridazione E-Tech. La dotazione di serie della Dacia Bigster dovrebbe includere una serie di accessori elettronici come i vetri anteriori elettrici, l'aria condizionata manuale, il cruise control, la radio e gli specchietti regolabili elettricamente.
Il prezzo di partenza della Bigster potrebbe essere attorno ai 25.000 euro, leggermente inferiore alla media del costo dei veicoli di segmento C presenti sul mercato. Il lancio del suv rappresenterà una svolta per il gruppo in quanto Dacia punta a offrire un prodotto di qualità superiore scommettendo su innovazione tecnologica e design distintivo.
Dacia Fastback
Dacia Fastback è il nome di un rendering creato dal sito Auto-Moto he immagina l'aspetto di un potenziale nuovo suv Dacia. L'ipotetica Dacia Fastback è stata immaginata con tecnologie di elettrificazione, come il sistema di ibridazione da 145 CV impiegato su modelli come Clio, Captur, Megane e Arkana.
Il marchio Dacia continua a godere di un successo in costante crescita anno dopo anno, con Duster e Sandero, in particolare nella versione robusta Stepway, che rappresentano i modelli di punta. Ma i modelli meno popolari come Lodgy o Dokker, fanno più fatica ad attirare clienti. Da qui l'intenzione di scommettere con maggiore decisione su suv.
Per ampliare la propria gamma di veicoli, Dacia punta quindi a sviluppare nuovi modelli che si andrebbero ad affiancare alla Spring, il primo modello 100% elettrico, e introdurre altre carrozzerie come un suv familiare. Dacia è dunque chiamata a rivedere la propria strategia per far fronte alla concorrenza e migliorare le vendite dei modelli meno popolari, possibilmente adottando tecnologie avanzate di propulsione e offrendo dotazioni di serie più complete.
Il Tesoro ha collocato tutti i Btp a 5 e 10 anni e i Ccteu con scadenza 2028 messi in asta per complessivi 8,5 miliardi con rendimenti in salita.
In dettaglio, sono stati collocati 2,5 miliardi di Btp a 5 anni con un rapporto di copertura dell' 1,55% ed un rendimento al 3,84% dal precedente 3,70% e 3,5 miliardi di Btp a 10 anni con un rapporto di copertura dell'1,34 ed un rendimento al 4,34% dal 4,28% della precedente asta. Per i 3,5 miliardi di Ccteu assegnati con un rapporto di copertura dell' 1,36 il rendimento è stato del 2,97%.
(Teleborsa) - Giornata negativa per Piazza Affari, che chiude le contrattazioni in ribasso, assieme agli altri Eurolistini. Wall Street, intanto, prosegue gli scambi in rosso, con l'S&P-500 che arretra dell'1,16%.
Lieve calo dell'Euro / Dollaro USA, che scende a quota 1,055. Prevale la cautela sull'oro, che continua la seduta con un leggero calo dello 0,66%. Il Petrolio (Light Sweet Crude Oil) mostra un guadagno frazionale dell'1,10%.
Sui livelli della vigilia lo spread, che si mantiene a +183 punti base, con il rendimento del BTP decennale che si posiziona al 4,33%.
Tra i mercati del Vecchio Continente lettera su Francoforte, che registra un importante calo dell'1,72%, tentenna Londra, che cede lo 0,37%, e scende Parigi, con un ribasso dell'1,78%.
Sessione negativa per Piazza Affari, con il FTSE MIB che lascia sul parterre l'1,07%; sulla stessa linea, chiude in retromarcia il FTSE Italia All-Share, che scivola a 29.226 punti.
Al termine della seduta della Borsa di Milano, risulta che il controvalore degli scambi nella seduta odierna è stato pari a 3,33 miliardi di euro, in rialzo del 10,63% rispetto ai precedenti 3,01 miliardi; mentre i volumi scambiati sono passati da 0,71 miliardi di azioni della seduta precedente agli odierni 0,65 miliardi.
Tra i 439 titoli trattati, 167 hanno chiuso in ribasso, mentre 118 azioni hanno chiuso la sessione odierna in progresso. Stabili i restanti 154 titoli.
Tra le migliori Blue Chip di Piazza Affari, ben impostata Saipem, che mostra un incremento dell'1,95%.
Tonica ERG che evidenzia un bel vantaggio dell'1,71%.
Piccolo passo in avanti per Telecom Italia, che mostra un progresso dell'1,36%.
I più forti ribassi, invece, si sono verificati su Pirelli, che ha archiviato la seduta a -3,76%.
La stretta monetaria della Banca centrale europea spinge al rialzo il rendimento dei titoli di Stato a breve scadenza. Ieri il rendimento dei Bot a 6 mesi è salito al 3,05%, ai massimi dal dicembre 2011, mentre quello dei Bot con scadenza a 12 mesi ha segnato + 3,24%, un livello che non si registrava dal giugno 2012.
È tutta colpa del rialzo dei tassi di interesse della Bce, portati al 3% in modo più veloce del previsto per frenare la corsa dell’inflazione, che a gennaio è scesa all’8,6% in media nella zona euro — un po’ meno di quanto indicato dalla prima lettura dei dati — dal 9,2% di dicembre (un anno fa l’indice dei prezzi al consumo segnava il 5,1%).
Se il Tesoro italiano è costretto a pagare interessi più alti quando emette nuovi titoli del debito pubblico (ieri ha collocato Bot per 5 miliardi, anche la Bce è costretta a fare i conti con il rialzo dei tassi. L’istituto guidato da Christine Lagarde ha chiuso il 2022 con utili azzerati per la prima volta nella sua storia, dopo il crollo a 192 milioni nel 2021, a causa di 1,6 miliardi di accantonamenti a copertura di rischi finanziari. Perciò non ci sarà nessuna distribuzione di dividendi alle banche centrali dell’area euro, che dalla creazione della Bce, nel 2008, hanno ricevuto 5,8 miliardi totali. E le banche centrali di Belgio e Olanda hanno già anticipato ai rispettivi governi perdite significative.
