Nel 2022 il Ftse Mib perde il 13,3% e la capitalizzazione si riduce di oltre 130 miliardi. Ma la contrazione è legata anche alle 21 quotate che hanno abbandonato il listino
di Maximilian Cellino
Nel 2022 il Ftse Mib perde il 13,3% e la capitalizzazione si riduce di oltre 130 miliardi. Ma la contrazione è legata anche alle 21 quotate che hanno abbandonato il listino
I punti chiave
3' di lettura
Non lascerà certo un buon ricordo il 2022 che si è chiuso ieri per la Borsa, per Piazza Affari come per le altre piazze finanziarie mondiali. Dopo anni di rincorsa, a tratti anche sfrenata, una battuta d’arresto si poteva certo mettere in conto, pochi però si aspettavano la disfatta che per il listino milanese si è tradotta in un ribasso del 13,3% rispetto alle quotazioni di dodici mesi prima.
L’inflazione, la risposta aggressiva delle Banche centrali e anche le rinnovate (e in gran parte inattese...
Il peggiore anno dal 2008, nel caso degli Stati Uniti. Il peggiore dal 2018, nel caso dell’Europa. Per le Borse mondiali il 2022 è stato ben più complicato del 2020 pandemico, quando il Covid-19 si è affacciato sul mondo economico. Il saldo è negativo per entrambi i lati dell’oceano Atlantico. Ma con una prevalenza specifica per Wall Street, sull’onda della politica monetaria restrittiva adottata dalle banche centrali globali per contrastare i rialzi a doppia cifra dei prezzi al consumo. Piazza Affari lascia sul terreno il 13% su base annua. Il Nasdaq quasi tre volte tanto.
L’anno più duro da tempo è servito. L’ultima seduta delle piazze finanziarie del 2022 contraddistinto dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla persistenza dell’inflazione su scala globale si è chiuso in modo peggiore rispetto alle ultime previsioni degli analisti. Le avvisaglie c’erano tutte. In apertura di contrattazione, Wall Street andava verso i 365 giorni più oscuri da quel 2008 che fu contraddistinto da pirotecnico crack della quarta banca statunitense, la Lehman Brothers di Dick Fuld che l’uomo che traghettò il colosso di Wall Street verso l’amministrazione controllata. A distanza di 14 anni è l’incertezza che incide sui listini. Il Covid-19, la guerra in Ucraina, le tensioni tra Usa e Cina su Taiwan, le fiammate dei prezzi al consumo, la crisi energetica. Sono tanti i fronti aperti che necessitano di risposte.
Il combinato disposto dei fronti di incertezza ha portato il mondo a una situazione di “permacrisi”, come definita dalla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde poco meno di un mese fa. A patire nel modo più significativo sono stati gli indici americani, in quanto la banca centrale statunitense, la Federal Reserve di Jerome Powell, è stata la prima a iniziare il processo di normalizzazione della propria politica monetaria. Il Dow Jones è il listino che ha avuto un andamento migliore, con un calo annuale - alla chiusura di ieri - dell’8,58%, seguito da S&P 500 e Nasdaq, con cali rispettivamente del 19,24% e del 33,03%. Nonostante le perdite annuali, il Dow ha guadagnato circa il 15% nel trimestre e interromperà una serie di tre trimestri consecutivi in calo, così come lo S&P 500, in rialzo da ottobre del 7,35%; il Nasdaq invece sta perdendo quasi l’1% e si avvia verso il quarto trimestre negativo di fila per la prima volta dal 2001.
Male anche gli indici europei, che hanno registrato la performance più negativa dal 2018. Le previsioni della vigilia di contrattazione sono state rispettate. La performance migliore è quella di Madrid che cede il 6,1%, seguita da Parigi a -9,5%, poi Francoforte -13%. Seguono Milano -13,3%, Amsterdam -13,6% e Zurigo -17%. L’eccezione, in positivo, è rappresentata da Londra, che salva un minimo guadagno dello 0,66%. In assoluto, tuttavia, il peggiore mercato azionario è quello di Mosca, con l'economia affossata dalle sanzioni conseguenti alla guerra scatenata in Ucraina, che chiude con un -43,1% dell'indice Moex. In positivo spicca la borsa di Istanbul con l'indice Bist 100 che sale del 196,1%, premiata dagli investitori locali che comprano azioni come beni rifugio contro la forte inflazione. Positive, tra le borse minori, anche Mumbai, Singapore, San Paolo, tutte poco sopra il 4% di rialzo.
Significativo l’impatto della permacrisi su Piazza Affari. In quest'anno di lettura complicata e con pochissimi punti fermi, la capitalizzazione complessiva delle società listate alla Borsa di Milano è scesa a 626 miliardi di euro contro i 757 miliardi di fine 2021. Ma è il rapporto con il Prodotto interno lordo a spiegare meglio l'entità del collasso: secondo dati elaborati da Borsa italiana, il valore di Piazza Affari oggi corrisponde al 33,9% del Pil, contro il 43,1% di un anno fa. Per Milano è stato l'anno peggiore dal 2018, del secondo peggiore degli ultimi dieci anni e del sesto peggiore dal 2000. E la speranza è che il 2023 sia un anno più roseo. I rialzi preannunciati da Lagarde nell’ultima riunione del Consiglio direttivo della Bce, che al netto di sorprese dovrebbero essere tre consecutivi da 50 punti base per i primi tre meeting del prossimo anno, potrebbero influenzare l’andamento dei corsi azionari. Almeno per il primo semestre del 2023. Per investitori e risparmiatori, la navigazione verso un porto sicuro potrebbe non essere ancora finita.
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Seduta con il freno a mano tirato per le Borse europee nell’ultimo atto di quello che, fin qui, è stato un anno decisamente da dimenticare per i mercati finanziari, i cui guadagni sono evaporati tra inflazione record, Banche centrali in versione “falco” sui tassi d'interesse, guerra in Ucraina e, da ultimo, il ritorno dei casi Covid in Cina, tutti elementi che gettano un’ombra anche sulle prospettive del 2023. Si muovono così in rosso i principali indici continentali, da Milano (FTSE MIB) a Parigi (CAC 40), passando per Londra (FT-SE 100) e Francoforte (DAX 30). E questo dopo che i mercati asiatici si sono mossi in rialzo, in scia a Wall Street, con il rimbalzo dei listini cinesi, nonostante in queste ore continui a salire la preoccupazione per l’impennata dei contagi, i cui effetti sulla crescita economica di Pechino saranno tutti da valutare.
A Piazza Affari scivola Tim, deboli le società energetiche
A Piazza Affari, dove quasi tutti i titoli del Ftse Mib sono in territorio negativo, la peggiore fin dalle prime battute è Telecom Italia che registra la "fumata grigia" al tavolo del governo con i soci Cdp e Vivendi sul futuro della cosiddetta rete nazionale. Se ne riparlerà all'inizio del prossimo anno, quando agli incontri si uniranno anche i manager del gruppo. In ribasso sul listino principale milanese le società energetiche e le utility alla luce della decisione Antitrust che ha parzialmente confermato i provvedimenti cautelari nei confronti di alcune di loro. Vendite su Iveco Group nell'auto, Nexi sul fronte tecnologico e nell'industria con Leonardo - Finmeccanica. Arretrano i principali big bancari e assicurativi, da Intesa Sanpaolo a Unipol.