Ho presentato la CILA il 10 dicembre 2022 per fare alcuni lavori di ristrutturazione sulla mia casa. Sulle spese sostenute avrò il bonus ristrutturazione 50%. Ad oggi, 22 febbraio 2023, tuttavia, i lavori non sono ancora iniziati. La ditta inizierà il 1° marzo. Sono a chiedere se per tali spese potrò optare per la cessione del credito oppure rientro nello stop deciso dal governo?
Continuano ad arrivare in redazione quesiti da parte dei nostri lettori a seguito del decreto-legge n. 11 del 16 febbraio 2023. Un provvedimento con cui l’esecutivo ha deciso che dal 17 febbraio 2023, per i bonus edilizi, non si potrà fare più l’opzione per lo sconto in fattura o cessione del credito. Sono, tuttavia, previste alcune eccezioni.
Prima di rispondere nel dettaglio al lettore, dobbiamo evidenziare che la risposta che ci apprestiamo a dare si basa sul testo attuale del decreto. Un decreto che dovrà poi essere convertito in legge. Pertanto, in sede di conversione in legge, potrebbe cambiare qualcosa rispetto a quanto diciamo in questa sede.
Sconto in fattura o cessione del credito, per quali lavori c’è lo stop
Come già detto, con il decreto del 16 febbraio 2023, il governo ha deciso lo stop della possibilità di opzione per sconto in fattura o cessione del credito. Lo stop applica dal 17 febbraio 2023. In dettaglio, non si potrà più fare l’opzione per le spese sostenute a fronte di lavori edili per i quali il titolo abilitativo sia presentato dopo il 16 febbraio 2023.
Per i lavori in edilizia libera non si potrà fare più opzione per sconto o cessione per quei lavori iniziati dopo il 16 febbraio 2023.
Se poi trattasi di lavori condominiali, non si potrà fare l’opzione se la delibera assembleare di approvazione interventi risulta adottata con data successiva al 16 febbraio 2023.
I lavori per quali non vale lo stop
Pertanto, sulla base di quanto detto nel precedente paragrafo, significa che l’opzione per lo sconto in fattura o cessione del credito si potrà ancora fare per alcuni lavori.
Se trattasi di interventi edilizi soggetti a titolo abilitativo (CILA, CILAS, permesso a costruire, ecc.) lo sconto o la cessione sono ancora ammessi se il titolo abilitativo è presentato prima del 17 febbraio 2023.
In caso di edilizia libera, le due opzioni sono ancora ammesse se i lavori risultano iniziati prima del 17 febbraio 2023.
Laddove si tratta di lavori su edificio condominiale, si può optare per sconto o cessione purché la delibera dei lavori risulti con data antecedente il 17 febbraio 2023. Ovviamente in tal caso occorre anche che sia rispettato il requisito della data del titolo abilitativo o di inizio lavori (se in edilizia libera).
Cessione del credito, lavori soggetti a CILA
Venendo al quesito del nostro lettore, questi dice di aver presentato la CILA (titolo abilitativo per i lavori) in data 10 dicembre 2022. Quindi, prima del 17 febbraio 2023. Dice però anche che il lavori, ad oggi 22 febbraio 2023, non sono ancora iniziati.
A nostro parere, il lettore potrà optare per la cessione del credito in quanto il decreto – legge n. 11 del 16 febbraio 2023, per i lavori soggetti a titolo abilitativo fa riferimento solo alla data di presentazione di tale titolo e non anche alla data di inizio lavori. Cose diversa, invece, per i lavori in edilizia libera per i quali l’opzione di cessione del credito è ancora ammessa purché i lavori siano iniziati prima del 17 febbraio 2023.
D’altronde quando si presenta la CILA, secondo la normativa edilizia, si hanno poi 1 anno di tempo per iniziare i lavori e 3 anni per terminarli.
(Il Sole 24 Ore Radioror) Le Borse europee hanno iniziato con il piede giusto e così dopo due sedute di ribassi, provano a rimettersi in carreggiata, nonostante la frenata registrata da Wall Street e provocata dalla linea dura confermata dalla Federal Reserve. La Banca centrale americana, come emerso dai verbali dell'ultima riunione, ha infatti preannunciato che «ci vorrà un po' di tempo» prima che l'inflazione torni al target del 2%, il che significa che ci saranno altri rialzi dei tassi, anche se questo porterà a una "plausibile" recessione nel 2023. Indicazioni sulla tenuta dell'economia americana arriveranno oggi con i dati sul Pil del quarto trimestre (seconda lettura) e i numeri sulle richieste di sussidi di disoccupazione, mentre in Europa sono attesi i dati sull'inflazione del mese di gennaio. Intanto restano vive le tensioni geopolitiche, alla vigilia del primo anniversario dell'inizio della guerra in Ucraina.
A Milano premiata Pirelli dopo i conti, giù Eni
A Piazza Affari sono scattate le Pirelli & C, dopo i conti superiori agli obiettivi aziendali, soprattutto nei ricavi, nei flussi di cassa e nei debiti. Dopo il +2,2% della vigilia continua a correre anche Stellantis, all'indomani dei conti che la società ha definito "record". In coda invece Eni, dopo i risultati giudicati dagli analisti «deboli a livello operativo», pur se con una buona generazione di cassa. Tra le migliori anche Finecobanke Stmicroelectronics, sostenuta dall'outlook positivo dell'americana Nvidia sul primo trimestre. Da segnalare il calo a Parigi di Essilorluxottica(-4,1%) dopo i conti del 2022.
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Petrolio tenta di rialzare la testa, gas ancora sotto 50 euro
Sul fronte energetico, il petrolio prova a interrompere la serie negativa che dura da sei sedute, in attesa dei dati sulle scorte americane di greggio: i contratti aprile del Wti salgono dello 0,32% a 74,19 dollari al barile, quelli del Brent di pari scadenza dello 0,36% a 80,89 dollari. Il gas naturale scambiato ad Amsterdam cala del 2,4% a 49,35 euro al megawattora, tornando sotto la soglia dei 50 euro. Sul valutario, l'euro si indebolisce leggermente sul biglietto verde a 1,061 dollari (1,0644 ieri in chiusura) e vale 143,166 yen (da 143,24). Il cambio dollaro/yen è a 134,805. Infine l’oro si è stabilizzato a 1.825 dollari l’oncia.
NUMERI MOLTO POSITIVI - Stellantis nel 2022 ha registrato un utile netto pari a 16,8 miliardi di euro, corrispondente a un +26% sul 2021, con un margine del 13%. I ricavi netti sono risultati di 179,6 miliardi di euro, in crescita del 18% rispetto al 2021. Il flusso di cassa è di 10,8 miliardi di euro, in aumento del 78% e coerente con l’obiettivo 2030 di superare i 20 miliardi di euro. Grazie alle sinergie messe in atto, la liquidità disponibile è di 61,3 miliardi di euro.
LE EV VENDUTE - Liquidità che servirà per continuare l’attuazione del piano strategico Dare Forward 2030, che punta forte su elettrificazione, sviluppo software e servizi digitali. Ha cominciato a dare frutti la strategia sull’elettrico, con un aumento del 41% delle vendite globali, per un totale di 288.000 veicoli nel 2022. La gamma attuale propone 23 BEV, con l’obiettivo di raddoppiare il portafoglio di auto elettriche, arrivando, entro la fine del 2024, a 47 modelli, e a 75 entro il 2030.
I MARCHI AD ALTO MARGINE - Stellantis punta forte sui marchi ad alto margine come Jeep e Ram. La Jeep ha visto il debutto della suv compatta Avenger, il primo modello a batteria della casa, inoltre, il marchio ha presentato in anteprima le Jeep Recon e Wagoneer “S”, elettriche, destinate al mercato nordamericano. Il marchio Ram ha presentato la Ram 1500 REV, ossia il primo pick-up elettrico, che arriverà nel quarto trimestre del 2024.
EV DI SUCCESSO - Stellantis si è posizionata al primo posto nelle vendite di veicoli commerciali BEV nel mercato dei paesi membri dell’Unione Europea, e al secondo posto nell’UE30 per le vendite complessive di EV. Nello specifico, la Fiat Nuova 500 è risulta l’auto elettrica più venduta in Italia, mentre Peugeot e-208 ha dominato il mercato in Francia. Il Gruppo ha raggiunto il primo posto negli Stati Uniti per le vendite di ibridi plug-in (PHEV), grazie alle performance della Jeep Wrangler 4xe.
LE GIGAFACTORY - La strategia Dare Forward prevede la costruzione di cinque gigafactory, tre delle quali sorgeranno in Europa e due in Nord America, e che saranno costruite in collaborazione con Automotive Cells Company, Samsung SDI e LG Energy Solution. In questo contesto, l’integrazione verticale delle materie prime costituirà un elemento essenziale. Ecco perché sono stati sottoscritti accordi con Vulcan Energy, Controlled Thermal Resources, Alliance Nickel Limited (ex GME Resources Limited), Element 25 e Terrafame.
LO SVILUPPO SOFTWARE - Nello strategico settore del software Stellantis ha incrementato le proprie capacità grazie alle partnership con Amazon, Foxconn e Qualcomm. Sono stati assunti oltre 1.500 ingegneri software e i circa 700 laureati della Software and Data Academy. Il gruppo ha continuato lo sviluppo delle piattaforme software STLA Brain, STLA SmartCockpit ed STLA AutoDrive. I test su strada dei prototipi inizieranno nella seconda metà del 2023, mentre l’avvio della produzione tecnologica è previsto per la fine del 2024. Con l’acquisizione di aiMotive, Stellantis ha potenziato le sue conoscenze nel settore dell’intelligenza artificiale e la guida autonoma. Nella strategia di sviluppo del software il Gruppo ha come obiettivo quello di raggiungere i 20 miliardi di euro di ricavi netti e circa il 40% di margine lordo.
LE AREE GEOGRAFICHE - Per quanto concerne i vari mercati, tutte le regioni sono risultate in crescita e hanno registrano una maggiore redditività, con il Medio Oriente e Africa, Sud America, Cina, India e Asia Pacifico, che ha registrato un incrementato dei ricavi netti del 34% rispetto all’anno precedente.
Come succede sempre quando si ha che fare con normative complesse la comprensione è resa difficoltosa anche dal ricorso a un linguaggio specialistico, e nel caso del superbonus la questione è intricata perché si ricorre a espressioni usate nel lessico delle costruzioni edili, in quello del fisco e in quello delle banche. Termini correnti per gli addetti ai lavori ma non per chi nella vita fa tutt’altro. Abbiamo perciò pensato a un breve glossario dei termini più frequentemente usati.
L'offerta non vincolante di Kkr per la Netco di Tim è stata prorogata di quasi un mese. Tim informa di aver ricevuto una lettera da KKR con cui la stessa ha prorogato il termine di tale offerta al 24 marzo 2023.