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Andamento Piazza Affari FTSE Mib
Spread con Bund sale a 211 punti, rendimento al 4,59%
Dopo la seduta della vigilia, che ha visto sovraperformare i decennali italiani rispetto agli altri titoli sovrani 'core' dell'Eurozona, e quindi restringersi lo spread con il Bund, il differenziale nella prima parte di seduta si sta allargando leggermente. In particolare, lo spread tra il BTp benchmark decennale italiano e il pari scadenza tedesco è indicato a 211 punti base dai 208 punti del closing del 29 dicembre. Il rendimento del BTp decennale benchmark sale al 4,59% dal 4,53% della vigilia.
Sul mercato valutario, l’euro passa di mano a 1,0643 dollari (da 1,0665 in chiusura alla vigilia) e 141,01 yen (142,19). Il cross dollaro/yen si attesta invece a 132,44 (133,34). Il prezzo del gas ad Amsterdam è in flessione a 83,9 euro al Mwh (-2%) mentre rimbalza il petrolio, frenato alla vigilia dai timori sulla domanda globale di energia: il future febbraio sul Wti guadagna lo 0,7% sui 79 dollari al barile, il Brent di marzo scambia a 84,1 dollari (+0,8 per cento).
Borsa Tokyo chiude stabile, ma in 2022 crollo del 9,36%
La Borsa di Tokyo, infine, ha chiuso la seduta in equilibrio, ma, considerato l'intero anno, è crollata del 9,36%, a causa dell'elevata inflazione e dell'aggressiva stretta monetaria avvenuta all'estero. L'indice di punta Nikkei ha terminato le contrattazioni stabile a 26.094,50 punti, mentre era leggermente salito in seduta grazie al rimbalzo di Wall Street il giorno prima. Il più ampio indice Topix è sceso dello 0,19% a 1.891,71 punti.In particolare, anche se la Bank of Japan (BoJ) ha mantenuto il suo corso ultra-accomodante nel 2022 e la caduta dello yen ha sostenuto i titoli di esportazione giapponesi, la Borsa di Tokyo ha sofferto molto quest'anno per la drastica stretta monetaria della Fed negli Stati Uniti.
Cali frazionali per IntesaSanpaolo ed ENI. Spiccano i ribassi di Saipem e Juventus FC. Vendite sulle utilities, in seguito al rialzo dei rendimenti dei titoli di stato
I maggiori indici di Borsa Italiana e le principali piazze finanziarie europee hanno terminato la seduta in territorio negativo.
Il FTSEMib ha chiuso in calo dello 0,36% a 23.770 punti, dopo aver oscillato tra un minimo di 23.721 punti e un massimo di 23.913 punti. Il FTSE Italia All Share ha perso lo 0,41%. Segno meno anche per il FTSE Italia Mid Cap (-0,85%) e per il FTSE Italia Star (-0,2%). Nella seduta del 28 dicembre 2022 il controvalore degli scambi è salito a 1,09 miliardi di euro, rispetto agli 818,63 milioni di martedì.
Il bitcoin si è attestato poco sopra i 16.500 dollari (oltre 15.500 euro).
Lo spread Btp-Bund si è riportato vicino ai 210 punti, con il rendimento del Btp decennale che ha toccato il 4,65%.
L’euro ha oscillato tra gli 1,06 e gli 1,065 dollari.
In frazionale caloIntesaSanpaolo(-0,07% a 2,0805 euro). Dalle comunicazioni periodiche diffuse dalla Consob si apprende che il 16 dicembre Goldman Sachs Group ha ridotto la partecipazione aggregata detenuta nel colosso petrolifero, portandola dal 5,901% allo 0,819%.
Segno meno anche perENI(-0,28% a 13,508 euro). Dalle comunicazioni periodiche diffuse dalla Consob si apprende che il 16 dicembre Goldman Sachs Group ha ridotto la partecipazione aggregata detenuta nell’istituto, portandola dall’8,39% allo 0,952%.
In forte ribassoSaipem, che ha lasciato sul terreno il 3,35% a 1,098 euro, in una seduta caratterizzata da forte volatilità. Nel corso della giornata il titolo ha oscillato tra un minimo di 1,074 euro e un massimo di 1,146 euro.
Vendite sulle utilities, in seguito al rialzo dei rendimenti dei titoli di stato italiani. Spicca il calo di Hera (-2,31%).
Al MidCap prese di beneficio suJuventus FC, dopo il rally registrato nelle precedenti sedute. Il titolo del club bianconero ha registrato una flessione del 3,8% a 0,309 euro.
Continua nel pre-mercato di Wall Street la discesa di Tesla. Il gruppo delle auto elettriche perde più del 3% (a 105 dollari) dopo aver terminato ieri una delle giornate peggiori dell’anno in calo dell’11%. Il carmaker «elettrico» si avvia a chiudere così il peggiore anno della sua storia, con i titoli in calo del 70% del picco del novembre 2021.
Le cause
Quali sono i motivi di questa crisi? Non ce n’è uno soltanto, ma un insieme di fattori che hanno portato la capitalizzazione sotto i 390 miliardi di dollari, quando all’inizio dell’anno valeva oltre 1.000 miliardi. Il primo a finire sul banco degli imputati è lo stesso Elon Musk: a poco sono servite le rassicurazioni che non aveva intenzione di vendere altre azioni Tesla (dopo aver ceduto titoli per 39 miliardi di dollari) per sostenere l’acquisto di Twitter da 44 miliardi di dollari. Ma lui ha negato di avere trascurato la guida di Tesla per concentrarsi su Twitter.
In questi giorni, a influenzare il sell-off è la notizia che la società ridurrà la produzione nella gigafactory di Shanghai, da gennaio, dopo la chiusura imposta per l’ultima settimana di dicembre. Tesla deve affrontare insieme l’aumento dei contagi da Covid-19 e un calo della domanda in Cina, il maggior mercato automobilistico mondiale. Nelle scorse settimane, la società ha offerto incentivi agli acquirenti delle sue macchine nel Paese del Dragone tagliando del 9% i prezzi delle Model 3 e delle Model Y.
Le colpe
Eppure, secondo Musk, la colpa del crollo del titolo è della Fed, che alza i tassi d’interesse e spinge l’economia alla recessione. In ogni caso, il 2023 non si preannuncia di facile gestione: secondo fonti di stampa, si prevedono licenziamenti nel primo trimestre per il gruppo che vorrebbe inoltre congelare le assunzioni. Si fa sentire forte la concorrenza degli altri operatori del settore.
Prosegue vorticosa, giorno dopo giorno, la discesa dei prezzi del gas. Ad innescare il corso ultra-ribassista il price-cap varato dall'Unione europea per sterilizzare il ricatto energetico della Russia di Vladimir Putin. Una decisione, quella al tetto del prezzo della materia prima, arrivata dopo lunghi mesi di veti e trattative. Per inciso, è stata varata una forma molto "soft" di price-cap, eppure le conseguenze appaiono pesantissime.
Al mercato di Amsterdam, infatti, a metà mattinata il costo del gas è calato a 77 euro a MWh. Si tratta del valore più basso dall'8 febbraio scorso, quando mancavano ancora due settimane all'inizio dell'invasione dell'Ucraina ordinata dallo zar Putin. E ancora, i contratti futures sul mese di gennaio cedono il 3,8% a 77 euro a Mwh, un livello toccato l'ultima volta lo scorso 8 febbraio.