Il Governo ha chiesto "di disporre di ulteriori quattro settimane per effettuare una analisi congiunta degli aspetti pubblicistici dell'operazione concernenti i poteri esercitabili dal Governo nel settore" sul tema della rete di Tim. Lo precisa Kkr nella lettera inviata al gruppo di tlc. Kkr ha "confermato la propria disponibilità a continuare un dialogo costruttivo con Tim e a procedere con le attività di due diligence" e Tim conferma che il Consiglio di Amministrazione si terrà comunque il 24 febbraio 2023 per discutere dell'offerta non vincolante di Kkr e assumere le decisioni del caso.
Da diverse settimane Tim è al centro dell’attenzione del mercato per le attese sul futuro della propria rete, con l’ormai data per l’inevitabile cessione di NetCo, la società che raggruppa gli asset infrastrutturali dell’ex monopolista delle tlc italiane. Un tema caldo che ha fatto rapidamente dimenticare i risultati preliminari del bilancio 2022 di Tim, diffusi la scorsa settimana e considerati dagli analisti in media migliori delle attese. Il mercato ora è concentrato sull’appuntamento col consiglio di amministrazione di Telecom Italia del 24 febbraio chiamato a valutare l'offerta di KKR sulla rete, in un contesto innervosito dal ritardo della controfferta di Cdp. Cosa accadrà quindi il 24 febbraio? Secondo alcuni analisti il cda potrebbe dare delucidazioni alla stessa KKR in merito all'offerta presentata, con un allungamento quindi del periodo di validità dell'offerta oltre il termine del 28 febbraio. Il tutto, con la consapevolezza della riluttanza passata di Vivendi, uno dei principali azionisti di Telecom Italia, a vendere la rete per meno di 30 miliardi di euro.
La soddisfazione dell’AD per i numeri del 2022 Per ora, gli unici dati certi sono i numeri contenuti nel bilancio 2022, freschi di pubblicazione insieme all'aggiornamento del piano industriale 2023-25. Numeri migliori delle attese che quindi sono stati accompagnati da commenti positivi dall’AD di Tim, Pietro Labriola: per la prima volta negli ultimi 11 anni “Tim ha fatto meglio di quanto comunicato al mercato”. In effetti, come sottolineato da alcuni analisti i conti del quarto trimestre 2022 sono stati superiori al consenso del 2,7% in termini di ricavi e dello 0,6% per quanto concerne l'Ebitda. “Certo, - ha ammesso lo stesso Labriola - ci sono analisti che hanno messo in evidenza alcuni aspetti critici, tra cui per esempio la generazione di cassa, ma resta la sensazione di un momento positivo per la società”. A proposito del business ordinario, l’AD di Tim ha sottolineato il positivo andamento di Tim Brasil, che oggi rappresenta il 50% dell'Ebitda meno capex e ha spiegato che in Italia dovrebbero aumentare i prezzi della telefonia fissa e di quella mobile, prevedendo per il 2023 un'indicizzazione delle tariffe correlata all'inflazione.
Agli osservatori più attenti non è invece sfuggito il fatto che non è stato dato alcun aggiornamento per quanto riguarda i dividendi per gli azionisti risparmio. Una decisione su questo argomento verrà presa a marzo, in occasione dell’approvazione del bilancio 2022, così come indicato dal CFO Adrian Calaza, mentre Labriola ha spiegato che vede difficile al momento un ritorno della cedola per le azioni ordinarie.
Le valutazioni degli analisti sui conti... Ma di fronte a questi numeri e all’aggiornamento del piano industriale, quali sono ora le valutazioni degli analisti? Dopo una reazione a caldo del titolo in Borsa in cui il mercato ha premiato i ricavi 2022 migliori delle attese, l’attenzione si è spostata, stando a quanto sottolineato da alcune case d’affari, “sulle indicazioni sull'equity free cash flow in orizzonte di piano, che invece non piacciono”.
Va però detto che Tim ha subito incassato un segnale positivo da Fitch. L'agenzia di rating, pur non ravvisando alcun impatto immediato sul merito di credito dell'azienda, ritiene che la migliorata visibilità sulla stabilizzazione del margine operativo lordo, cui contribuisce il miglioramento delle attività italiane, potrebbe portare ad alzare l'outlook sul rating BB- a stabile da negativo.
Sulle prospettive delle società post-annuncio conti si è espresso Javier Correonero, equity analyst di Morningstar, che ha così riassunto i risultati aziendali: “I ricavi da servizi di Telecom Italia sono aumentati a livello organico del 3,6% nel quarto trimestre, mentre l'Ebitda al netto delle locazioni è diminuito dell'1,3%, poiché la società continua a subire pressioni inflazionistiche. Nel 2023, il management prevede che il business italiano tornerà a crescere, con ricavi stabili e un Ebitda in crescita a una cifra bassa”. A proposito delle prospettive rilasciate dalla società, Correonero è apparso prudente: “Non siamo convinti di questa guidance, data la natura ipercompetitiva del mercato italiano e l'imprecisione del management nel rispettare la propria guidance, con diversi profit warning negli ultimi 18 mesi”. Quindi, qual è in sintesi il giudizio sul titolo secondo l’esperto di Morningstar? Una valutazione all’insegna della prudenza: “Ricordiamo agli investitori il nostro giudizio di very highMorningstar Uncertainty Rating per Telecom Italia”.
...e sulla rete Se l’analisi dei conti non ha scaldato l’entusiasmo degli analisti, diversa storia è quella che caratterizza le valutazioni sul tema della rete. Per gli esperti, in generale lo scenario rimane di supporto per Tim, visto proprio l'interesse che chiaramente emerge sugli asset del gruppo.
Secondo Websim “la nuova guidance dell’equity free cash flow, pur rappresentando un solido floor con potenziali elementi di upside, non è in grado da sola di assicurare un significativo deleverage al gruppo nel triennio. Di conseguenza, la riduzione del debito rimane strettamente legata a iniziative non organiche, ed in particolare alla potenziale vendita della NetCo. Il nostro target price di 0.42 euro è costruito su una valutazione floor per NetCo di 20 miliardi, inclusiva del 100% di FiberCop, Sparkle e della rete primaria”. Sul titolo il giudizio è “molto interessante”.
Da parte loro gli analisti di Equita Sim, che sul titolo confermano il prezzo obiettivo a 0,41 euro, valutano che "lo scenario" resta "di supporto per Tim, visto che le valutazioni" per NetCo riportate dalla stampa "appaiono coerenti con le nostre ipotesi e visto l'interesse che chiaramente emerge sugli asset del gruppo". Per gli esperti di Jefferies,il prezzo obiettivo su Tim è 0,39 euro. Positiva anche Banca Akros da cui è arrivata la conferma del target price di 0,4 euro su Tim, giudicando i dati del quarto trimestre di Tim Brasil forti e oltre le attese, supportati ancora una volta da un favorevole tasso di cambio a livello di gruppo.
Non solo nuovo obbligo di ristrutturazione casa per una maggiore efficienza energetica di case ed edifici e nuovo obbligo di sostituzione di tutte le caldaie a gas ma ora dall’Ue arrivano ulteriori novità relativamente alla necessità di inquinare meno. Si tratta dell’ennesimo nuovo obbligo di installazione di pannelli solari in case ed edifici. Vediamo nel dettaglio quali sono le nuove raccomandazioni dall’Ue sull’obbligo di installazione di pannelli solari in case ed edifici.
Nuova legge Ue pannelli solari obbligatori per case ed edifici
Nuovo obbligo pannelli solari in casa dopo legge su ristrutturazioni case e sostituzioni caldaie Ue
Nuova legge Ue pannelli solari obbligatori per case ed edifici
Per azzerare la dipendenza energetica dell’Unione europea nei confronti della Russia, l'Ue ha definito la strategia REPowerEU, che si basa sul risparmio energetico e che prevede, tra le altre misure, l'obbligo, in tempi brevi, di installazione di pannelli solari in case ed edifici.
L'intenzione dell'Ue è quella di rendere obbligatori i pannelli solari per tutti gli edifici pubblici e commerciali dal 2026 in poi, superata una specifica metratura, ed entro il 2030 obbligatori per tutti gli edifici residenziali.
L’obiettivo dell’Ue è raddoppiare la capacità fotovoltaica europea e installare 600 nuovi gigawatt entro il 2030, un progetto che sarà a tappe, come annunciato, per cui:
entro il 2026 dovranno avere i pannelli solari tutti i nuovi edifici commerciali e pubblici con area utile maggiore di 250 metri quadrati;
entro il 2027 l’obbligo sarà previsto anche per gli edifici già esistenti della stessa tipologia;
dal 2029 l’obbligo di installazione dei pannelli solari dovrà riguardare tutti i nuovi edifici residenziali.
Stando a quanto annunciato, in un anno, l’iniziativa dovrebbe generare circa 19 terawattora che aumenteranno a 58 entro il 2025. Inoltre, l’Ue ha anche presentato una raccomandazione per ridurre i tempi delle autorizzazioni per tutte le installazioni di nuovi impianti fotovoltaici, stabilendo che la maggior parte degli impianti dovrà ricevere il via libera entro un anno, contro la media attuale tra i 6 e i 9 anni.
Nuovo obbligo pannelli solari in casa dopo legge su ristrutturazioni case e sostituzioni caldaie Ue
Il nuovo obbligo di installazione dei pannelli solari in case ed edifici, a tappe, segue a distanza di poco i recenti nuovi obblighi avanzati dall’Ue sempre in tema di risparmio energetico, dal nuovo obbligo di ristrutturazione case per renderle più efficienti da un punto di vista energetico al nuovo obbligo di sostituzione di tutte le caldaie a gas.
Entrando più nel dettaglio, la nuova legge per la ristrutturazione obbligatoria delle case è stata proposta dall’Ue con l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti delle case italiane e garantire maggiore efficientamento energetico.
I passaggi previsti dalla nuova direttiva europea per la ristrutturazione delle case sono i seguenti:
entro il 2030 tutti gli edifici residenziali dovranno raggiungere almeno la classe energetica E;
entro il 2033 la classe energetica da raggiungere dovrà essere la D;
entro il 2040 si dovrà raggiungere un livello tale da garantire un parco immobiliare a zero emissioni entro il 2050.
Stando a quanto previsto dalla nuova legge europea, l’obbligo di ristrutturazione varrà per tutte le case e gli edifici di classe inferiore a E ed entro il 2023 tutti gli edifici e le case di classe energetica inferiore a E, cioè F e G, dovranno essere ristrutturati per migliorare la propria classe energetica e ridurre, quindi, le proprie emissioni inquinanti.
Saranno esonerati dal nuovo obbligo di ristrutturazione edilizia per le seguenti tipologie di immobili:
Passando al nuovo obbligo relativo alle caldaie, una nuova direttiva Ue prevede lo stop per le caldaie a gas, considerante inquinanti e il limite temporale individuato è il 2029 e da quell’anno le vecchie caldaie non saranno più presenti sul mercato.
Anche per la scomparsa delle caldaie a gas è previsto un percorso a teppe: il primo step potrebbe avvenire tra il 2025 e il 2026, quando non saranno più disponibili i relativi incentivi che saranno, invece, esclusivamente rivolti all’installazione di tecnologie alternative e alla sostituzione dei vecchi impianti, fino ad arrivare al 2029, data limite in cui smetterà del tutto la vendita sul mercato delle caldaie a gas.