Le quotazioni segnavano forti ribassi anche a Londra, con la riapertura delle contrattazioni in seguito alle feste natalizie: il metano sul mercato della City segna un calo del 7,05% a 186 penny per Mbtu, ossia il multiplo mille dell'unità termica britannica.
E ancora tornando al Ttf, il mercato di Amsterdam, in apertura delle contrattazioni, oggi mercoledì 28 dicembre, il prezzo era di 80 euro Mwh. E ancora, i contratti futures sul mese di gennaio segnano un calo dello 0,05% a 80 euro per Mwh.
Si sente sempre più parlare di auto elettrificate, o ancora meglio, di elettriche ma la realtà dei fatti è che, ad oggi, è ancora l’ibrido a comandare con le vendite rappresentando il miglior compromesso tra componente elettrica e praticità di utilizzo per l’utente finale. Con auto ibrida si intende una vettura che integra, all’interno del suo motore a benzina (o diesel, in alcuni casi), una seconda o più unità elettriche alimentate da una batteria e che supportano l’erogazione del motore termico. Esistono diversi livelli di ibridizzazione dell’auto (qui il nostro approfondimento), dal mild-hybrid, passando per il più versatile full-hybrid fino al più oneroso e sofisticato plug-in hybrid, in grado di assicurare dai 30 ai 70 e passa km in solo elettrico.
In questo articolo andremo ad elencare alcune delle moltissime vetture ibride presentate in questo 2022 e che, secondo noi, meritano di essere menzionate tra le cinque migliori dell’anno solare.
Kia Niro HEV
L’auto ibrida per eccellenza. Kia Niro è il crossover “nato ibrido” fin dal debutto della prima generazione, nel 2013. Siamo oggi arrivati alla seconda generazione, meglio rifinita, dal design più accattivante e dall’equipaggiamento così ricco da far impallidire una berlina premium tedesca. Una delle auto più versatili, tecnologiche, pratiche, parsimoniose e green in commercio (tant’è che nel 2016 ha vinto il Guinnes World Record nei consumi da Los Angeles a New York, con una media di 32,5 km/l). Il suo sistema ibrido abbinato all’1.6 a ciclo Atkinson e al cambio automatico doppia frizione, è così efficiente che non è stato richiesto di sostituirlo in occasione della nuova generazione, a testimonianza della bontà del progetto. Niro infatti, grazie alla sua piattaforma modulare “K” è in grado di ospitare tutti motori elettrificati, ma di diversa natura: è disponibile con il motore ibrido-full, ibrido plug-in e anche completamente elettrica. Interessante anche il prezzo, a partire da 30.500 euro. Per questo motivo non poteva mancare dalla nostra classifica per le migliori ibride di questo 2022 e, tra le altre cose, è in lizza per vincere l’ambito premio di Auto dell’Anno il prossimo gennaio 2023.
Honda Civic e:HEV
Da auto icona del mondo delle elaborazioni, del tuning, della cavalleria spropositata a vettura full-hybrid e super efficiente. Questa la trasformazione, il processo di maturazione che nuova Honda Civic ha portato a compimento in occasione dell’undicesima generazione di questo storico modello. Anticipata nel 2021 ma presentata solo nel corso del 2022, nuova Honda Civic (FL5) ha proposto la nuova meccanica full-hybrid brevettata da Honda stessa, chiamata e:HEV. Si tratta di un sistema ibrido capace di marciare in modalità in serie, in parallelo e in serie-parallelo, praticamente tutte e tre le alternative di funzionamento ad oggi disponibili nel mondo dell’ibrido. In condizione normale, il motore a benzina funziona come generatore di energia per ricaricare la batteria, la quale poi alimenterà il motore elettrico principale in trazione sulle ruote anteriori. In caso di necessità, però, il motore a benzina può anche andare a dare motricità alle ruote anteriori tramite una frizione di blocco, mentre il motore elettrico supporta la spinta. Al netto di ragionamenti complessi, la nuova Honda Civic eroga ben 184 CV (più dell’ex 1.5 turbo benzina) ma consuma meno del precedente 1.0 3 cilindri a benzina, con medie prossime ai 19/20 km al litro (un valore notevole se si considerano i suoi 4,55 metri di lunghezza). Prestazioni allegre, design accattivante, qualità notevole e consumi da citycar con un prezzo di partenza da 34.300 euro. Se non è meritevole questo progetto…
Toyota Corolla Cross
Nella lista delle migliori ibride del 2022 non poteva mancare chi l’ibrido, di fatto, l’ha realmente inventato. Si parla ovviamente di Toyota, pioniere della tecnologia ibrida sull’auto fin dagli ultimi anni ’90, con i primi modelli che hanno aperto la strada al successo attuale. Un’auto progettata quasi da manuale, con forme da suv/crossover di segmento C, grazie ai suoi 4,46 m di lunghezza e un nome conosciuto a livello globale. Inizialmente presentato solo per i mercati asiatici, è arrivata in Europa nel 2022, con piccoli aggiornamenti per posizionarsi a metà strada tra C-HR e Rav4. Forme squadrate e pratiche, piuttosto tradizionali ed è spinta da un consolidato 2.0 4 cilindri a ciclo Atkinson abbinato a due unità elettriche, per una potenza complessiva di 199 CV. I consumi? Dichiarati di quasi 20 km/l ma anche nell’utilizzo pratico, il dato riscontrato non sembra discostarsi molto. Il tutto, ad un prezzo di partenza di 38.000 euro, con le versioni top di gamma e trazione integrale a 43.500 euro.
Nissan Qashqai e-Power
È stato uno dei primi veri SUV ad affacciarsi sul mercato, già nel lontano 2007, anticipando quello che molte altre case automobilistiche avrebbero poi fatto negli anni successivi. La prima generazione, con il restyling del 2010 ha riscosso un grandissimo successo, complice la linea appagante, il grande spazio a bordo e il prezzo accessibile di tutte le versioni. Ironia della sorte, però, è una delle ultime della categoria a ricevere una motorizzazione full-hybrid, complici i ritardi nello sviluppo della tecnologia e-Power da parte di Nissan. Ciò però non toglie che rappresenti uno degli ibridi più interessanti del 2022, proprio per la modernità del progetto. Si compone di un 1.5 a ciclo Atkinson abbinato ad un’unità elettrica, per una potenza complessiva di 190 CV e ben 330 Nm di coppia massima. Consumi dichiarati di soli 5,3 l/100 km, quindi vicini ai 18 km al litro, notevole nonostante i 4,43 m di lunghezza. Davvero contenuto il peso, soli 1,370 kg, ad un prezzo quasi incredibile, a partire da 36.270 euro, fino ad un massimo di 45.020 euro.
Ferrari 296 GTB
Si abbandona il mondo del full-hybrid per premiare l’unica Plug-in Hybrid della nostra classifica. Poteva non essere una Ferrari? Il marchio di Maranello ha infatti commercializzato la sua supercar ibrida plug-in, dopo il primo esperimento dell’hypercar SF90. Grazie all’elettrificazione, Ferrari è riuscita ad elevare la potenza a ben 830 CV, di cui circa 663 a carico del motore termico (nuovo 2.9 V6 di 120°) e 167 di competenza dell’elettrico. È alimentato da una batteria a 7,45 kWh che assicura circa 20 km in modalità elettrica ma il sistema è così ben congegnato che durante una sessione di track day, le frequenti frenate consentono di non far mai scaricare la batteria, assicurando perciò sempre il massimo delle performance. Si traduce in uno 0-100 km/h coperto in soli 2,9 secondi, fino ad una velocità massima di 330 km/h, per un peso di soli 1.470 kg. Si tratta dell’ennesimo capolavoro di Ferrari, ormai già avviata sul tema dell’elettrificazione, senza però fare sconti in termini di piacere di guida ed emozioni al volante. Il prezzo? A partire da 273 mila euro.
La Jeep Avenger è una della novità più attese del 2023. Sia perche è un suv di dimensioni ridotte, la tipologia di auto più richiesta dal grande pubblico, ma anche perché è offerta sia in modalità elettrica con un'autonomia di circa 400 km. Che si tratti di un'autentica Jeep non ci sono dubbi visto che in seguito verrà proposta anche in versione più fuoristradista. L'Avenger è già ordinabile, ma nella versione di lancio la 1St Edition con tutto di serie ad un prezzo di 39.500 euro incentivi esclusi. In vendita, poi, ci sarà soltanto a partire dal mese di febbraio.
“Questo è l’inizio della fine dei Pfas, gli ‘inquinanti eterni’”, annuncia Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di GreenpeaceItalia, commentando la decisione presa da uno dei colossi industriali statunitensi. Sarà che temono danni ai bilanci dovuti alle richieste di risarcimento, ma i maggiori produttori e utilizzatorimondiali dei Pfas cominciano a preoccuparsi e a fare marcia indietro. Il colosso industriale statunitense 3M Company, uno dei primi utilizzatori delle sostanzeperfluoroalchiliche in una svariata serie di prodotti, ha confermato di aver disposto l’abbandono della produzione entro il 2025. Ne fa un ampio uso, visto che produce nastri adesivi, carta (i Post-It), abrasivi, pellicole, dispositivi di protezione individuale, materiali elettrici, circuiti elettronici. I Pfas rendono il materiale resistente ai grassi e all’acqua, ma si tratta di sostanze chimiche che, una volta assorbite dall’organismo, non sono più eliminabili, diventando causa di patologie, come l’infertilità o i tumori. A spaventare le multinazionali sono le cause che possono essere avviate dai cittadini per ottenere il risarcimento dei danni o dagli enti pubblici per imporre le bonifiche che hanno costi altissimi.
Visto che sono utilizzati dagli anni Cinquanta, i Pfas hanno già causato danni enormi alla salute e all’ambiente. Negli Usa i precedenti riguardano soprattutto la DuPont, sconfitta in alcune cause legali molto onerose, condotte dall’avvocato Robert Bilott in West Virginia. Adesso sono gli investitori stessi a chiedere l’abbandono definitivo dei Pfas, promuovendo una transizione verso un’industria chimica più sostenibile, per non vedere compromessi i loro capitali. Basti pensare che una cordata di investitori che gestisce circa 8mila miliardi di dollari in assetsocietari, ha chiesto in modo formale a 54 aziende di porre fine all’utilizzo dei Pfas. Dando l’annuncio della marcia indietro, 3M ha spiegato che le sue vendite annuali di Pfas sono di circa 1,3 miliardi di dollari, equivalenti al 3,7 per cento dei ricavi del gruppo nel 2021, che supera i 35 miliardi di dollari. Si tratta, quindi, di una percentuale minoritaria e rinunciarvi viene indicato dai vertici del gruppo come “l’opportunità per uno sviluppo diverso e più sostenibile”.
Anche l’amministrazione Biden e l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente stanno studiando il divieto di utilizzo per alcune sostanze chimichepericolose. Il gruppo DuPont ha affermato che sta già limitando l’uso delle sostanze alle “applicazioni industriali essenziali” e collabora con i clienti per cercare alternative. Le sostanze perfluoroalchiliche in Veneto, a partire dalla società Miteni di Trissino (Vicenza), hanno causato il colossale inquinamento della falda idrica nelle province di Vicenza, Padova e Verona, con una grave contaminazione degli acquedotti e danni non ancora completamente quantificati per la salute di decine di migliaia di persone. Mentre è in corso il processo per avvelenamento di acque e disastro innominato con 13 imputati già proprietari o amministratori della Miteni, si sta concludendo lo smantellamento degli impianti, che verranno portati in India. Sono infatti stati ceduti nel 2019 dalla curatela fallimentare per 4,6 milioni di euro alla holding Viva Live Sciences Private Limited, che intende ricostruire la fabbrica a Mumbai.
Una buona notizia per il Veneto, che potrebbe preludere all’avvio delle bonifiche, soprattutto se il processo si dovesse concludere con la condanna della Miteni. Conoscendo i meccanismi economici transnazionali, Giuseppe Ungherese tradisce però una certa preoccupazione: “Ci auguriamo che il trasferimento in India dei macchinari non sia il preludio all’apertura di un nuovo stabilimento specializzato nella produzione di Pfas. Com’è noto, spostare la produzione da una nazione all’altra non risolve i problemi, piuttosto potrebbe amplificare la contaminazione globale visto che queste sostanze una volta immesse in natura possono diffondersi ovunque”. Da tempo Greenpeace è impegnata assieme a organizzazioni internazionali per impedire l’utilizzo dei Pfas. “È necessario bandire la produzione globale e l’utilizzo di queste sostanze, su cui speriamo l’Europa possa fare da apripista” conclude. È attesa per la seconda metà di gennaio la proposta europea per la restrizione del suo utilizzo, mentre due comitati scientifici europei dovrebbero pubblicare nel primo trimestre del 2023 le loro valutazioni su possibili restrizioni dei Pfas nelle schiume antincendio.
Rispetto ai primi mesi del 2022, la situazione patrimoniale delle persone più ricche in Italia, rispetto alla classifica generale mondiale di Forbes, è radicalmente cambiata. Su un totale di 2.668 super miliardari, gli italiani in classifica sono 51, all’incirca la stessa quantità di inizio anno. I veri cambiamenti, però, si notano soprattutto nei patrimoni dei «paperoni» nazionali, che per lo più sono scesi forse per l’effetto dell’inflazione, della crisi energetica e di tutte le conseguenze socio-economiche legate al conflitto in Ucraina. Il calo di ricchezza ha portato a un vero e proprio capovolgimento delle posizioni. A partire dal podio globale: Elon Musk, ceo di Tesla e di recente nuovo proprietario di Twitter, ha ceduto il primo posto a Bernard Arnault, chairman e ceo di Lvmh, con un patrimonio pari a 180,5 miliardi di dollari. Musk si trova esattamente dietro, in seconda posizione, accumulando una ricchezza personale di 162,9 miliardi di dollari. Al terzo posto, a sorpresa, non si trova Jeff Bezos (che, invece, scende al quarto con 109,6 miliardi di dollari) ma Gautam Adani, chairman del gruppo Adani, società per il commercio di materie prime.
Nella classifica degli uomini e delle donne italiani più ricchi rimane stabile al primo posto Giovanni Ferrero, amministratore unico dell’industria dolciaria di famiglia Ferrero, nonostante abbia perso circa 10 posizioni. Al secondo posto si attesta lo stilista Giorgio Armani (anche se con un netto calo di patrimonio), mentre al terzo si trova il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
Vediamo chi sono gli altri italiani presenti nella classifica mondiale di Forbes.
Le auto ibride si stanno diffondendo sempre più sul mercato italiano, e non solo. Una valida alternativa alle vetture elettriche, che oggi ancora trovano non pochi ostacoli, tra cui i prezzi di listino elevati e la carenza di colonnine di ricarica, indispensabili per viaggiare a zero emissioni.