GLI AUMENTI DEL 2022 - Per le famiglie, alle prese da mesi con l'inflazione record e il caro del carrello della spesa, il crollo del prezzo del gas rappresenta una boccata di ossigeno importante. A testimoniarlo i conti che ha fatto il sito Facile.it, che ha evidenziato come nel 2022 le famiglie italiane abbiano pagato in media 1434 euro per la bolletta elettrica, il 108% in più rispetto al 2021, e 1459 euro per il gas, un aumento del 57 per cento rispetto a 12 mesi prima
Mark Zuckerberg insegue Elon Musk. Così come avvenuto per Twitter, anche Meta lancerà per Facebook e Instagram un abbonamento a pagamento che permetterà agli utenti di “verificare” la loro identità.
Ad annunciarlo è stato lo stesso Zuckerberg, proprio tramite Facebook. L’abbonamento costerà 11,99 dollari al mese e permetterà di “autenticare il proprio account con un documento, avere una spunta blu” ma anche “avere protezione extra contro i furti di identità e accesso rapido all’assistenza”, ha fatto sapere il fondatore del social. L’abbonamento, chiamato Meta Verified, ha precisato Zuckerberg, sarà accessibile solo a chi ha più di 18 anni e debutterà questa settimana in Australia e Nuova Zelanda. Secondo l’ad della società, “questa nuova funzionalità riguarda l’aumento della veridicità e della sicurezza dei nostri servizi”. Per chi possiede un sistema iOS, in realtà, l’abbonamento costerà leggermente di più: 14,99 dollari al mese.
“Facebook è gratis e lo sarà sempre“, recitava la scritta sulla homepage di quello che è stato per molto tempo il social network principale al mondo. Una promessa che oggi, colpa anche le difficoltà economiche che l’azienda della Silicon Valley si è trovata ad affrontare nell’ultimo periodo, Zuckerberg non potrà più mantenere. A novembre avevano perso il posto 11mila impiegati, il 13% del totale: il più grande licenziamento della storia della compagnia.
Certo le premesse non sono delle migliori. Il lancio dell’iniziativa su Twitter non era andato benissimo: Musk aveva dovuto ritirare l’idea a causa di un’ondata di account falsi che avevano spaventato gli inserzionisti e messo in dubbio il futuro del sito, salvo poi rilanciarla a dicembre. E non erano mancate le polemiche, da Stephen King ad Alexandria Ocasio-Cortez. Adesso, sull’account Facebook di Zuckerberg, c’è chi scherza su questo: “Quando è troppo è troppo! Vado su Twitter, dove la spunta blu costa solo 8 dollari al mese”, ha commentato il popolare illustratore Rob DenBleyker.
(ANSA) - ROMA, 19 FEB - Le auto elettriche costano sensibilmente di più rispetto a quelle a benzina, e anche i costi di riparazione in caso di incidente sono più elevati. Per un "pieno", però, si spende meno della metà rispetto alla benzina, ma consente di percorrere meno km. I dati vengono forniti oggi dalle associazioni dei consumatori e da quelle dei carrozzieri, che fanno i conti dopo lo stop alle auto inquinanti disposto dall'Ue a partire dal 2035. Per acquistare una citycar alimentata a benzina la spesa media, secondo una indagine del Codacons, è compresa oggi tra 14.750 euro e i 16.800 euro; per una utilitaria si spendono dai 16.870 ai 27.300 euro. Per le stesse tipologie di auto, ma con alimentazione elettrica, la spesa si impenna dai 23mila agli oltre 30mila euro per le citycar, e tra 30mila e 37mila euro una utilitaria, fino ai 200mila euro di una vettura elettrica di lusso o un'auto sportiva. Assoutenti fa invece notare le differenze di costo sul fronte delle ricariche delle auto elettriche. "Un "pieno" di energia ad un'auto elettrica presso le colonnine installate sul territorio costa oggi in media tra i 19 e i 39 euro, a seconda della velocità di ricarica e del gestore scelto, e consente di percorrere tra i 240 e i 320 km. Un pieno di benzina da 50 litri costa oggi circa 93 euro ma consente di percorrere più del doppio di strada: tra i 650 e i 750 km". Infine Federcarrozzieri, l'associazione delle carrozzerie italiane, sottolinea come oggi riparare una vettura elettrica di nuova generazione possa costare "anche il 46% in più rispetto ad una auto a benzina" a causa dei maggiori costi per ricambi, manodopera, materiali di consumo (vernici e correlati), costi complementari. Prendendo ad esempio due autovetture della stessa marca (Volkswagen), una alimentata a benzina (Golf MY 2020) e una elettrica (ID.3) che hanno subito danni da impatto frontale, Federcarrozzieri rileva come nel primo caso la spesa per la riparazione ammonti a circa 5.298 euro. A parità di danno, per l'auto elettrica la spesa sale a 7.732 euro, per via di procedure di riparazione più lunghe e complesse e dei maggiori costi per pezzi di ricambio ed elettronica. (ANSA).
Le monete rare al giorno d’oggi sono sicuramente uno degli oggetti più ricercati da ognuno di noi. Da un momento all’altro potrebbero sicuramente cambiarci la vita e potrebbe essere un vero e proprio colpo di fortuna trovarne una in casa, magari in qualche vecchio portafogli o vecchio cassetto. Andiamo a scoprire all’interno di questo articolo quali sono quelle che possono valere più di tutte e soprattutto il motivo del loro valore.
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Il mondo della numismatica non smette mai di stupirci e quotidianamente vi stiamo proponendo delle importanti informazioni su come guadagnare tramite le monete rare. Bisogna avere certamente una buona dose di fortuna ad avere uno di questi pezzi tra le mani ma nel caso in cui dovesse accadere potrebbe realmente stravolgere l’economia della nostra vita.
Negli anni sono state emesse tante monete che hanno iniziato ad aumentare il proprio valore a causa di diversi fattori. L’utilità di una moneta non è l’unico obiettivo al momento dell’emissione: non si deve sottovalutare infatti il fatto che si voglia omaggiare qualche personaggio storico o qualche evento che ha segnato i nostri giorni. Ne è un esempio concreto la moneta da due euro di Grace Kelly che è stata emessa per i venticinque anni dalla morte, appunto, della principessa nel Principato di Monaco.
Monete rare: ecco quali valgono più di tutte, incredibile [CLASSIFICA]
La moneta da due euro con Grace Kelly al giorno d’oggi è tra le più ricercate in tutto il mondo. Come abbiamo già detto qualche riga qui sopra, infatti, è stata emessa nel Principato di Monaco agli inizi del nuovo secolo. Per la precisione il suo anno di emissione è il 2007 ma in quel caso furono messe in circolazione veramente pochissimi pezzi e per questo motivo il valore odierno è alle stelle. E’ praticamente diventata introvabile e tantissimi collezionisti pagano oro per averla all’interno dei loro repertori.
Riconoscerla è molto semplice: ci basterà avere tra le mani una moneta da due euro che è uguale a tutte le altre in una faccia ma dall’altro lato ha il ritratto della principessa di Monaco. Il suo profilo sinistro è infatti stampato sul retro della moneta e vi è anche la scritta della nazione che si occupata dell’emissione oltre al nome dell’autore.
Il valore dei due euro con Grace Kelly è veramente molto elevato: stiamo parlando di un pezzo che vale, in forma nominale, molto poco e che potrebbe essere pagato per oltre 1000 volte tanto. Secondo alcuni esperti, infatti, si potrebbero superare i 2000 euro se dovessimo averne una tra le mani e quindi potrebbe essere più di uno stipendio mensile medio.
E’ sempre sottinteso il fatto che una moneta rara mantiene il proprio valore nel caso in cui si trovi in condizioni perfette. Se dovesse infatti avere qualche problema come delle macchie o delle imperfezioni nel metallo allora potrebbe certamente perdere gran parte del valore e quindi farci guadagnare molto meno. Il nostro consiglio è comunque quello di recarsi da un esperto di numismatica così da poter essere seguiti in maniera ufficiale e soprattutto senza rischiare fregature.
Ecco la guida agli aiuti e bonus per casalinghe nel 2023 (leggi su Telegram tutte le news sul lavoro domestico. Ricevi ogni giorno sul cellulare gli ultimi aggiornamenti su bonus, lavoro e finanza personale: entra nel gruppo WhatsApp, nel gruppo Telegram e nel gruppo Facebook. Scrivi su Instagram tutte le tue domande. Guarda le video guide gratuite sui bonus sul canale Youtube. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).
Prima di passare in rassegna le agevolazioni c’è una premessa importante da fare e cioè che un Bonus casalinghe vero e proprio non può esistere. Il motivo è molto semplice ed perché in Italia il ruolo della casalinga non è tutelato come un vero lavoro.
Per dirla in parole semplici, una casalinga per l’ordinamento italiano è semplicemente una donna che non lavora.
Il famoso Bonus casalinghe 2023 non è un contributo in denaro a cui hanno diritto le casalinghe, come può essere l’Assegno Unico.
Si tratta solo di un fondo istituito, perché chiunque svolga attività domestica non retribuita per la cura della famiglia abbia corsi di formazione gratuiti.
I soldi del fondo non li avranno le casalinghe, ma gli enti che decidono di aderire al progetto ed offrire corsi gratuiti di formazione.
Indice
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: elenco
Qui di seguito le agevolazioni a cui possono accedere casalinghe e casalinghi nel 2023, con i link alla pagina ufficiale per consultare la normativa:
Bonus casalinghe 2023 – la possibilità di accedere a corsi di formazione gratuiti che riguardano soprattutto l’area digitale;
Fondo pensione casalinghe – il fondo istituito esclusivamente per casalinghe e casalinghi per la pensione di vecchiaia;
Assegno Unico – un contributo che spetta a chiunque abbia figli a carico entro i 21 anni;
Bonus nido – un contributo che spetta a tutte le famiglie con bambini sotto i 3 anni e che rimborsa le rette dell’asilo nido;
Bonus mamme disoccupate – un contributo per le madri che non lavorano, che sostituisce il congedo di maternità;
Bonus per fascia ISEE – le casalinghe hanno comunque diritto ai bonus e alle agevolazioni, che vengono assegnati non in base all’attività svolta ma all’ISEE del nucleo familiare.
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: Bonus casalinghe 2023
Del Bonus casalinghe abbiamo in parte già parlato nella nostra introduzione, ma vale la pena ripetere che non si tratta di un contributo in denaro, ma solo della possibilità di partecipare a corsi di formazione gratis.
Gli enti di formazione, sia pubblici che privati, che partecipano riceveranno un finanziamento, proprio per organizzare i corsi che riguarderanno soprattutto il settore digitale.
Per l’accesso a questi corsi di formazione sarà data priorità alle donne, ma può partecipare chiunque svolga un’attività domestica, a titolo gratuito, ed è iscritto all’Assicurazione infortuni domestici INAIL.
I corsi si tengono esclusivamente online e si tratta perlopiù di corsi di formazione concepiti per migliorare le competenze informatiche. Ad esempio alcuni corsi verteranno sull’utilizzo di piattaforme come quella dell’INPS o dell’Agenzia delle Entrate. Altri corsi invece insegneranno ad utilizzare software per la gestione del budget domestico.