A questo proposito, Autohero Italia (lo shop online di auto usate leader in Europa) ha realizzato la classifica delle auto ibride usate più vendute nel 2022, e non solo, ha anche delineato le tre regioni più propense all’acquisto di questa tipologia di auto.
La classifica
Vediamo quali sono secondo Autohero le tre auto usate ibride di maggiore successo nel 2022 in Italia, le più acquistate. L’azienda ha anche individuato le tre regioni dove l’ibrido usato viene richiesto più frequentemente. Oggi l’acquisto di auto usate online è un trend in crescita e per questo motivo è necessario adattare l’offerta ai cambiamenti dei consumatori, che sono sempre più spesso alla ricerca di soluzioni sostenibili.
Una necessità che non è dettata esclusivamente dal volersi preparare al futuro della mobilità e alla riduzione delle emissioni inquinanti e dal voler essere conforme alle norme in arrivo, sempre più stringenti, ma anche dal desiderio di dare il proprio contributo nella transizione verso un modo di spostarsi più sostenibile.
Vediamo quindi quali sono le tre auto ibride usate più acquistate in Italia. Al terzo posto c’è Fiat Panda, con il 9% del totale delle auto ibride vendute da Autohero nel 2022 chiude il podio. Sappiamo che l’icona Fiat è tra le citycar più vendute nel mercato italiano da ormai 40 anni, e infatti la troviamo anche in questa particolare Top 3 nella versione mild hybrid. Il motore termico 1.0 a tre cilindri derivato dalla famiglia Firefly è supportato da una piccola batteria da 12 volt che interviene in accensione e nelle partenze da bassa velocità.
Al secondo posto c’è Toyota C-HR, altra scelta privilegiata dai consumatori; rappresenta il 13% del totale dei veicoli ibridi venduti da Autohero nel 2022. Questo crossover 5 posti full hybrid a benzina è la scelta ottimale per chi viaggia in città, concedendosi anche varie gite fuoriporta. La tenuta in strada è buona e il sistema ibrido da 184 CV consuma davvero poco, in particolare nel traffico cittadino.
L’auto ibrida usata più venduta in Italia
E infine, qual è la più venduta in assoluto? Il 19% delle auto ibride usate e ricondizionate vendute nel 2022 da Autohero è una Toyota Yaris, la pluripremiata. Pratica e dai livelli di efficienza elevati, questa vettura così nota e amata sul mercato da decenni ha uno sterzo preciso e una frenata immediata. Buono il comfort, questa full hybrid è un’utilitaria con un consumo medio di carburante molto basso.
Le regioni in cui le auto ibride usate hanno più successo
Passando alla Top 3 delle regioni in cui le ibride usate sono più richieste, non sorprende che un terzo delle auto ibride vendute nel 2022 da Autohero si concentri in Lombardia (33,5%), regione che si sta attrezzando per supportare la mobilità ibrida ed elettrica con oltre 4.00 punti di ricarica complessivi. Al secondo posto il Lazio con il 14,3%, che si aggiudica l’argento anche per la presenza di colonnine di ricarica con un network di oltre 2.500 chargers, seguito dall’Emilia Romagna con il 7,3% di auto ibride usate vendute su Autohero nel 2022 e una rete di punti di ricarica che supera 2.000 colonnine.
L’Antitrust ha avviato un’istruttoria sul caro-voli nei confronti di alcune compagnie aeree per stabilire se abbiano distorto la concorrenza, aumentando i prezzi dei biglietti aerei sulle tratte di collegamento tra le principali città italiane (Roma, Bologna, Torino e Milano) e la Sicilia durante le festività natalizie. Le indagini si rivolgono a Ryanair, Wizz Air, EasyJet e Ita.
A diffondere la notizie è Codacons Sicilia che, lo scorso 13 dicembre, aveva presentato un esposto, ritenendo che “le eventuali distorsioni di prezzo risulterebbero particolarmente gravi, soprattutto nell’attuale fase di crisi, di difficoltà per i consumatori e di riduzione del potere d’acquisto delle famiglie”. Per l’Antitrust – ha spiegato Codacons Sicilia – la segnalazione risulta ”meritevole di ulteriori approfondimenti, al fine di accertare la sussistenza di possibili distorsioni del corretto funzionamento dei meccanismi concorrenziali, in violazione dell’articolo 101 TFUE”.
EasyJet, in una nota, ha spiegato di essere a conoscenza dell’istruttoria avviata dall’Autorità Garante della Concorrenza e che “respinge fermamente queste contestazioni, confermando di aver sempre operato in conformità alle leggi e ai regolamenti in materia”. La compagnia, inoltre, ha spiegato che: “collaborerà in piena trasparenza con le autorità al fine di dimostrare di aver sempre agito in modo lecito nel rispetto delle regole della concorrenza e nel migliore interesse dei consumatori.”
Sulla questione, è intervenuta anche Assoutenti, condividendo la decisione dell’Antitrust: “Proprio qualche giorno fa avevamo denunciato come un volo per la Sicilia in occasione delle feste di Natale arrivasse a costare più di un viaggio intercontinentale, realizzando una stangata a danno dei cittadini che rientrano sull’isola per trascorrere le feste”, ha spiegato il presidente Furio Truzzi.
(ANSA) - ROMA, 24 DIC - Contro gli aumenti dei tassi d'interesse "possiamo aspettarci ulteriore opposizione e dobbiamo resistere. E' proprio per questo che le banche centrali sono indipendenti": Lo dice Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Bce, rispondendo a una domanda sulle critiche, in Italia, ai recenti rialzi del costo del denaro da parte della Bce. "Ai governi in generale non piacciono molto gli aumenti dei tassi.
Pesano sulla posizione di bilancio perché rendono più costoso emettere nuovo debito". (ANSA).
Netflix bloccherà la condivisione delle password nei primi mesi del 2023. Arriva la conferma da parte del co-amministratore delegato del colosso di servizi streaming che ha parlato apertamente della troppa diffusione di questa pratica e alla quale è necessario dare un taglio. In questo caso infatti, secondo le parole di Ted Sarandos, sono oltre 100 milioni gli iscritti sulla piattaforma di Netflix che ad oggi condividono la password del proprio account con altri utenti che effettivamente non fanno parte del nucleo famigliare.
Netflix: stop alla condivisione delle password da inizio 2023
Sappiamo bene che questo momento prima o poi sarebbe arrivato visto che proprio l'azienda di streaming video aveva percorso già la strada dei pre-test in alcuni paesi dove aveva obbligato al pagamento di una quaota extra per tutti gli utenti non facenti parte effettivamente del nucleo famigliare ma che usufruivano comunque del servizio di streaming.
Ora abbiamo la conferma che Netflix amplierà il programma di ''protezione'' delle password dai primi mesi del 2023 e per tutti coloro che finora hanno potuto dividere il proprio account con amici e parenti, al di fuori della propria casa, non si avrà più la possibilità a meno di pagare un corrispettivo che ancora non è chiaramente dato sapere. Secondo il Wall Street Journal, comunque Netflix sta tenendo in considerazione il disappunto degli utenti che condividono la password con amici e familiari ma di fatto per avere una valutazione più ampia sembra intenzionata comunque ad implementare il sistema di blocco della condivisione ovunque per capire effettivamente se potrà poi mantenerla per sempre o se invece potrà portare ad un calo vistoso degli utenti iscritti.