Gli enti che vogliono aderire devono presentare domanda entro il 31 marzo 2023. Mentre casalinghe e casalinghi dovranno inviare la domanda di richiesta, per partecipare ai corsi, direttamente agli enti. Dopo la chiusura del bando sarà fornito l’elenco degli enti che aderiscono.
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: Assicurazione infortuni domestici
La polizza assicurativa contro gli infortuni domestici dell’INAIL è stata introdotta con la legge n. 493/1999.
L’assicurazione costa 24,00 euro all’anno, da pagare ogni anno entro il 31 gennaio. Può essere pagata con il sistema PagoPa sia online che presso banche, poste, supermercati e tabaccai convenzionati. Ne hanno diritto le persone che:
hanno un’età compresa tra i 18 e i 67 anni compiuti;
svolgono gratuitamente il lavoro per la cura dei componenti della famiglia e della casa;
non sono legate da vincoli di subordinazione;
prestano lavoro domestico in modo abituale ed esclusivo.
Vale la pena di precisare che, per chi ha i requisiti, la sottoscrizione della polizza è obbligatoria e chi non si assicura può avere un a sanzione dall’INAIL. L’importo della multa viene calibrato in base al periodo di trasgressione ma non può superare l’ammontare del premio, cioè 24,00 euro.
Sono invece esonerati dal pagamento della polizia, poiché il premio è interamente a carico dello Stato, le persone:
fanno parte di un nucleo familiare il cui reddito complessivo lordo non supera i 9.296,22 euro annui.
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: Fondo pensione
Nonostante essere una casalinga per l’ordinamento italiano non sia un vero e proprio lavoro, una serie di decreti e sentenze, a partire dagli anni 60′, hanno comunque cercato di fornire una qualche tutela a questa categoria.
Ad esempio, riconoscendo che l’attività di casalinga può essere equiparata all’attività lavorativa ai fini pensionistici, motivo per cui è stato istituito il Fondo pensione casalinghe INPS.
Perciò, anche se non sono tutelate come i lavoratori veri e propri, le casalinghe possono comunque versare i contributi volontari all’INPS ai fini di ottenere la pensione di vecchiaia.
In dettaglio, casalinghe e casalinghi possono andare in pensione a partire dai 57 anni se hanno versato almeno 5 anni di contributi. Comunque, il versamento della contribuzione è volontario e non obbligatorio.
Possono versare i contributi le persone di entrambi i sessi conetà compresa fra i 16 e i 65 anni, se non lavorano e non percepiscono la pensione. Sono invece ammessi i titolari della pensione ai superstiti.
Il contributo minimo è pari a 309,84 euro all’anno e se si versa un importo minore l’anno di contribuzione non sarà riconosciuto. Il pagamento deve essere effettuato online sul portale dei pagamenti INPS.
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: Assegno Unico
L’Assegno Unico è un contributo mensile versato dall’INPS e spetta a tutti, a prescindere dal reddito o dal fatto che lavorino o meno. Il requisito per averlo è che nel nucleo familiare ci siano figli a carico entro i 21 anni di età.
Non ha requisiti ISEE, ma gli importi sono modellati in base al reddito, dove i redditi bassi hanno una somma maggiore. In dettaglio, la cifra massima è di 189 euro per figlio, mentre la somma minima che si applica agli ISEE sopra i 40.000 euro è di 54 euro.
A queste si applicano poi delle maggiorazioni, ad esempio per i nuclei numerosi, dove ci sono disabili o bambini entro 1 anno di età.
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: Bonus mamme disoccupate
Il Bonus mamme disoccupate, ovvero l’Assegno di maternità dei comuni, è un contributo pagato dall’INPS, ma di raccogliere le domande di richiesta si occupano i comuni, con modalità diverse da zona a zona.
Si tratta di una somma a cui hanno diritto le neo-mamme che non lavorano o le donne lavoratrici, che non hanno diritto alla maternità, ma solo se l‘ISEE del nucleo familiare non supera i 17.747,58 euro.
La somma percepita è di 1.773,65 euro, ma in caso di parto gemellare spetta una somma doppia. Motivo per cui in alcuni casi questa maggiorazione viene chiamata anche Bonus gemelli.
Scopri la pagina dedicata alla disoccupazione e al reinserimento lavorativo.
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: Bonus nido
Il Bonus nido è gestito dell’INPS ed è aperto a tutti i nuclei familiari a prescindere dall’ISEE. Consiste in un rimborso per il pagamento delle rette del nido o dell’assistenza domiciliare, se il minore ha una grave patologia cronica.
Gli importi sono calcolati in base al valore dell’ISEE minorenni del nucleo familiare:
ISEE minorenni fino a 25.000 euro, budget di annuo 3.000 euro;
ISEE minorenni da 25.001 euro fino a 40.000 euro, budget annuo di 2.500 euro;
ISEE minorenni da 40.001 euro, budget annuo di 1.500 euro.
Aiuti e bonus per casalinghe nel 2023: Bonus per fascia ISEE
Le casalinghe, come tutti, possono accedere ad una serie di agevolazioni in base al reddito ISEE del nucleo familiare.
Diciamo subito che la gran parte delle agevolazioni è rivolta a chi ha un reddito basso, ad esempio un ISEE sotto i 15.000 euro, ma non mancano agevolazioni anche per gli ISEE alti.
Ad ogni modo, per sapere il valore ISEE del proprio nucleo familiare e quindi a quali bonus si ha accesso, bisogna compilare la DSU 2023. La DSU è il modulo che serve proprio ad ottenere l’attestazione dell’ISEE in corso di validità.
La DSU può essere compilata in prima persona collegandosi alla piattaforma dell’INPS dedica all’ISEE precompilato e accedendo con SPID, CIE o CNS. Oppure, si può richiedere l’aiuto di Caf e Patronati.
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