Insomma sono veramente lontani i tempi in cui proprio Netflix inneggiava nei propri social alla condivisione degli account con un tweet del 2017 che oggi non può che passare alla storia e che deve far pensare a quanto un'azienda possa cambiare i propri principi e le proprie policy nel tempo per addomesticare in qualche modo anche i propri investitori. Netflix dichiarava esattamente "Love is sharing a password" ossia ''Amore è condividere la password'' per far sì che gli utenti potessere far iscrivere a Netflix più gente possibile.
Ora tutto questo non ha più senso anzi chiunque risulti al di fuori del nucleo famigliare dovrà pagare un extra e nemmeno i figli universitari fuori sede potranno rientrare nel nucleo ma dovranno equipaggiarsi di un loro esclusivo account. Sarandos ha detto che “oggi ci sono persone che si godono Netlfix letteralmente gratis” per questo l'azienda ha intenzione di tornare sui suoi passi e di permettere a Netflix di ritrovare il vero valore dell'azienda in modo da avere ''persone felici di avere un proprio account non condiviso''.
E ricordiamo che il blocco della condivisione della password verrà messa in atto probabilmente facendo apparire un messaggio di richiesta codice a chi la sta usando e non è il vero proprietario. Da qui la necessità di inserire appunto il codice di verifica arrivato al proprietario, che avrà pagato un extra, per poter continuare a vedere i contenuti. Insomma dura vita alla condivisione.
Rischiano di aumentare le bollette di gas e luce. Il Consiglio di Stato ha infatti accolto il ricorso della multiutility Iren – rappresentata dagli avvocati Eugenio Bruti Liberati, Fausto Caronna e Roberto Bonsignore (Cleary Gottlieb) – contro l’Antitrust e in particolare contro il provvedimento dell’Antitrust che bloccava i rincari di luce e gas anche per i contratti scaduti e da rinnovare. La norma in questione, introdotta con il decreto Aiuti bis ad agosto e in vigore fino al 30 aprile 2023, sospende l’efficacia sia delle clausole contrattuali che consentono alle società di vendita di modificare il prezzo di fornitura sia dei preavvisi già inviati alla clientela. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto applicarla anche ai contratti scaduti e ha poi messo nel mirino anche altre aziende energetiche.
La richiesta di Iren
Iren, in particolare, ha chiesto di disporre la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato «nella parte in cui impone ad Iren di sospendere la variazione delle condizioni economiche contrattualmente scadute», sostenendo che «la mera sollecita fissazione dell’udienza di merito – senza la sospensione dei provvedimenti gravati, nella parte in cui hanno sospeso l’applicazione degli aggiornamenti di prezzo dopo la loro scadenza contrattuale, imponendo a Iren di darne comunicazione individuale alla propria clientela – non scongiurerebbe i danni gravi e irreparabili che l’esecuzione dei provvedimenti gravati», causerebbe all’odierna appellante.
L’appello
«L’appellante - si legge nel dispositivo dei giudici - sosteneva che senza l’aggiornamento dei prezzi nei confronti del cliente si verificherebbe, a causa del costringimento (imposto con il provvedimento impugnato) di fornire al cliente l’energia ai sensi del prezzo fisso del contratto, sotto i costi attuali di approvvigionamento, un danno emergente di entità straordinaria, da essa quantificato in 264 milioni di euro, legato agli acquisti e relativi costi di gas e energia elettrica già effettuati e oggetto di stipula con Terze Parti di contratti di copertura per rendere tali costi variabili in fissi, minacciando l’equilibrio economico-finanziario della Società».
L’ordinanza
Il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario provvedere a una sospensione del provvedimento impugnato «solo nella parte in cui esso investa contratti a tempo determinato o contratti che prevedano una scadenza predeterminata delle condizioni economiche a data precedente il 30 aprile 2023 essendo in questione in tal caso non l’esercizio dello ius variandi ma un rinnovo contrattuale liberamente pattuito dalle parti». Il Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare e sospende in parte il provvedimento impugnato dall’appellante – recante un generalizzato ordine nei suoi confronti di sospendere ogni variazione nei contratti di fornitura - nei sensi e limiti di cui in parte motiva ossia ove riferisce tale ordine, certamente fondato normativamente quando si tratta di variazioni unilaterali, anche a fattispecie di aggiornamento prezzi per rinnovo di contratto scaduto.
Un valore sistemico
L’intervento del Consiglio di Stato ha un rilievo sistemico perché, dopo il provvedimento nei confronti di Iren, l’Autorità Antitrust ne ha adottati analoghi nei confronti di tutte le principali imprese del settore, essendo la prassi di inviare «aggiornamenti» dei prezzi dopo la loro scadenza contrattuale applicata in tutto il settore. Dato il vertiginoso incremento dei costi di approvvigionamento di gas ed elettricità verificatosi nel corso del 2022, il divieto imposto dall’Autorità avrebbe quindi comportato, non solo per Iren, ma per tutto il comparto dell’energia un obbligo di forniture sottocosto, causando perdite economiche enormi.
Utilitalia: primo passo nella giusta direzione
«La delibera odierna del Consiglio di Stato - ha commentato Utilitalia - rappresenta un primo passo nella giusta direzione per chiarire la questione degli aumenti dei prezzi dell’energia previsti alla scadenza dei contratti, bloccati nei giorni scorsi dall’Antitrust». La Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche evidenzia come «una questione così strategica debba essere risolta attraverso una chiara decisione politica e non a colpi di sentenze. Decisione, oltretutto, in linea con il Regolamento europeo in materia di caro energia (Regolamento UE 2022/1854) che prevede che se uno Stato interviene sui prezzi dell’energia, di fatto regolandoli, è tenuto a risarcire le imprese. Di certo il costo economico di limiti nazionali ai prezzi retail non può ricadere esclusivamente sulle imprese del settore energetico, già alle prese da mesi con costi delle materie prime ai massimi storici».
Una situazione delicata, preoccupante, e che allarma tanti cittadini: in un contesto di rincari, il prezzo della benzina risale. Arriva la decisione tanto temuta: ma quale e soprattutto dove?
Niente da fare: in questa fase storica di crisi, proprio non si riesce a respirare un pò di aria salubre intorno al tema dei carburanti. E non certo, o non solo, per la natura inquinante degli stessi.
Stiamo ovviamente facendo riferimento a quelli che sono ormai visti a tutto tondo, e ovunque, come dei livelli esorbitanti di prezzi per ciò che si attiene all’acquisto di carburanti, benzina in primis.
I livelli di soglia sono stati superati da un pezzo: e tante sono ormai le famiglie, a tutte le latitudini, che pagano lo scotto di questo continuo impennare dei costi relativi al ‘pieno carburanti’.
Nello stesso momento molte sono anche state le autorità di governo, nei vari paesi colpiti da questa vera emorragia di costi e di prezzi in aumento della benzina, che hanno provato a trovare delle soluzioni.
Aumenti prezzi benzina: che cosa succede
Tra blocchi dei prezzi, sconti, tagli delle accise, le soluzioni che sono state messe sul piatto e sul tavolo delle decisioni hanno arginato solo in parte lo tsunami dei prezzi. Ma altre, invece, l’hanno anche accentuato.
Quali? In particolare stiamo parlando di una ultima e terribile notizia che in questa ottica, in direzione del 2023, non porta certo venti di speranza per ciò che si riferisce al caro prezzi benzina.
In particolare stiamo parlando della decisione di mettere un freno, di stoppare in senso chiaro e tondo il famigerato sconto per la benzina, e per alcuni carburanti in particolare. Ma quale sconto? E dove era applicato, e da chi, e in favore di chi? Di che decisione stiamo parlando?
Prezzo benzina, brutte notizie in arrivo: per chi?
In sostanza facciamo riferimento a quanto è avvenuto in Spagna, dove l’esecutivo mira e chiudere il capitolo, nel 2023, relativo allo sconto generale per i carburanti. Di quale sconto si tratta?
Si parla dello sconto di venti cent a litro, relativo ai carburanti in genere, che verrà dunque eliminato: dovrebbe restare solo come soluzione estrema nei riguardi dei settori più danneggiati.
A dirlo sono le autorità governative ispaniche che hanno parlato di misure che, nella loro versione di emergenza, saranno dunque eliminate. Questo, per non creare un sovraccarico di esborso nei riguardi delle esigue casse statali. Una brutta notizia dunque per tutti quelli che usano veicoli a motore in Spagna.
Prezzo benzina, notizia tragica per gli automobilisti, è ufficiale I Nel 2023 stop allo sconto sui carburanti: resterà solo per alcuni - motorzoom.it - Motorzoom.it Read More
Il calo del prezzo del gas non si arresta: ad Amsterdam le quotazioni del future con consegna a gennaio 2023 sono scese a 90 euro al megawattora, giovedì 22 dicembre, con una flessione del 7% e portandosi ai livelli di maggio scorso. Il calo è dovuto a diversi fattori: si prevedono temperature più miti rispetto alla media, che consentiranno un impatto ridotto sugli stoccaggi, le forniture di Gnl hanno raggiunto livelli record. Ma si vedono anche gli effetti dell’intesa sul tetto al prezzo raggiunta lunedì 19 dicembre a maggioranza qualificata dai dei ministri europei dell’Energia che fissa il limite a 180 euro a megawattora a partire dal 15 febbraio 2023 ed è arrivato ai trader il segnale politico dell’accordo raggiunto dai ministri dell’Energia dell’Ue.
Le bollette
Ma non basterà il price cap dinamico a far scendere le bollette anche se aiuterà a mitigare gli scambi. Innanzitutto perché scatterà quando al Ttf di Amsterdam le quotazioni mensili del gas andranno oltre la soglia di 180 euro a megawattora per tre giorni, con una differenza di almeno 35 euro oltre il prezzo medio del gas naturale liquefatto in un «paniere» di mercati internazionali. Lunedì 19 dicembre all’Assolombarda in occasione del Consiglio generale, il presidente dell’Arera, Stefano Besseghini, aveva osservato che 180 euro al megawattora «rimane un prezzo alto rispetto a quello industriale». Insomma, i consumatori (aziende e famiglie) difficilmente vedranno subito in bolletta l’impatto del tetto. Tanto più che dopo un autunno relativamente mite, ora si entra nell’inverno con temperature più rigide e dunque ci sarà un aumento della domanda di gas. Tuttavia il cap è stato pensato per evitare che si creino di nuovo situazioni come quelle della scorsa estate con il metano schizzato a oltre 300 euro a megawattora mentre i Paesi Ue stavano riempiendo gli stoccaggi. La misura adottata (con le numerose salvaguardie e tutele per non mettere a rischio gli approvvigionamenti dell’Ue), così come il via libera all’aggregazione della domanda di gas e al meccanismo di acquisti in comune attraverso la piattaforma dell’Ue vanno visti in prospettiva, per affrontare attrezzati il prossimo inverno.
Il disaccoppiamento
C’è un altro passaggio fondamentale, che invece avrà un impatto più diretto sulla bolletta della luce, ed è la riforma del mercato elettrico che attualmente lega il prezzo dell’elettricità a quello del gas. L’obiettivo è il disaccoppiamento, per ridurre il prezzo dell’elettricità prodotta con fonti rinnovabili e con il nucleare. Ci sono voluti mesi prima che la Commissione Ue si convincesse ad agire nonostante le richieste di numerosi Stati membri tra cui l’Italia. All’ultimo Consiglio europeo i leader Ue nelle conclusioni hanno indicato che «attendono con interesse la proposta e la valutazione d’impatto, che la Commissione deve presentare all’inizio del 2023» perché possa essere discussa già al Consiglio di marzo. In un documento informale l’esecutivo ha indicato alcune linee guida tra cui contratti di lungo termine con i produttori di rinnovabili e obbligo per i venditori di applicare ai clienti domestici offerte a prezzo fisso per una percentuale prefissata dei consumi.
Il gas russo verso la Cina
Nel frattempo, il gas russo che fluiva a Ovest verso l’Europa si sposta sempre di più verso Est e in particolare verso la Cina. Oggi 21 dicembre Gazprom ha annunciato l’avvio della produzione del giacimento di gas di Kovykta con una cerimonia presieduta dal presidente Vladimir Putin e dal capo di Gazprom Alexei Miller. Il giacimento, il più grande della Russia orientale, fornirà gas alla Cina attraverso il gasdotto «Forza della Siberia». Il 14 dicembre Gazprom ha aggiornato il record storico delle consegne giornaliere di gas russo alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia. In una nota il colosso energetico ha detto che l’eccedenza rispetto agli obblighi contrattuali giornalieri previsti dal contratto di compravendita è stata pari al 16,5 per cento. Le consegne vengono effettuate nell’ambito di un accordo bilaterale di acquisto e vendita di gas a lungo termine tra Gazprom e Cnpc (China National Petroleum Corporation).
Rischio forniture nel 2023
Secondo S&P Global Commodity Insights, il prezzo massimo del gas a 180 euro/MWh in Europa potrebbe restringere i flussi all’Europa nel 2023 poiché alcuni fornitori asiatici potrebbero scegliere di vendere ad altri mercati, ma non avrebbe un impatto sul flusso commerciale di Gnl asiatico nel breve termine.
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Le Borse europee guadagnano tutte oltre un punto percentuale aiutate dalle indicazioni incoraggianti sul mercato del lavoro in Germania, dove migliora anche il clima di fiducia dei consumatori. In più, il gas naturale è sceso sotto quota 100 euro per la prima volta da sei mesi, sui livelli di metà giugno, alimentando l'ottimismo. In rialzo anche gli indici Usa, dopo che l'S&P500 di Wall Street nella seduta della vigilia è riuscito a interrompere la serie negativa che durava da quattro sessioni chiudendo sopra la parità.
Secondo l'istituto Ifo tedesco, le prospettive occupazionali per il primo trimestre del 2023 sono positive e le aziende hanno intenzione di assumere nuovo personale nonostante la difficile situazione economica. I listini continentali sono sostenuti anche dagli acquisti sui titoli dell'energia, con il petrolio che ha invertito la rotta dopo la debolezza iniziale e ora sale di due punti percentuali, e dal rally di Adidas e Puma a Francoforte sulla scia dei conti positivi annunciati da Nike.
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Wall Street in rialzo. Vola Nike
Apertura in rialzo a Wall Street, in scia ai guadagni della vigilia. A dare slancio sono i risultati trimestrali di Nike e FedEx, usciti martedì 20 a Borsa chiusa: il titolo del colosso dell'abbigliamento sportivo guadagna il 15% dopo utile e ricavi superiori alle attese: i profitti netti per il trimestre al 30 novembre sono stati di 1,33 miliardi, ovvero 85 centesimi per azione, più dei 64 centesimi attesi dagli esperti, su ricavi di 13,32 miliardi, in rialzo del 17% rispetto a un anno prima, contro attese per 12,57 miliardi. Il titolo di FedEx sale di oltre il 5%, dopo utili sopra le attese, ma ricavi sotto il consensus. La società di consegne ha comunicato che riuscirà a tagliare un altro miliardo di dollari di spese nel 2023, per un totale di 3,7 miliardi di risparmio. Con la fine del 2022 ormai vicina, i tre maggiori indici vanno versola peggior performance annuale dal 2008e il primo calo dopo tre anni positivi. Alla chiusura di martedì, il Dow era in calo del 9,6% nell'anno e di circa il 5% nel mese; per lo S&P 500, cali rispettivamente del 19,82% e di oltre il 6%; per il Nasdaq, ribassi del 32,58% e di circa l'8%.
Sul fronte macro,nel terzo trimestre del 2022, il deficit statunitense delle partite correnti è diminuito più delle attese. Secondo quanto reso noto dal dipartimento al Commercio, il deficit è calato, rispetto al trimestre precedente, del 9,1% a 217,1 miliardi di dollari, dai 238,7 miliardi del secondo trimestre del 2022 (rivisto dall'iniziale 251,09 miliardi). In calendario i dati sulla fiducia dei consumatori e sul mercato residenziale.
A Piazza Affari corrono Saipem ed Eni. Tonfo di Avio
Tra i titoli milanesi a maggiore capitalizzazione, corrono i titoli oil, con Eni, Saipem, Tenaris ed Erg in testa al listino. Torna a salire Nexi, mentre il tema dei pagamenti Pos rimane al centro dell'agenda politica. Bene anche Diasorin, Davide Campari e Telecom Italia, mentre continuano gli incontri tra governo e azionisti sul futuro della rete: nella lettera di fine anno ai dipendenti il ceo Labriola rivendica il piano di spacchettamento delle attività annunciato nei mesi scorsi e i risultati raggiunti nel 2022. Nel resto del listino pesante Avio dopo che un’anomalia ha provocato la conclusione prematura della missione del lanciatore Vega C.
Finisce la (brevissima) era del patron di Tesla, che in realtà prende tempo: "Lascerò non appena avrò trovato qualcuno abbastanza folle da assumere l'incarico"
Musk ha tenuto fede così alla promessa fatta ai follower di rispettare l'esito del sondaggio, che ha visto il 57,5% di "sì" a favore delle dimissioni contro il 42,5% che invece lo voleva ancora al timone.
L'annuncio arriva dopo che i media statunitensi avevano appreso da fonti interne a Twitter che il magnate visionario stava attivamente ricercando un nuovo Ceo per la società di San Francisco.
Chi prenderà il posto di Elon Musk?
Elon Musk non fornisce insomma dettagli sui tempi delle dimissioni e neppure sul nome del suo potenziale successore. "Nessuno vuole il lavoro che può davvero tenere Twitter vivo", ha fatto notare a un utente. Secondo alcune speculazioni riportate dal Financial Times, tra i candidati ideali ci sarebbe Sheryl Sandberg, l'ex direttrice operativa di Meta che ha trasformato l'azienda in un gigante della pubblicità digitale. La manager però potrebbe non desiderare di assumere la guida di un'altra compagnia piena di problemi di moderazione dei contenuti. Un altro nome è quello di Sarah Friar, ceo di Nextdoor, già direttrice finanziaria della società di pagamenti Block, creata dal cofondatore di Twitter Jack Dorsey. Escluso invece un ritorno di quest'ultimo, che si è dimesso già due volte come chief.
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Borse europee in rosso deciso sui minimi da un mese e mezzo dopo la mossa a sorpresa della Banca centrale giapponese che ha modificato la banda di oscillazione dei rendimenti dei titoli di stato, innescando così una caduta dei governativi locali e un netto apprezzamento dello yen. La mossa, inattesa dai mercati, è stata interpretata come l'apertura a possibili aumenti dei tassi d'interessi nel 2023. La moneta giapponese è ai massimi da agosto nei confronti del dollaro e di due mesi nei confronti dell'euro, con il biglietto verde e la moneta unica in calo di oltre il 3%. Questo ha favorito il calo della Borsa di Tokyo (-2,46%) e in scia degli altri listini asiatici Rendimenti in rialzo sul mercato dei titoli di Stato europei, mentre sull'andamento delle materie prime pesano le preoccupazioni per i nuovi casi di Covid in Cina che fanno prevedere una ripresa economica lenta.
Tokyo chiude a -2,5% dopo decisioni banca centrale
La Borsa di Tokyo ha chiuso in calo del 2,46% dopo che la Banca centrale del Giappone (BoJ) ha modificato la banda di oscillazione dei rendimenti dei titoli di Stato. La BoJ ha deciso di consentire l'oscillazione del rendimento del bond decennale di 50 punti base in rialzo o in calo rispetto al target dello 0%. La banda di oscillazione precedente era di 25 punti base. La mossa punta ad alleggerire i costi della lunga politica monetaria ultra-espansiva portata avanti dall'istituto centrale ed è stata interpretata come un primo passo per l'apertura a una politica più restrittiva, anche se il governatore Kuroda ha dichiarato che la mossa non rappresenta «un aumento dei tassi, ma mira a migliorare il funzionamento del mercato, in modo che gli effetti dell'allentamento monetario nell'ambito della politica di controllo della curva dei rendimenti si diffondano più agevolmente attraverso canali come il finanziamento delle imprese». Kuroda si è anche detto convinto che l'inflazione scenderà sotto la soglia del 2% in Giappone il prossimo anno.
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I mercati azionari asiatici hanno subito un ulteriore calo a causa del timore di una crescita economica globale più debole, mentre le banche centrali aumentano i tassi di interesse per raffreddare l’inflazione. Le azioni cinesi sono crollate a causa dell’aumento dei casi di Covid-19, mentre gli investitori non si sono sentiti confortati dalla decisione della banca centrale di mantenere invariati i tassi di interesse sui prestiti.
Spread in lieve rialzo, schizza rendimento del BTp decennale
Poco mosso lo spread tra BTp e Bund in un contesto debole per il reddito fisso europeo che sconta lo scenario al rialzo dei tassi di interesse in Usa e Europa dopo le ultime decisioni di Fed e Bce e dopo che la BoJ si è unita alle mosse da 'falco' delle banche centrali. In netto rialzo il rendimento del BTp decennale benchmark, che ha toccato un massimo dal 4,475%.
Nel frattempo, dal fronte Bce proseguono le dichiarazioni a conferma dell’atteggiamento restrittivo emerso nell’ultima riunione. Il presidente della Bundesbank, Nagel, ha sottolineato che la strada per raggiungere l’obiettivo d’inflazione è ancora lunga e che ulteriori rialzi da 50 punti base saranno necessari in futuro. Sul fronte macro, buone notizie sono giunte dai prezzi alla produzione tedesca di novembre che sono scesi per il secondo mese consecutivo (-3,9% congiunturale), con il dato tendenziale che è sceso ai livelli minimi da febbraio scorso (28,2%). Tuttavia, notano gli analisti di Mps Capital Services, i prezzi dell’elettricità sono tornati a salire nell’ultimo mese, il che potrebbe frenare il rallentamento in atto nel corso del prossimo mese.